«Finché un’illusione non è riconosciuta come un errore, il suo valore è esattamente equivalente a quello di una realtà. Ma una volta riconosciuta l’illusione come tale, essa non è più un’illusione. È dunque il concetto stesso di illusione, ed esso solo, a essere un’illusione».
Ciò vale per l’illusione soggettiva, quella del soggetto che sbaglia realtà, che confonde l’irreale col reale, o peggio ancora: che confonde il reale col reale (questa illusione è senza speranza). Contro questa illusione soggettiva e metafisica: l’illusione radicale, l’illusione oggettiva del mondo. Contraddizione in termini: come può un’illusione essere oggettiva? Ma appunto: questa oggettività, che per così tanto tempo abbiamo fatto giocare a favore della verità, è seducente farla giocare nell’altro senso, come è stato seducente, in altri tempi, credere in una realtà oggettiva del Male. Eresia spirituale, certamente, ma ipotesi appassionante. In ogni modo, poiché la nostra stessa oggettività scientifica, con i tempi che corrono, assume molto lentamente un aspetto illusorio, non è escluso che l’illusione prenda, da parte sua, una piega oggettiva.
L’illusione oggettiva è il fatto fisico che, in questo universo, nessuna cosa coesiste con un’altra in tempo reale, né i sessi, né le stelle, né questo bicchiere né questa tavola, né io stesso e tutto quanto mi circonda. A causa della dispersione e della velocità relativa della luce, tutte le cose non esistono che in differita, in un disordine inesprimibile delle temporalità, a una distanza ineluttabile l’una dall’altra. Esse quindi non sono mai veramente presenti le une alle altre, né «reali» l’una per l’altra. Il fatto di questa distanza irrimediabile e di questa simultaneità impossibile, il fatto che, quando percepisco questa stella, essa forse è già scomparsa – relazione che può essere estesa, fatte le debite proporzioni, a qualsiasi oggetto fisico o essere vivente –, tutto ciò è il fondamento insuperabile, la definizione per così dire materiale dell’illusione. Quella del tempo è dello stesso tipo. È il fatto oggettivo che non siete mai completamente nell’istante e che la presenza integrale è sempre e solo virtuale. Se è vero che in qualsiasi punto del tempo siete in questo istante e non altrove, non siete però mai in quell’unico punto in cui si riassumerebbe tutto l’evento. Il tempo «reale» quindi non esiste, nessuno esiste in tempo reale, niente ha luogo in tempo reale: il malinteso è totale.
Questa distanza è vitale, poiché senza di essa non percepiremmo proprio niente, avremmo una promiscuità integrale, la quale fu probabilmente il primo stadio del mondo – l’unico stadio che si possa dire sia esistito in tempo reale, poiché tutta la materia vi coesisteva con se stessa, era presente a se stessa in un solo punto e in un solo istante. Non appena questo stadio iniziale (e assolutamente ipotetico) cessa, comincia l’illusione del mondo. Da questo momento gli elementi non saranno mai più presenti gli uni agli altri. Tutto comincerà a esistere, ma per ciò stesso esisterà in base a un’assenza relativa, benché definitiva, degli uni agli altri. Dunque in base a un’illusione irrimediabile.
Questa distanza, questa assenza sono oggi minacciate. Quanto è impossibile a livello cosmico (che la notte scompaia per la percezione simultanea della luce di tutte le stelle), o nella sfera della memoria e del tempo (che tutto il passato sia perpetuamente presente, e che non ci sia più una notte degli eventi), è possibile oggi nell’universo tecnico dell’informazione. La minaccia tecnoinformatica è quella di una soppressione del buio, della preziosa differenza fra notte e giorno, mediante un’illuminazione totale di tutti gli istanti. Prima i messaggi sfumavano su scala planetaria, con la distanza. Oggi un’insolazione mortale e una profusione accecante ci minacciano, per il “feed-back” incessante di tutta l’informazione su tutti i punti del globo.
Meno male che noi stessi non viviamo in tempo reale! Che cosa saremmo in tempo «reale»? In ogni momento ci identificheremmo esattamente con noi stessi. Supplizio equivalente a quello della luce perpetua: una specie di epilessia della presenza, di epilessia dell’identità. L’autismo, la follia. Non vi sarebbe più assenza da se stessi, non vi sarebbe più distanza dagli altri. Ora, l’alterità è questa felice distorsione senza la quale tutti coinciderebbero simultaneamente con me.
L’illusione vitale dell’alterità fa sì che l’io non soccomba alla sua realtà assoluta. Pure il linguaggio fa in modo che tutto non significhi in ogni momento e permette di sfuggire all’irradiazione perpetua del senso. Questa illusione specifica del linguaggio, questa funzione poetica non esiste più nei linguaggi virtuali o numerici, nei quali l’equivalenza è totale, l’interazione ben regolata come nei circuiti chiusi di domanda-risposta, l’energia immediatamente decodificabile come quella della fonte di calore mediante l’acqua nella casseruola. Questi linguaggi non sono un linguaggio, così come l’immagine di sintesi non è un’immagine.
Fortunatamente, qualcosa nel linguaggio è irriducibile a questo computo, qualcosa nel soggetto è irriducibile all’identificazione, qualcosa nello scambio è irriducibile all’interazione e alla comunicazione.
Anche l’oggetto scientifico è inafferrabile nella sua realtà. Come le stelle, esso appare solamente ad anni-luce, quale traccia sugli schermi. Come esse, può anche essere scomparso quando lo registriamo. Il fatto che non si possano determinare contemporaneamente la velocità e la posizione di una particella dipende dall’illusione dell’oggetto, e dal suo gioco perpetuo. Anche le particelle nell’acceleratore non si scontrano in tempo reale, e non sono esattamente contemporanee.
La fisica contemporanea ci offre schemi differenti da quello del nostro principio di realtà. Questo si basa sulla distinzione delle cose tra di loro, ma pure sulla loro correlazione in uno stesso spazio, sulla presenza delle une alle altre. Quello della fisica, invece, si basa sull’inseparabilità delle cose, ma pure sulla loro reciproca assenza (esse non interagiscono in uno spazio omogeneo). Le particelle sono inseparabili, ma ad anni-luce.
Il fatto che tutto sia segretamente inseparabile, ma che nulla comunichi veramente, transitando per lo stesso mondo cosiddetto reale, il fatto che si scambino solamente degli effetti singolari provenienti da tempi e spazi, da esseri e oggetti che non sono a dire il vero «reali» gli uni per gli altri (la loro «realtà in sé» essendo definitivamente inintelligibile): ecco l’illusione oggettiva del mondo. Questo effetto di singolarità concerne tutte le cose, terrestri e stellari, insolite o banali, viventi o inanimate: la percezione che ne abbiamo ci mostra che esse sono definitivamente separate dalla loro origine e tali da non doverla mai raggiungere.
L’illusione oggettiva è l’impossibilità di una verità oggettiva, dal momento che il soggetto e l’oggetto non sono più distinti, e l’impossibilità di ogni conoscenza fondata su tale distinzione. È la situazione attuale della scienza sperimentale – inseparabilità dei fenomeni, inseparabilità del soggetto e dell’oggetto. Non si tratta della loro confusione magica nel pensiero cosiddetto irrazionale, ma dell’investigazione più sofisticata che ci sia, al termine della quale si impone l’enigma radicale dell’oggetto e della sua scomparsa in quanto tale.
La distinzione del soggetto e dell’oggetto, la cui finzione può mantenersi in una zona di percezione su scala umana, salta a livello dei fenomeni microscopici e dei fenomeni estremi. Questi restituiscono l’inseparabilità fondamentale dell’uno e dell’altro, in altri termini l’illusione radicale del mondo rispetto al nostro apparato conoscitivo. Si è insistito molto sull’alterazione dell’oggetto da parte del soggetto nell’osservazione. Ma non ci si è posti il problema dell’alterazione inversa e del suo effetto di specchio diabolico. Ora, le situazioni interessanti sono quelle in cui l’oggetto si sottrae, diventa inafferrabile, paradossale, ambiguo, e infetta con questa ambiguità il soggetto stesso e il suo protocollo d’analisi. Ci si è sempre preoccupati delle condizioni nelle quali il soggetto scopre l’oggetto, senza esaminare affatto quelle nelle quali l’oggetto scopre il soggetto. Ci vantiamo di scoprire l’oggetto e lo concepiamo come se attendesse tranquillamente di essere scoperto. Ma il più astuto, forse, non è quello a cui si pensa: e se fosse esso, l’oggetto, che ci scopre in tutta questa faccenda? Se fosse esso a inventarci? Ne risulterebbe allora non solo un principio d’indeterminazione, dominabile mediante le equazioni, ma un principio di reversibilità, assai più radicale e più offensivo. (Analogamente, i virus non ci hanno forse scoperti almeno nella stessa misura in cui li abbiamo scoperti noi, con tutte le conseguenze che ne derivano? E gli Indiani stessi non hanno finito per scoprirci? È l’eterna rivincita dei popoli dello specchio.)
Questi fenomeni non sono circoscritti ai microuniversi. In politica, in economia, nelle scienze «umane» l’inseparabilità del soggetto e dell’oggetto riappare ovunque l’oggettività simulata della scienza si è installata da tre secoli a questa parte. Non è soltanto in fisica che è impossibile calcolare simultaneamente la velocità e la posizione di una particella. Lo stesso accade quanto alla possibilità di calcolare contemporaneamente la realtà e il significato dell’evento nell’informazione, l’imputazione delle cause e degli effetti in un processo complesso, il rapporto fra terrorista e ostaggio, fra virus e cellula. Ognuna delle nostre azioni si trova allo stadio della particella erratica di laboratorio: non si può più calcolarne contemporaneamente il fine e i mezzi. Non si può più calcolare contemporaneamente il prezzo di una vita umana e il suo valore statistico. L’indeterminazione è filtrata in tutti i campi della vita – non si capisce per quale motivo essa dovrebbe essere privilegio della scienza. E ciò non in funzione della complessità dei parametri: di questa si può sempre venire a capo. È un’indeterminazione radicale per il fatto che è legata al carattere estremo dei fenomeni, e non solo alla loro complessità. Al di là del limite (“ex terminis”), le stesse leggi della fisica diventano reversibili, e non dominiamo più la regola del gioco, posto che ce ne sia una. In ogni modo, essa non è più quella del soggetto e della verità.
Dato che non possiamo cogliere contemporaneamente la genesi e la singolarità dell’evento, l’apparenza delle cose e il loro senso, bisogna scegliere: o dominiamo il senso, e le apparenze ci sfuggono – o il senso ci sfugge, e le apparenze sono salve. Giacché il senso per lo più ci sfugge, vi è la certezza che il segreto, l’illusione che ci lega sotto il vincolo del segreto, non sarà mai scoperto. Ciò non è mistico, ma dipende da una strategia attiva del mondo nei nostri confronti – strategia di assenza e di spossessamento, la quale fa sì che, col gioco stesso delle apparenze, le cose si allontanino sempre più dal loro senso, e probabilmente anche le une dalle altre, mentre il mondo accentuerebbe la sua fuga nella stranezza e nel vuoto.
Mentre i fisici cercano le equazioni che unificherebbero tutte le energie, le galassie continuano invece ad allontanarsi le une dalle altre a velocità favolose. Mentre la semiotica cerca una teoria unificata del campo linguistico, le lingue e i segni continuano ad allontanarsi le une dagli altri come le galassie, in funzione di chissà quale Big Bang linguistico, pur restando sempre segretamente inseparabili.
L’illusione del mondo, il suo enigma, deriva anche dal fatto che, per l’immaginazione poetica, quella delle apparenze, esso appare improvvisamente, è interamente presente in una sola volta, mentre per il pensiero analitico ha un’origine e una storia. Ora, tutto ciò che appare improvvisamente, senza continuità storica, è inintelligibile. Tutto ciò con cui pretendiamo di chiarirlo non può affatto cambiare l’atto di forza originario, questa brusca irruzione nell’apparenza, che la volontà di trasparenza e d’informazione si sforza invano di risolvere.
Se il mondo ha una storia, possiamo sperare di condurlo alla sua spiegazione finale. Se invece è nato improvvisamente, esso non è suscettibile di essere assegnato a una fine – siamo protetti dalla sua fine mediante questo non-senso che assume lo statuto dell’illusione poetica. Essendo per definizione l’arte di apparire, di sorgere dal niente, l’illusione ci protegge dall’essere. Essendo per definizione l’arte di scomparire, essa ci protegge dalla morte. Il mondo è protetto dalla fine grazie alla sua diabolica indeterminazione. In compenso, tutto ciò che è determinato è destinato a essere sterminato.
Due tipi di pensiero girano attorno a questo ostacolo ontologico. Per uno, classico e «razionale», l’unica ipotesi è quella di un’evoluzione e di un progresso delle forme viventi. Per l’altro, molto improbabile (senza la speranza di trovare prove), la biomassa è apparsa improvvisamente – è il Big Bang del vivente –, essa è interamente presente fin dall’inizio (anche se la storia delle forme complesse deve seguire). Esattamente come il linguaggio in Lévi-Strauss: la logomassa, la massa del significante, sorge improvvisamente, tutta intera. Non vi si aggiungerà nulla in termini d’informazione. Ve n’è anche troppa – un eccesso di significante che non sarà mai ridotto. Una volta apparsa, come la biomassa, essa è indistruttibile. Indistruttibile quanto la massa stessa, cioè quanto la sostanza materiale del mondo, e quanto le masse sociologiche – più vicine a noi –, la cui apparizione, altrettanto improvvisa e imprevedibile, è anch’essa irreversibile, fino all’eventuale collasso.
Astromassa, biomassa, logomassa, sociomassa: tutte sono probabilmente destinate a finire, ma non progressivamente; mediante un cedimento improvviso, così come sono apparse. Anche le culture s’inventano improvvisamente – la loro improvvisa apparizione è inspiegabile in termini evoluzionistici. Esse hanno tutta la loro intensità all’inizio e scompaiono molto velocemente, talora anche improvvisamente e senza una ragione evidente (solo la nostra tende a perpetuarsi).
Quanto all’universo mentale, esso funziona secondo la stessa regola catastrofica: tutto è presente fin dall’inizio, non si negozia di volta in volta. È come la regola di un gioco: così com’è, essa è perfetta, ogni idea di progresso o di cambiamento è assurda.
Non si può più immaginare che l’illusione si produca progressivamente, che il mondo divenga sempre più un’illusione (in compenso, è possibile immaginare che esso si creda sempre più reale, e lo divenga ai propri occhi). Bisogna dunque ipotizzare un’apparizione improvvisa e totale, imprevedibile e definitiva: il tasso d’illusione non può né crescere né diminuire, poiché essa ha la stessa estensione del mondo come apparenza. L’illusione è l’effetto-mondo stesso.
Questa subitaneità, questo emergere a partire dal vuoto, questa non anteriorità delle cose rispetto a se stesse continua ad affliggere l’evento del mondo nel cuore stesso del suo svolgimento storico. L’evento è costituito da ciò che rompe con ogni causalità anteriore. L’evento del linguaggio è ciò che lo fa riapparire miracolosamente tutti i giorni, come forma compiuta, indipendentemente da ogni significato anteriore. Anche la fotografia è l’arte di dissociare l’oggetto da qualsiasi esistenza anteriore e di captare la sua probabilità di scomparire nell’istante successivo. In definitiva, preferiamo l'”ex nihilo”, ciò che ricava la sua magia dall’arbitrio, dall’assenza di cause e di storia. Ciò che sorge o scompare improvvisamente, la concatenazione del vuoto dietro quella del pieno, procura il massimo piacere. L’illusione è costituita da questa parte magica, da questa parte maledetta che crea una specie di plusvalore assoluto per sottrazione delle cause, o per distorsione degli effetti e delle cause.
Questa macchinazione del Niente, la quale fa in modo che le cose contraddicano la loro stessa realtà, può essere concepita indifferentemente come poetica o criminale. Tutto ciò che è inintelligibile è sostanzialmente criminale, e ogni pensiero che alimenta questa macchinazione enigmatica è la perpetuazione di tale delitto. Se il mondo è senza riferimento e senza una ragione ultima, perché volete che il pensiero ne abbia una?
(Baudrillard, Il delitto perfetto)