Deleuze – Riflessione ed estensione

Prima che un atto di crudele maestà inoculi una mente negli organi del «bambinello», prima che nei nervi della sua «dimenticanza attiva» s’intrufoli, nessuno l’ha invitata, la Strega che li «punge a sangue»… insomma, prima che il bebè approdi al logos della Logica, Gardner-stregaprima delle «idee» degli idealisti e prima dei «nomi» dei nominalisti, ci sono le impressioni, le botte di piacere e di dolore – ci sono le sensazioni, le percezioni di una «memoria senza idee e senza parole», c’è il pathos di un corpo passivo, c’è la passione – c’è la «qualità» di una natura. Solo che questa natura non si è ancora «qualificata», e perciò non è ancora una mente umana, non ancora un organo della Mente. La Mente non si è inscritta ancora nella natura nuda e cruda dell’«infante». Non si è ancora offerta all’«intensità» di una sua passione, per darle un’«estensione».

Perché questo accada, non bastano le impressioni primitive, non bastano le semplici sensazioni. Né bastano i princìpi di associazione a dare a una passione gli «artifici» linguistici di cui ha bisogno per estendersi fuori dal suo guscio naturale. Per questo, dice Hume, ci vogliono altre impressioni, ci vogliono le impressioni di riflessione. Bisogna cioè che quella data «passione» si rifletta, si specchi e in qualche modo si riconosca nel mucchio di immagini e di idee che intanto ha «appreso» nella Memoria, e in particolare bisogna che trovi quella per essa più «pungente», quella che le «tocca i nervi» perché più congeniale ai suoi geni.

Queste nuove impressioni, a differenza delle antiche, non sono più semplici istantanee (… e … e … e …) tra loro slegate, ma rudimentali messinscene di un «teatro», che se pure è ancora in allestimento, già lascia intuire che si tratta di un «dramma speculativo», di una ritorsione delle impressioni presenti sullo specchio di quelle passate, di un risentimento di sensazioni più o meno remote. Orfeo si volge indietro: che dici? fa bene a scommettere che sul fondo senza fondo della sua passione per Euridice giace soltanto una indeterminata nostalgia?
Bene o male che sia, Orfeo non può farci nulla: è la passione a scommettere su se stessa e a mettersi in gioco riflettendosi nella Memoria delle sue primitive sensazioni.

***

Tanning-girasole

L’estensione e la riflessione sono identiche, ma differenti […]. La regola è al contempo estensione e riflessione della passione. La passione si riflette. Ma dove? in che cosa? Nell’immaginazione. La regola generale è la passione riflessa nell’immaginazione. […] Riflettendosi, la passione si trova di fronte a una riproduzione amplificata di sé, si vede liberata dai limiti e dalle condizioni della sua stessa attualità, e così vede aprirsi tutto un campo artificiale, il mondo della cultura, in cui può proiettare la sua immagine e dispiegarsi illimitatamente. L’interesse riflesso supera la sua stessa parzialità. Ciò significa che, popolandosi dell’immagine delle passioni e dei loro oggetti, all’immaginazione «appartiene – come dice Hume – una serie di passioni». Nella riflessione la passione si immagina e l’immaginazione si appassiona: la regola è possibile. La vera definizione della regola generale è: una passione dell’immaginazione. […]

È dunque l’immaginazione che rende possibile una riflessione della passione. La regola generale è l’eco di un’affezione nella mente, nell’immaginazione. Le regole sono i Cahun-Moore-fotomontaggioprocedimenti riflettenti, le idee della pratica.
Finché l’immaginazione era affetta, [cioè passivamente] definita, si trattava di un effetto semplice. Ora vediamo che si deve aggiungere un effetto complesso: l’immaginazione riflette l’affezione, l’affezione riecheggia nella mente.

Nella misura in cui i princìpi della morale e della passione modificano la mente, la mente smette di essere una fantasia, si definisce, e diventa una natura umana. Ma nella misura in cui riflette queste affezioni che la definiscono, resta ancora una fantasia su un altro piano, in modo nuovo. La fantasia viene recuperata nei princìpi della sua trasformazione. Perché a ogni riflessione qualcosa si perde. Ciò che non può lasciarsi riflettere senza contraddizione è proprio ciò che definisce l’esercizio reale delle affezioni, l’attualità dei loro limiti, l’azione attraverso cui definiscono una mente in una forma o nell’altra.

Riflettendo le forme della sua definizione, l’immaginazione le libera, e se ne libera, le estende all’infinito. Cioè, fa del limite un oggetto della fantasia, gioca il limite presentando l’accidentale come essenziale, distingue il potere dal suo esercizio attuale. Hume dice che questa distinzione è un arbitrio illusorio della fantasia. Il potere dell’immaginazione è quello di immaginare il potere. In breve, la passione non si riflette nell’immaginazione senza che l’immaginazione non estenda la passione.

La regola generale è quell’unità assoluta di una riflessione della passione nell‘immaginazione e di un’estensione della passione attraverso l’immaginazione. In questo senso riflessione ed estensione non sono che una cosa sola.
Ma in questo senso sono anche due cose diverse, perché ci sarà bisogno di ulteriori correzioni per instaurare in questo nuovo campo tutto un rigore. Stavolta la riflessione sarà una riflessione sulla riflessione precedente o, se si vuole, sull’interesse riflesso.

Ma perché nei due casi troviamo lo stesso termine riflessione?
Il fatto è che l’estensione di prima era già di per sé una correzione: superava la parzialità delle passioni naturali. Ma dato che non superava la natura senza confondere essenza e De-chirico-veggenteaccidente, abbisognava di una nuova correzione, per e nel nuovo ordine che instaurava, visto che questo nuovo ordine era serio.

In effetti, non basta concepire l’artificio unicamente sotto forma di fantasia, frivolezza e illusione: si tratta anche del mondo serio della cultura.
La distinzione tra natura e cultura coincide con quella tra effetto semplice ed effetto complesso. E se Hume manifesta in tutta la sua opera un interesse costante per i problemi della psicologia animale, è forse perché l’animale è una natura senza cultura: i princìpi agiscono sulla sua mente, ma hanno soltanto un effetto semplice. Non avendo regole generali, relegato nell’attualità dall’istinto, essendo privo di una fantasia costante e di procedimenti riflettenti, l’animale è anche privo di storia.

Giustamente, il problema è proprio questo: come spiegare il fatto che, nell’uomo, la cultura, o la storia, si costituiscono così come la fantasia si recupera, nello stesso momento in cui si recupera, attraverso l’eco delle affezioni nella mente?
Come spiegare questa unione tra quello che c’è di più frivolo e quello che c’è di più serio?

(Deleuze, Empirismo e soggettività)

***

Magritte-occhio-pupilla

… e le Porte della Notte girarono a rovescio – da in a ex – dalle sue intensità nervose corporee naturali, l’affezione si estese negli «artifici» che le metteva a disposizione una cultura, con la sua memoria, la sua storia, la sua lingua.
Le Porte si schiusero allora rovesciando l’insensatezza naturale di un’affezione sulla promessa che le prometteva la Logica del suo «divenire-umana», del suo «divenire» una passione umana. L’affezione si mise allora in cerca di un «senso». L’affezione si mise a filosofare su se stessa. Che dici? avrà fatto bene Orfeo a mettere in musica il rovescio della sua natura?

Gli animali non riflettono: perciò parlano una lingua (e una memoria) di sole sensazioni (… e … e … e …). Essi sono natura senza cultura, e le loro passioni non hanno niente di artificiale, nessun vestito addosso (e nessuna vergogna, di conseguenza).
Anche Narciso era natura senza cultura – era, anzi, dimenticanza, repulsione d’ogni artificio mnemonico – ma poi un giorno successe che le Porte di quella stessa repulsione girarono a rovescio: da in, da dentro la sua «tana», da quel «non-dove» di una fantasia, la sua affezione si guardò allo specchio e si vide, stupore!, miracolo!, vide se stessa estesa in Klee-parco-in-Luun altro mondo – ex-tesa, tesa fuori di sé, nell’Altrove, nell’illimitato Alibi, nella vasta felice «esuberanza» del Paese dei capricci.

Di ogni antica intensità (questa è la Regola) è sempre possibile un ritornello. Una musica senza motivo, a volte, ne rimanda un’eco. E tanto basta per dare a un’affezione un nuovo «slancio», che la riporta, a sua insaputa, tra le ceneri sparse d’una memoria, tra le immagini confuse d’una raccolta. Solo là, solo nell’immaginazione che ha patito, solo tra i fantasmi che l’hanno impressionata, l’affezione può, come Alice, trovare uno specchio che la meravigli. Stupore! Miracolo! Nello specchio, l’affezione si estende in una passione. L’effetto semplice si complica, trova una complicità, tant’è che, mentre la passione si nutre di immagini, le immagini si appassionano a questo gioco, a questo scambio di ruoli. E allora la passione esce dal guscio delle sue tensioni interne, per gettarsi nel Paese delle meraviglie – nel Paese degli Artifici Umani – nel Racconto, insieme comico e tragico, frivolo e serio, arbitrario e rigoroso che, a occhio e croce, racconta proprio di lei.

È così che la passione infantile è «presa all’amo» dall’Immaginario di una Gente: infatti, quelle immagini in cui si specchia non sono farina del suo sacco. Ce le ha nella Raccolta, ma solo perché le ha patite. La passione ancora non gode di un’immaginazione attiva. La acquisterà solo dopo essersi riflessa – guardata e interrogata, poetata e filosofata – sullo specchio magico delle Passioni Artificiali Umane. Solo quando avrà appreso a «vestire» la sua indeterminazione con una di quelle immagini che la Macchina Sociale proietta sulla Via Maestra dei desideri umani. Solo allora potrà essere attivata in lei, al di là di lei, postuma alla sua «qualità», una immaginazione che la «qualifichi». Chi sei? Presentati!

Solo quando si sarà assoggettata a uno di quei «demoni» che sono a spasso sulla Via Maestra delle Credenze Popolari, solo allora la passione potrà godere, finalmente, di una sua «soggettività», di un suo «credo».
Perciò, dice Hume, è nella riflessione che una natura diventa cultura, e viceversa (l’effetto è complesso) una cultura torna a dare fiato alla natura, da cui ogni «nome», ogni «idea», ogni «lettera dell’alfabeto» è solo una via di fuga, una via che dal «frivolo» finisce però per giungere immancabilmente al «serio», una via che minaccia d’essere senza ritorno, una via che dalle sue tre tragedie rischia di non sapere più per dove andare al dramma satiresco.

Giappone-demoni

Perché ci vuole un’altra riflessione, e poi un’altra ancora, e poi almeno una terza – tre riflessioni ci vogliono, l’una più tragica e sconcertante della precedente, l’una a correzione della chiacchiera di cui la precedente era prigioniera – perché una natura diventi mente umana, e finalmente spiritosa imprenda a parlare il Logos di questa Mente. Quest’altra Lingua – la Lingua dell’Altro, del suo Racconto, del suo Discorso – eccolo! il Corpo senz’organi, il Corpo di cui Narciso, dal momento in cui vi si specchia, diventa un organo.

Dacché le Porte girarono alla rovescia, la sua passione si estese in cerca del «demone» fuori di sé. Dentro e fuori, in ed ex, hanno «senso» però e si possono localizzare solo rispetto alla Mappa, alla Struttura e alla Grammatica, delle «dicerie» che si dicono sulla Via Maestra. La contingenza, l’arbitrio, il caso delle passioni possono guadagnarsi un’essenza, una logica, un senso – solo abbarbicandosi, come edere, al Muro (della Caverna) su cui si proietta il Desiderio dell’Altro.

Platone lo dice benissimo: le ombre sullo schermo non sono che proiezioni dei corpi viventi e delle passioni attuali di chi guarda il Film. Lo spettatore ci mette la sua «natura», mentre da dietro, alle sue spalle, la Cultura, il Discorso dell’Altro, foto-porta-sedieproietta la luce del suo Immaginario sul muro della caverna.
Lo spettatore vede se stesso, ma come Narciso non si riconosce. Vede le sue passioni che gli ritornano, a volte avidamente restituite al mittente, ma lui non le riconosce … e perciò si appassiona a rincorrerle fuori di sé. Nella selva oscura dei nomi – là dove non conta più la «qualità» delle sue passioni, a meno che queste non si «qualifichino» quali desideri già praticati, ideati e nominati, dalla Tribù.

Ecco cosa avanza alla riflessione: il desiderio del desiderio dell’Altro, il desiderio che desidera ciò che desidera l’Altro, invece di un proprio indeterminato desiderio naturale. Avanza una rappresentazione – una falsificazione, cioè – dell’irrappresentabile.
La riflessione è perciò un’esperienza falsa – una «finzione». E tuttavia, è di ogni Narciso la vera esperienza – quella che lo rende «umano». Perché Narciso si è veramente fatto stregare dalle menzogne dello Specchio.
Oh, specchio, specchio delle mie brame!

Proprio perché la «falsità» è veramente il proprio della natura umana, con la scusa che ogni rappresentazione è finzione, estensione «teatrale», immaginaria, di una passione, sarebbe da sciocchi limitarsi a uno scetticismo nei confronti di ogni rappresentazione. Da sciocchi limitarsi a mettere in discussione l’«idealismo», se non servisse a fargli vomitare le passioni che veramente «ingoia» nelle sue false rappresentazioni.
Ciò che l’idealismo veramente «falsifica» è la contingenza, il caso, il momento irripetibile e arbitrario di un’emozione naturale: «falsifica» il Caos, il disordine, il liberi tutti!, con gli «artifici logici», le tecniche e i mestieri «rappresentativi» della cultura di una Tribù.

Questione di punti di vista.
Platone, l’«idealista», dice che l’inganno, la menzogna, il falso sono le affezioni e le sensazioni del «bambinello», e che per lui non c’è «liberazione» se non fuori dalla caverna, dove risplende la Luce Verace della Polis.
E invece noi qui stiamo dicendo che la Polis è già in azione nella Caverna, è alle spalle degli spettatori, e sui loro corpi proietta la Luce Ingannatrice del suo Racconto inconscio. E stiamo dicendo che le «idee», o perlomeno quel pezzo di «mondo delle idee» di cui, secondo Platone, è detentrice legittima solo la Polis, non sono che passioni falsificate – passioni che si prendono per vere solo perché autenticate dalla Polis, passioni che per il gusto del gioco, per capriccio, idiota mente amano mentirsi pur di estendersi, passioni che pur di dare sfogo alle loro tensioni interne si avventurano (o ingenua Alice, anima mia!) in questo mondo alla rovescia, che altro non è che il tragico effetto di una frivolezza della natura umana.