Le altre novantanove pecore erano gli strilli

mosaico-pecorella-smarrita

Le altre novantanove pecore erano gli strilli d’un bambino
che nella folla s’era perso e non trovava più la mamma.
Dovrei vergognarmi delle mie novantanove fantasie
e alla gogna in ginocchio dovrei chiedere perdono
alla sola pecorella smarrita che fu la mia bocca
quando tardivamente illusa incontro alla tua corse
a scoprire un sapore di cui a sua insaputa
era già insaporita.

Ero io il mondo, una volta – ma me ne stavo nascosto
dietro le novantanove serrature di un desiderio
che non aveva niente da dire o da chiedere al mondo
che non gli fosse già negato nel nome della santa
legislazione della domanda e dell’offerta.
Che cosa mi dai?

Niente. Non il resto di niente, ma tutto il niente
e tutto ciò che di prezioso e d’inutile era nel niente –
ecco ciò che la mia bocca aveva da offrire al mondo
con la scusa di baciarti: niente che il mondo
non l’avesse già respirato in ogni goccia di brina
o nello stillicidio mattutino della sua rugiada.

Ero io la rugiada, una volta – ma me ne stavo accoccolato
nel tepore notturno delle Pleiadi senza mai concedermi
al martirio d’uno solo dei novantanove fili d’erba
baciati dal primo raggio di sole.

Cadevo dal cielo, allora. Scendevo, oscuro, dal miraggio
d’essere io la pioggia, io il pianto disperato di Iside,
io il grano che una volta faceva felice l’Egitto.
No, non il resto di niente – ma tutto il grano nascosto
in ogni spiga di niente, ecco quel che ti potevo offrire allora –
quando incontro alla tua bocca correvo
a strillare le mie novantanove pecorelle.

Nella folla, piccolo e cieco, m’ero perso
e non trovavo più la mamma.