Lacan – L’amore coniugale

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È noto che le strutture elementari sono naturalmente le più complicate, e che quelle per così dire complesse tra cui viviamo noi si presentano in apparenza come le più semplici. Ci crediamo liberi nella nostra scelta coniugale, chiunque può sposarsi con chiunque, è una profonda illusione, anche se è iscritta nelle leggi. In pratica, la scelta è diretta da elementi preferenziali, che sebbene velati, non per questo sono meno essenziali. L’interesse delle strutture cosiddette elementari sta nel mostrarci la struttura di questi elementi preferenziali in tutta la sua complicazione.

Ora, Lévi-Strauss dimostra che, nella struttura del matrimonio, la donna, che definisce l’ordine culturale, in opposizione all’ordine naturale, è l’oggetto di scambio, allo stesso titolo della parola, che è in effetti l’oggetto dello scambio originario. Quali che siano i beni, le qualità e gli statuti trasmessi per via matrilineare, quali che siano le autorità che il cosiddetto ordine matriarcale può rivestire, l’ordine simbolico, nel suo funzionamento iniziale, è androcentrico. È un fatto.

È un fatto che, beninteso, non ha mancato di subire ogni sorta di correttivi nel corso della storia, ma che resta nondimeno fondamentale, e ci permette in particolare di comprendere la posizione dissimmetrica della donna nei legami amorosi, e in modo tutto particolare nella loro più eminente forma socializzata, ossia nel legame coniugale.
van-Gogh-torso-donnaSe si vedessero queste cose sul loro piano, e con un minimo di rigore, si dissiperebbero d’un tratto molti fantasmi.

La nozione moderna del matrimonio come patto di mutuo consenso è sicuramente una novità, introdotta nella prospettiva di una religione della salvezza, in cui prevale l’anima individuale. Essa nasconde e maschera la struttura iniziale, il primitivo carattere sacro del matrimonio.
Questa istituzione esiste attualmente in una forma condensata, e con tratti così solidi e tenaci che le rivoluzioni sociali sono ben lungi dal farne sparire il predominio e la significazione. Ma al tempo stesso certi tratti dell’istituzione, nella storia, sono stati cancellati.

Nel corso della storia, ci sono sempre stati, in questo ordine, due contratti di natura ben diversa. Presso i Romani, per esempio, il matrimonio delle persone con un nome, uno davvero, quello dei patrizi, dei nobili – gli ignobili sono appunto quelli che non hanno un nome – ha un carattere altamente simbolico, assicurato da cerimonie di una natura speciale – non voglio entrare in una dettagliata descrizione della confarreatio. Anche per la plebe esiste una specie di matrimonio, fondato solo sul mutuo contratto, e costituisce quello che tecnicamente la società romana chiama concubinato.

Ora, è proprio l’istituzione del concubinato che si generalizza, in seguito a un certo vacillamento della società, e, negli ultimi tempi della storia romana, vediamo il concubinato prendere piede nelle alte sfere, al fine di mantenere indipendente lo statuto sociale dei partner, e in modo particolare lo statuto dei loro beni. In altri termini, è dal momento in cui la donna si emancipa, ha come tale diritto alla proprietà, diventa un individuo nella società, che il significato del matrimonio è abraso.

Fondamentalmente la donna è introdotta nel patto simbolico del matrimonio come oggetto di scambio fra – non dirò: gli uomini, benché gli uomini ne siano di fatto il satiro-respintosupporto – ma fra i lignaggi, lignaggi che fondamentalmente sono androcentrici.
Capire le diverse strutture elementari è capire come circolino, attraverso i lignaggi, questi oggetti di scambio che sono le donne. Stando all’esperienza ciò è possibile solo in una prospettiva androcentrica e patriarcale, anche quando la struttura è secondariamente presa in ascendenze matrilineari.

Che la donna sia così impegnata in un ordine di scambio in cui essa è oggetto, è ciò che conferisce un carattere fondamentalmente conflittuale, direi senza sbocco, della sua posizione – l’ordine simbolico letteralmente la sottomette, la trascende.
È qui il vicolo cieco in cui la donna è spinta, dalla sua particolare funzione nell’ordine simbolico. Vi è per lei qualcosa di insormontabile, diciamo di inaccettabile, nel fatto di esser messa in posizione di oggetto in un ordine simbolico, cui d’altra parte è interamente sottomessa al pari dell’uomo. È proprio perché essa è in un rapporto di secondo grado con questo ordine simbolico, che il dio s’incarna nell’uomo o l’uomo nel dio, salvo conflitto, e, ovviamente, c’è sempre conflitto.

In altri termini, nella forma primitiva del matrimonio, se non è a un dio, la donna è data a qualcosa di trascendente e si dà, la relazione fondamentale subisce ogni forma di degradazione immaginaria, ed è quello che succede, dato che non abbiamo, e da parecchio tempo, la levatura per incarnare degli dèi.
In tempi ancora duri, c’era il padrone. Ed è stata la grande stagione della rivendicazione delle donne – La donna non è un oggetto di possesso. – Com’è che l’adulterio è punito in modo così dissimmetrico? – Siamo forse delle schiave?

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Dopo alcuni progressi, si è arrivati allo stadio del rivale, alla relazione propria al modo immaginario. Non si deve credere che la nostra società, grazie all’emancipazione delle suddette donne, ne abbia l’esclusiva. La rivalità più esplicita tra uomini e donne è eterna, e con i rapporti coniugali si è stabilita con lo stile che le è proprio.
Ci volevano solo degli psicoanalisti tedeschi per immaginare che la lotta sessuale sia una caratteristica della nostra epoca. Se leggerete Tito Livio vedrete quanto chiasso fece a Roma un formidabile processo per avvelenamento, da cui risultò che in tutte le famiglie patrizie, le mogli regolarmente avvelenavano i mariti: ne morivano a carrettate. La rivolta femminile non è una cosa iniziata ieri.

Dal padrone al servo e al rivale, non c’è che un passo dialettico – i rapporti da padrone a servo sono essenzialmente reversibili e il padrone si avvede ben presto della propria dipendenza nei confronti del servo.
Ai giorni nostri abbiamo una sfumatura nuova grazie all’introduzione delle nozione psicoanalitiche – il marito è diventato il bambino e da qualche tempo si insegna alle coppia-amantimogli a trattarlo bene. Su questa via il cerchio si chiude, torniamo allo stato di natura. Ecco l’idea che certuni si fanno dell’intervento della psicoanalisi nelle cosiddette relazioni umane. Propagandosi attraverso i mass media, essa insegna agli uni e alle altre come comportarsi per avere la pace in famiglia – che la donna faccia la parte della madre e l’uomo quella del bambino.

Ma, affinché la situazione sia sostenibile, bisogna che la posizione sia triangolare. Perché la coppia tenga sul piano umano, bisogna che ci sia un dio. È all’uomo universale, all’uomo velato, rispetto a cui ogni ideale non è che sostituto idolatrico, che va l’amore, quel famoso amore genitale di cui parliamo, sparliamo e chiacchieriamo ingordamente.

Rileggete cosa ha scritto Balint sull’argomento – quando gli autori sono un po’ rigorosi, e sperimentali, arrivano alla conclusione che questo famoso amore non è assolutamente niente. L’amore genitale si rivela assolutamente inassimilabile a un’unità che sarebbe frutto di una maturazione istintuale.
Infatti, nella misura in cui questo amore genitale lo si concepisce come duale, in assenza cioè di qualsiasi nozione di terzo, di parola, di dio, lo si fabbrica in due pezzi. Primo, l’atto genitale che, come ognuno sa, non dura molto – è bello, ma non dura – e non costruisce niente. Secondo, la tenerezza, le cui origini, lo si ammette, sono pregenitali. Questa è la conclusione a cui giungono gli spiriti più onesti, quando si fermano alla relazione duale per stabilire la norma dei rapporti umani.

(Lacan, Il Seminario: 2)