Guida all’Arte

Una guida all’Arte dei pazzi: e che roba è? una pazziella o una cosa seria? una presa in giro, un passatempo innocente o l’ennesimo tentativo di riabilitare la «mania» platonica? un richiamo delle pecorelle smarrite all’ovile, o solo un grido, uno dei tanti gridi di rivolta contro l’angustia dell’Arte che ogni pazzia viene (senza volerlo) a rinnovare? Non è forse la pazzia qualcosa d’altro, qualcosa d’oltre, che sempre fa oltraggio ai limiti che all’Arte di ogni gregge le altre novantanove pecore impongono per essere lasciate in santa pace a nutrirsi di pensieri e sentimenti «gregari»?
Insomma, con la scusa della guida si vuole solo mettere qui in piazza una demenza come tante altre, o si mira addirittura a propinare chissà quale nuova ricetta per venirne a capo e trovare una via d’uscita? cosa vuol essere? una guida a entrare o a uscire «artisticamente» dalla pazzia? una guida a perdere o a prendere – a dare o a restituire? e poi: che cosa?

Non lo so.
So – questo sì che lo so! – di non avere la stoffa né della guida né del pazzo (più o meno scatenato). Forse la mia sola pazzia è proprio questa di fingermi qui – io il «ben guidato», di pretendere qui di fungere altrui da «duca». Guai dunque a prendermi alla lettera! – perché non sono buono né a dare né a prendere «informazioni».
E poi, se mai da qualche parte sapessi io guidare qualcuno, al più lo potrei condurre fin sulla soglia della sua Sophia, e là lo affiderei nelle mani della sua Beatrice: della Matta che gli pulsa nella vena giugulare del suo «io». Non potrei in nessun caso guidarlo oltre la più antica e misteriosa delle sue sorelle, la compagna a cui ama accompagnarsi quando è solo, la sua Fantasticata Prima, la sola e unica Desiderata, il primo e ultimo ideogramma dell’alfabeto della sua libidine.

Ma anche solo per fingersi guida e portare qualcuno a spasso, comunque bisogna avere in testa un minimo di topografia: o no? bisogna o no sapere dei «posti» dove più facilmente le pecorelle si smarriscono? bisogna averne una sapienza finta o basta fingere di sapere, che dico? – fingere di avere una mezza idea dei «luoghi di smarrimento»?
E ancora: perché tutto questo? si può essere così pazzi da credere ancora a una «retta via», ancora a un «paradiso perduto», ancora a un viandante sorpreso «nel mezzo di un cammino» e ancora, soprattutto, a una guida che viene a prenderlo per mano e lo «salva» dall’inferno?
Sento già nelle orecchie Mamma Pecora che mi bela: «mi raccomando: che la tua cerca sia sensata! va’ dove vuoi, ma torna a casa!».

Un senso, ecco cosa ci vuole! Una via ci vuole per andare e venire dal gregge. Per essere vicini e lontani alla propria Gente. Per amarla e disprezzarla con lo stesso sguardo «gentile» di cui degniamo la nostra immagine a noi stessi.
Ci vuole un sentimento in cui s’intreccino tutt’e sette i nostri sensi (ma non erano cinque?) – tutti in un solo nodo stretti insieme tutt’e sette i cieli di una semplice, infantile, vaga «sensazione» di ritrovarci, a un tratto, sperduti nel mondo – quand’ecco, miracolo dei miracoli!, eccolo il miraggio che ci «salva»: al culmine dello spaesamento, venga quello stesso sentimento, se ci riesce, se è così potente, venga a produrre da sé la sua stessa Guida. Che la «secerna» come il suo «segreto». E che questo suo segreto sia, in principio, timidamente appiccicato a un «nome pubblico» (qual è quello di Virgilio per Dante), al nome di Qualcuno di cui si parla in piazza, di cui il gregge «sa» almeno per sentito-dire.

Tanto per cominciare: nessun pazzo va mai da solo da nessuna parte!
Non c’è pazzia la cui eco non risuoni, per simpatia, nelle corde di un’altra toccata e fuga dal mondo.
Mamma Pecora, non temere! La simpatia «salva» la pazzia! la richiama, per così dire, al gusto della finzione, dell’imitazione, della riproduzione. L’attrae nel Paese dei simboli. Le offre una «posizione».
Forse.

Facciamola più breve.
Se un senso può avere questa finta guida all’Arte della pazzia, non può non essere che quello a cui questa pazzia da sempre si è affidata, fedelmente seguendo la guida che essa ha saputo «fingere» a Se Stessa.
Una guida all’Arte del saper fingere (e in particolare del sapersi fingere guida per tirarsi fuori da uno smarrimento) la può produrre solo una pazzia che non s’intimorisca, che non si tiri indietro, che anzi sia eccitata a scrutare dentro Se Stessa. Una pazzia fiduciosa nella sapienza della sua Guida. Una pazzia che sappia di non sapere ancora le sue «mappe» immaginali – che finga d’ignorare il suo «donde» di origine e provenienza, e che occulti a Se Stessa la propria trasparenza per guardarsi da fuori (con l’occhio «gentile» della sua Gente) o da sopra (con l’occhio «angelico» di una sua propria Musa).
Forse solo una pazzia auto-visionaria può insegnare a ciascuno di noi a fingere di essere il matto che realmente è. Come dire: a elevare la sua pazzia alla seconda potenza, e dunque a potenziarla finché non si eleva (nel tempo e nel luogo della suddetta finzione, s’intende) sopra le sue pazzie.

Una volta lassù, «molti paesi ha visto Zarathustra e molti popoli» (Nietzsche). A Zarathustra è venuta la passione di levarsi in volo, di sciamare tra le lingue del mondo, di andare su e giù per i racconti delle genti e di recitarne in prima persona le epopee. A Zarathustra è venuta la passione di trascorrere avanti e indietro nei millenni, di dilatarsi sotto e sopra – di espandersi nei secoli dei secoli. Amen.
Di fatto, lo sappiamo, è Nietzsche che è fuori di testa e «trasecola»: è la sua pazzia che «si dilunga» quanto più indietro nei tempi. È la sua smania di volo che sorvola i secoli in cerca di un nido. È la sua vertigine che corre a mettersi al riparo (mica tanto) della figura di Zarathustra. Il Profeta, non è la pazzia di Nietzsche che se lo produce ex novo. La pazzia di Nietzsche produce «sulla» figura preesistente del Profeta, «scrive» sul nome del vecchio Profeta le sue nuove «eresie», i propri schizzi «originali». L’immagine pubblica le funge da foglio su cui far scivolare, quando non affondare, la punta del suo calamo.
Zarathustra, in quanto «personaggio pubblico», come Virgilio a Dante, offre così a Nietzsche una maschera dietro cui nascondere e far parlare la sua pazziella, altrimenti senza parole. In entrambi casi, è un «nome pubblico» (Virgilio, Zarathustra) a salvare il Poeta dagli abissi muti della sua pazzia.

La guida all’Arte, è la pazzia stessa a darsela – se è così pazza da «secernere», assieme alla sua fuga nell’Arte, anche la Guida che dall’Arte la riconduce a Se Stessa, e se questa Guida essa se la produce su una «figura pubblica», non importa se reale o leggendaria.
Per essere guidata all’Arte, bisogna dunque che la pazzia da sé abdichi alla sua «verginità», che spontaneamente si conceda alla «contaminazione», che non si lasci murare viva in un palazzo senza vie d’uscite né porte né finestre, che si compiaccia di «prelevare» un nome dal sentito-dire in piazza: un nome sentito come un richiamo, un nome che come un tesoro dice: aprimi! – dentro di me troverai dell’altro.
E ogni altro è una perla che, a sua volta, è un tesoro che ripete la stessa cantilena: svelami! – ché dietro settemila veli troverai nascosto dell’altro ancora. E poi ancora altro, finché […]