Egitto – Satni-Khâmoîs e le mummie

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C’era una volta un re, chiamato Usimare, che aveva un figlio chiamato Satni-Khâmoîs, che a sua volta aveva un fratello di latte che si chiamava Inarôs. Satni-Khâmoîs era molto istruito in tutte le cose, e passava il tempo andando su e giù per la necropoli di Menfi per leggervi i libri di scrittura sacra e i testi magici della Doppia estinzione di vita, nonché le lettere incise sulle steli e i muri dei templi; conosceva le virtù degli amuleti e dei talismani, ed era capace di combinarli per redigere degli scritti potenti, in quanto era un mago che non aveva pari nella terra d’Egitto.

Ora, un giorno che passeggiava sul sagrato del tempio di Ptah intento a leggere le iscrizioni, ecco che un uomo di nobile aspetto che si trovava là prese a burlarsi di lui.
Satni gli disse: «Perché ridi?».
Il nobile rispose: «Non sto ridendo di te; ma come posso impedirmi di ridere mentre tu decifri questi scritti che non hanno nessun potere? Se desideri davvero leggere uno scritto efficace, vieni con me; ti farò andare nel luogo dove si trova il libro che Thot ha scritto di suo pugno, e che ti metterà a un rango immediatamente al di sotto degli dèi. Delle due formule che vi sono scritte, se reciti la prima, incanterai il cielo, la terra, il mondo della notte, le montagne, le acque; comprenderai quello che dicono tutti quanti gli uccelli del cielo e i rettili; vedrai i pesci, perché una forza divina si poserà sulla papiro-Arsisuperficie dell’acqua. Se leggi la seconda formula, quantunque tu sia nella tomba, riprenderai l’aspetto che avevi sulla terra; vedrai perfino il sole che si leva nel cielo, il suo ciclo divino, e la luna nell’aspetto che ha quando appare».

Satni disse: «Per la vita! dimmi quello che desideri e io te lo farò dare; ma conducimi nel luogo dove si trova il libro!».
Il nobile disse a Satni: «Il libro in questione non è mio. È in mezzo alla necropoli, nella tomba di Nenoferkeptah, figlio del re Minebptah. Guardati bene dal sottrargli questo libro, perché egli te lo farà riportare indietro, con una forca e un bastone in mano, e un braciere acceso in testa».
Ora mentre il nobile parlava, Satni non seppe più in quale posto del mondo si trovasse: andò al cospetto del re, e davanti al re riferì parola per parola ciò che il nobile gli aveva detto.
Il re gli disse: «Cosa desideri?».
Egli disse: «Concedimi di scendere nella tomba di Nenoferkeptah, figlio del re Minebptah: prenderò con me Inarôs, mio fratello di latte, e ti riporterò quel libro».

Si recò allora alla necropoli di Menfi; con Inarôs, suo fratello di latte. Insieme passarono tre giorni e tre notti a cercare tra le tombe della necropoli, a leggere le steli della Doppia dimora della vita, recitando le iscrizioni che vi erano incise. Il terzo giorno trovarono il luogo dove riposava Nenoferkeptah. E quando l’ebbero riconosciuto, Satni recitò sulla tomba uno scritto, quand’ecco un vuoto si spalancò nella terra, e Satni discese nel luogo dove era il libro.

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Quando vi fu dentro, ecco, era chiaro come se vi entrasse il sole, perché dal libro usciva una luce che rischiarava tutto intorno. E Nenoferkeptah non era solo nella tomba, ma sua moglie Ahuri e suo figlio Maîhêt erano con lui; infatti, sebbene i loro corpi riposassero a Copto, il loro doppio (ka) per virtù del libro di Thot era assieme a lui.
E quando Satni penetrò nella tomba, Ahuri si drizzò e gli disse: «Tu, chi sei?».
Egli rispose: «Sono Satni-Khâmoîs, figlio del re Usimare: sono venuto per avere quel libro di Thot, che vedo tra te e Nenoferkeptah. Dammelo, altrimenti lo prenderò con la forza».

Ahuri disse: «Ti prego, non portarlo via, ma ascolta piuttosto tutti i guai che mi sono capitati a causa di questo libro di cui dici: “Che mi venga dato!”. Non dirlo più, perché a causa sua, ci è stato sottratto il resto del tempo che avevamo da vivere sulla terra. Io mi chiamo Ahuri, e sono figlia del re Minebptah, e quello che vedi accanto a me è mio fratello Nenoferkeptah. Siamo figli dello stesso padre e della stessa madre, e i nostri genitori non avevano altri figli all’infuori di noi. Quando giunse il tempo di maritarmi, mi si condusse al cospetto del re per il suo piacere: ero ben vestita, e il re mi trovò bella. Il re disse allora: “Ecco che Ahuri, nostra figlia, s’è fatta grande, ed è venuto il tempo che prenda marito. A chi la daremo in sposa?”. Io però amavo ardentemente mio fratello Nenoferkeptah, e non desideravo altro sposo che lui. Lo dissi a mia madre, ed ella andò a dire al re: “Ahuri, nostra figlia, ama suo fratello Nenoferkeptah: lasciamo che si sposino com’è costume”. Ma quando il re intese tutte le parole che mia madre aveva principessa-egiziadetto, a sua volta disse: “Tu non hai che due figli, e vuoi farli maritare tra di loro? Non è meglio maritare Ahuri col figlio d’un generale di fanteria e Nenoferkeptah con la figlia di un altro generale di fanteria?”. Ella disse: “Proprio tu dici queste cose? Anche se ho solo questi due figli, non contempla forse la legge che si sposino tra loro?”. “No – ribatté lui. – Farò in modo che Nenoferkeptah sposi la figlia di un generale, e Ahuri il figlio di un altro generale, e possa questo tornare utile alla nostra famiglia!”.

«Quando fu il momento di festeggiare dinanzi a Faraone, ecco, mi si venne a cercare per condurmi alla festa; ero molto turbata e non avevo un bell’aspetto. Ora Faraone mi disse: “Non sei tu che mi hai mandato a dire queste stolte parole: Fammi sposare il mio fratello maggiore Nenoferkeptah?”. Gli dissi: “Ebbene! che io sia data in sposa al figlio di un generale di fanteria, e che Nenoferkeptah sposi la figlia d’un altro generale di fanteria, e possa questo tornare utile alla nostra famiglia!”. Poi risi, e Faraone rise e disse al capo della casa reale: “Che si conduca Ahuri alla dimora di Nenoferkeptah questa notte stessa. E si porti con lei ogni sorta di doni meravigliosi”.

«Mi portarono in sposa alla dimora di Nenoferkeptah, e Faraone ordinò di portarmi molti doni in oro e argento, e tutti quelli della casa reale me li presentarono. Nenoferkeptah passò un giorno felice con me; ricevette tutti i membri della casa reale, e poi dormì con me quella notte stessa, e mi trovò vergine, e mi prese più e più volte, perché ciascuno di noi amava l’altro. Quando venne il tempo delle mie purificazioni, ecco che non avevo purificazioni da fare. Lo si andò a riferire a Faraone, e il suo cuore ne gioì molto, e fece prendere ogni sorta di oggetti preziosi dai beni della casa reale, e mi fece portare bellissimi doni in oro, in argento, in stoffe di lino sottile. Quando venne per me il tempo di partorire, misi al mondo questo bambino che è davanti a te. Gli fu dato il nome di Maîhêt, e lo si scrisse sui registri della Doppia dimora di vita.

«Molti giorni dopo, Nenoferkeptah, mio fratello, sembrava che non avesse altro da fare in terra che passeggiare nella necropoli di Menfi, recitando gli scritti che sono nelle tombe dei Faraoni, e le steli degli scribi della Doppia dimora di vita, nonché gli scritti che sacerdote-Rasono tracciati su di esse, in quanto nutriva per questi scritti una grande passione. Ora avvenne che ci fosse una processione in onore del dio Ptah, e Nenoferkeptah entrò nel tempio per pregare e, mentre andava al seguito della processione decifrando gli scritti che sono sulle cappelle degli dèi, un vecchio lo notò e scoppiò a ridere.

«Nenoferkeptah gli disse: “Perché ridi di me?”. Il sacerdote rispose: “Non sto affatto ridendo di te; ma puoi tu impedirmi di ridere, mentre leggi qui degli scritti che non hanno alcun potere? Se davvero desideri leggere uno scritto, vieni con me, ti condurrò nel posto dov’è il libro che Thot scrisse di suo pugno, quando scese quaggiù al seguito degli dèi. Delle due formule che vi sono scritte, se tu reciti la prima, incanterai il cielo, la terra, il mondo della notte, le montagne, le acque; comprenderai quel che dicono tutti quanti gli uccelli del cielo e i rettili; vedrai i pesci dell’abisso, perché una forza divina calerà sull’acqua al di sopra di loro. Se leggi la seconda formula, quantunque tu sia nella tomba, riprenderai la forma che avevi sulla terra; vedrai perfino il sole che si leva nel cielo col suo ciclo di dèi, e la luna nell’aspetto che ha quando sorge”.

«Nenoferkeptah disse al sacerdote: “Per la vita del re! dimmi ciò che vuoi, e io te lo farò dare se mi conduci nel posto dov’è il libro”.
Il sacerdote disse a Nenoferkeptah: “Se desideri che ti guidi nel posto dov’è il libro, dammi in cambio cento pezzi d’argento per la mia sepoltura, e fammi allestire due bare da ricco sacerdote”.
Nenoferkeptah chiamò un servo e gli comandò di dare cento pezzi d’argento al sacerdote e gli fece fare le due bare che desiderava; in breve, esaudì tutte le sue richieste.

«Il sacerdote disse a Nenoferkeptah: “Il libro che cerchi è in mezzo al mare di Copto, in uno scrigno di ferro. Lo scrigno di ferro è in uno scrigno di bronzo; lo scrigno di bronzo è in uno di legno di cinnamomo; lo scrigno di legno di cinnamomo è in uno di avorio e di ebano; lo scrigno d’avorio e di ebano è in uno scrigno d’argento; lo scrigno d’argento è in uno scrigno d’oro, e il libro è dentro quest’ultimo. E c’è uno schoene [misura pari circa a 12.000 cubiti] di serpenti, scorpioni e ogni sorta di rettili attorno allo scrigno in cui è il libro, e c’è un serpente immortale avvolto attorno allo scrigno in questione”.

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«Nel momento stesso che il sacerdote gli parlò, Nenoferkeptah non seppe più in che posto del mondo si trovasse. Uscì dal tempio, rifletté su tutto ciò che gli era capitato, e poi venne a dirmi: “Vado a Copto, riporterò quel libro, poi non mi allontanerò più dal paese del Nord”.
A quel punto m’infuriai col prete: “Chiedi protezione ad Amon: per quel che hai detto a Nenoferkeptah, hai infatti portato la discordia nella mia casa”.

«Provai a fermare Nenoferkeptah perché non andasse a Copto, ma egli non mi diede ascolto, andò da Faraone e davanti a lui ripeté tutto ciò che gli aveva detto il sacerdote.
Faraone gli disse: “Qual è il desiderio del tuo cuore?”.
Egli rispose: “Mi sia data un’imbarcazione ben equipaggiata. Prenderò mia sorella Ahuri e mio figlio Maîhêt, a mezzogiorno, con me; riporterò quel libro e poi non mi muoverò più di qui”.
Gli fu data l’imbarcazione ben equipaggiata, e ci imbarcammo per il nostro viaggio. Quando giungemmo a Copto, ne fu portata notizia ai sacerdoti di Iside di Copto e al superiore dei sacerdoti di Iside. Questi vennero ad accoglierci e subito si presentarono stele-Isidedinanzi a Nenoferkeptah, e le loro donne vennero a omaggiare me.

«Una volta sbarcati, ci recammo al tempio di Iside e di Arpocrate. E qui Nenoferkeptah fece venire un toro, un’oca, del vino, e presentò un’offerta e una libagione davanti a Iside di Copto e Arpocrate; ci condussero poi in una casa bellissima e piena di ogni sorta di cose buone. Nenoferkeptah passò cinque giorni a divertirsi coi sacerdoti di Iside di Copto, mentre le donne dei sacerdoti di Iside di Copto si divertivano con me.

«Il mattino del giorno seguente, Nenoferkeptah si fece portare una gran quantità di cera pura: con quella fabbricò una barca con relativi rematori e marinai, recitò su di loro un incantesimo magico e li animò; diede loro il respiro e li gettò nell’acqua. Riempita poi la barca reale di sabbia, prese congedo da me, e s’imbarcò. In quanto a me, mi appostai sul mare di Copto e dissi: “Così saprò quel che gli succede!”.

«Egli disse: “Rematori, remate per me fino al luogo in cui è il libro”, e quelli remarono per lui, notte e giorno. Nel giro di tre giorni giunse in quel luogo, sparse della sabbia davanti a sé ed, ecco, nel fiume si aprì un vuoto. Quando ebbe trovato uno schoene di serpenti, scorpioni e ogni sorta di rettili intorno allo scrigno in cui si trovava il libro, e quando ebbe riconosciuto il serpente eterno avvolto a quello scrigno, recitò un incantesimo magico sullo schoene di serpenti, scorpioni e rettili, che attorniavano lo scrigno, e lo immobilizzò. Si avvicinò al luogo dove stava il serpente eterno, l’assalì e l’uccise: il serpente tornò in vita e riprese nuovamente la sua forma. Allora egli assalì il serpente una seconda volta e l’uccise: il serpente ritornò ancora in vita. Egli lo assalì una terza volta, lo tagliò in due tronconi, mise della sabbia tra l’uno e l’altro pezzo: il serpente allora morì e più non riprese la sua forma precedente.

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«Nenoferkeptah andò nel luogo dov’era lo scrigno, e riconobbe che era uno scrigno di ferro. L’aprì e vi trovò uno scrigno di bronzo. L’aprì e ve ne trovò un altro di legno di cinnamomo. L’aprì e vi trovò uno scrigno d’avorio e di ebano. L’aprì e vi trovò uno scrigno d’argento. L’aprì e vi trovò uno scrigno d’oro. L’aprì e vi riconobbe il libro dentro. Lo trasse fuori dallo scrigno d’oro e recitò la formula che vi era scritta: incantò così il cielo, la terra, il mondo della notte, le montagne, le acque: comprese tutto quel che dicevano gli uccelli del cielo, i pesci dell’acqua, i quadrupedi della montagna. Recitò l’altra formula dello scritto e vide il sole che si levava in cielo col suo ciclo di dèi, la luna levante e le stelle nella loro forma; vide i pesci dell’abisso, perché una forza divina si posò sull’acqua al di sopra di loro. Recitò un incantesimo sull’acqua e fece sì che riprendesse la sua solita forma. Poi s’imbarcò di nuovo; disse ai marinai: “Remate per me fino al luogo in cui è Ahuri”. Essi remarono per lui, notte e giorno. Quando, in tre giorni, fu arrivato nel posto dove io mi trovavo, mi trovò assisa sul mare di Copto che non bevevo e non mangiavo, non facevo cosa al mondo, ero come una persona giunta alla Buona Dimora.

«Dissi a Nenoferkeptah: “Per la vita del re! lasciami vedere questo libro per il quale abbiamo patito tutte queste pene”. E quando lui mi diede il libro in mano, lessi la papiro-egizioformula che vi era scritta, ed ecco incantai il cielo, la terra, il mondo della notte, le montagne, le acque, e compresi tutto ciò che dicevano gli uccelli del cielo, i pesci dell’abisso e i quadrupedi. Recitai l’altra formula dello scritto e vidi il sole apparire in cielo col suo ciclo divino, vidi la luna levante e tutte le stelle del cielo nel loro aspetto. Vidi i pesci dell’acqua, perché c’era una forza divina che si posava sull’acqua sopra di loro. Non sapendo io scrivere, lo dissi a Nenoferkeptah, mio fratello maggiore, che era uno scriba provetto e un uomo molto sapiente; egli si fece portare un pezzo di papiro vergine, vi scrisse tutte le parole che c’erano nel libro, lo bagnò di birra e lo fece sciogliere tutto nell’acqua. Quando comprese che s’era disciolto, lo bevve e seppe così tutto ciò che c’era nel libro.

«Quel giorno stesso tornammo a Copto, e ci divertimmo davanti a Iside di Copto e Arpocrate. C’imbarcammo, partimmo e giungemmo a nord di Copto, alla distanza di uno schoene. Ora, ecco, Thot aveva appreso tutto ciò che era capitato a Nenoferkeptah riguardo al libro, e Thot non tardò a lamentarsene con Râ, dicendo: “Sappi che il mio diritto e la mia legge sono ora nelle mani di Nenoferkeptah, figlio del re Minebptah. Egli è penetrato nella mia dimora e l’ha saccheggiata, ha preso il mio scrigno col libro degli incantesimi, ha ucciso il mio guardiano che vegliava sullo scrigno”. Gli fu detto: “È nelle tue mani, lui con tutti i suoi”. Discese dal cielo una forza divina che diceva: “Che Nenoferkeptah non arrivi sano e salvo a Menfi, lui e chiunque sia con lui”.

«In quello stesso istante, Maîhêt, il nostro bambino, uscì dalla tenda che era sulla barca di Faraone e cadde nel fiume, e mentre lodava Râ, tutti quelli che erano a bordo lanciarono un grido. Nenoferkeptah uscì dalla cabina, recitò una formula d’incantesimo sul bambino e lo fece riemergere, perché ci fu una forza divina che andò a posarsi sull’acqua sopra di lui. Recitò un incantesimo su di lui, gli fece raccontare tutto ciò che gli era successo, e seppe dell’accusa che Thot gli aveva mosso davanti a Râ.

«Tornammo a Copto con lui, lo facemmo condurre alla Buona Dimora, vegliammo perché si prendessero cura di lui, lo facemmo imbalsamare come si conveniva a un grande e lo mummia-ragazzodeponemmo nella bara, al cimitero di Copto.
Nenoferkeptah, mio fratello, disse: “Partiamo, non tardiamo a tornare prima che il re sappia ciò che ci è capitato e il suo cuore ne sia turbato”. C’imbarcammo, partimmo e non tardammo ad arrivare a nord di Copto, alla distanza di uno schoene, nel posto in cui il piccolo Maîhêt era caduto nel fiume. Uscii dalla tenda della barca di Faraone, caddi nel fiume e, mentre lodavo Râ, tutti quelli che erano a bordo lanciarono un grido. Lo si andò a riferire a Nenoferkeptah ed egli uscì dalla tenda della barca di Faraone. Recitò una formula magica su di me e mi fece riemergere, perché c’era una forza divina che s’era posata sull’acqua sopra di me. Mi ritrasse dal fiume, lesse una formula su di me, mi fece raccontare tutto ciò che mi era successo e l’accusa che Thot aveva mosso davanti a Râ. Tornò a Copto con me, mi fece portare alla Buona Dimora, vegliò perché si prendessero cura di me, mi fece imbalsamare come si conveniva a un grandissimo personaggio, e mi fece deporre nella tomba dove era già deposto il nostro bambino Maîhêt.

«Poi s’imbarcò, partì e non tardò ad arrivare a nord di Copto, alla distanza di uno schoene, nel punto in cui eravamo caduti nel fiume. E parlando tra sé e sé disse: “Non sarebbe meglio stabilirmi a Copto assieme a loro? Se invece torno a Menfi e Faraone mi domanda che ne è di loro, cosa gli dirò? Potrei dirgli che li ho presi con me dalle parti di Tebe, li ho uccisi per poi tornare vivo a Menfi”.
Si fece portare un pezzo di fine lino reale che gli apparteneva, ne modellò una benda magica, con quella avvolse il libro, se lo mise sul petto e lo fissò saldamente. Nenoferkeptah uscì poi dalla tenda della barca di Faraone e cadde in acqua. E, mentre lodava Râ, tutti quelli che erano a bordo lanciarono un grido dicendo: “O che grande lutto, che lutto doloroso! È dipartito lo scriba eccellente, il sapiente che non aveva eguali!”.

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«La barca di Faraone fece il suo viaggio, prima che nessuno al mondo sapesse in qual luogo fosse Nenoferkeptah. Quando giunse a Menfi, lo si andò a dire a Faraone e Faraone venne alla barca: indossava il mantello del lutto, tutta intera la guarnigione di Menfi era vestita a lutto, e così pure i sacerdoti di Ptah, il gran sacerdote di Ptah e tutte le genti dell’entourage di Faraone. Ed ecco, videro Nenoferkeptah appeso ai remi del timone della barca di Faraone, in virtù della sua scienza di scriba eccellente; lo si sollevò, si notò il libro che era sul suo petto, e Faraone disse: “Sia tolto il libro dal suo petto”.
Quelli dell’entourage di Faraone, nonché i sacerdoti di Ptah, dissero al re: “O nostro grande signore, possa egli avere la durata di Râ! È uno scriba eccellente, un uomo molto sapiente, questo Nenoferkeptah”.
Faraone lo fece allora introdurre nella Buona Dimora per sedici giorni, rivestire di stoffe per trentacinque, e seppellire per settantadue; poi lo fece deporre nella sua tomba fra le dimore del riposo.

Ti ho dunque raccontato tutte le sventure che si sono abbattute su di noi a causa di questo libro di cui dici: “Che mi venga dato!”. Tu non hai su di esso alcun diritto, perché, a causa sua, ci è stato tolto il resto del tempo che avevamo da vivere sulla terra».

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Satni disse: «Ahuri, dammi questo libro che vedo tra te e Nenoferkeptah, altrimenti te lo prendo con la forza».
Si levò allora dal suo letto Nenoferkeptah e disse: «Non sei tu Satni, colui al quale questa donna ha raccontato tutte le sventure che tu invece ancora non hai provato? Sei capace di portare via questo libro con l’aiuto di uno scriba sapiente, oppure preferisci batterti con me alla scacchiera? Vuoi giocare a cinquantadue?».

Satni disse: «Ci sto», e fu portata una scacchiera davanti a loro con le pedine, e giocarono a dama. Nenoferkeptah vinse una partita a Satni, recitò un incantesimo su di lui, pose la scacchiera sul suo capo e lo fece affondare nel suolo fino alle gambe. Andò così anche nella seconda partita: la vinse e fece affondare Satni nel suolo fino all’inguine. E così alla terza, allorché lo affossò fino alle orecchie. Dopo di ciò, Satni attaccò Nenoferkeptah e chiamò in aiuto Inarôs, il suo fratello di latte dicendo: «Affrettati a risalire sulla terra, racconta a Faraone tutto quel che mi accade, e portami i talismani di mio padre Ptah e i miei libri di magia». E quello in fretta e furia risalì sulla terra, andò a riferire a Faraone quel che accadeva a Satni, e Faraone disse: «Portategli i talismani di Ptah, suo padre, e i libri d’incantesimi».

Inarôs s’affrettò a scendere nella tomba, depose i talismani sul corpo di Satni, e questi immediatamente si levò da terra. Satni allungò la mano sul libro e lo toccò, e quando uscì Tutankhamen-sposadalla tomba, la luce gli camminava davanti e il buio gli cadeva dietro.
Ahuri pianse per lui, dicendo: «Gloria a te, oscurità! Gloria a te, luce! Tutto è andato via, tutto ciò che era nella nostra tomba, ora non c’è più».
Nenoferkeptah disse ad Ahuri: «Non tormentarti. Gli farò riportare indietro quel libro inseguendolo, con un bastone forcuto in mano e un braciere acceso in testa».

Satni uscì dalla tomba e la richiuse dietro di sé, così come l’aveva trovata. Poi andò al cospetto di Faraone e gli raccontò tutto ciò che gli era successo a proposito del libro.
Faraone disse a Satni: «Sii saggio e rimetti questo libro nella tomba di Nenoferkeptah; sennò, quello te lo farà riportare con un bastone forcuto in mano e un braciere acceso in testa».
Ma Satni non gli diede ascolto, e da quel giorno non ebbe più occupazione al mondo che quella di sfogliare il rotolo e di leggerlo davanti a chiunque.

Dopo questi fatti, avvenne un giorno che Satni stesse camminando sul pavimento del tempio di Ptah, quando vide una donna bellissima che, in quanto a bellezza, non aveva eguale al mondo; aveva molto oro addosso, e cinquantadue domestici al suo servizio.
Appena la vide, Satni non seppe più in che posto del mondo si trovasse. Chiamò allora il suo servo e gli disse: «Corri a scoprire dove abita quella donna, e informati sulle sue condizioni».
E quello domandò a un’altra donna che la seguiva: «Chi è costei?», e quella gli disse: «È Tbubuî, figlia del profeta di Bastît, dama di Ankhutaui, che sta andando a pregare il grande dio Ptah».

Quando il giovane tornò da Satni, gli riferì per filo e per segno le parole che quella gli aveva detto. Satni disse al giovane: «Va’ a dire a quella donna: “È Satni-Khâmoîs, figlio del Faraone Usimare, che mi manda a dirti che ti darà dieci pezzi d’oro puro per passare un’ora sola con te. Se bisogna ricorrere alla forza, egli vi ricorrerà e ti trascinerà in un dea-papiroposto nascosto dove nessuno al mondo ti troverà».
Quando il giovane tornò da Tbubuî, riferì le parole di Satni alla serva, e quella esclamò che sarebbe stato un insulto rivolgerle alla signora.
Tbubuî disse allora al giovane: «Smettila di parlare a questa brutta serva; su, avvicinati e parla con me!».

Il giovane le si avvicinò e disse: «Ti darò dieci pezzi d’oro puro se tu accetti di passare un’ora con Satni-Khâmoîs, il figlio del Faraone Usimare. Se c’è bisogno di usare la forza, egli lo farà e ti trascinerà in un posto nascosto dove nessuno al mondo ti troverà».
Tbubuî gli disse: «Va’ a dire a Satni che sono una sacerdotessa, non una donna di vile rango. Se vuole avere piacere con me, venga a Bubaste nella mia casa. Digli: “Sarà tutto pronto, e tu prenderai piacere da me, senza che nessuno al mondo se l’immagini, e senza che io faccia atto di donna di strada”».
Quando il servo tornò da Satni, gli ripeté tutte le parole che lei aveva detto, senza eccezione, e quello disse: «Eccomi soddisfatto», ma chiunque era con Satni si mise a fare gli scongiuri.

Satni si fece portare un battello, s’imbarcò e giunse presto a Bubaste. Andò a ovest della città, finché non trovò una casa altissima: c’era un muro tutto intorno, un giardino da lato nord, e un portico davanti.
Satni s’informò, dicendo: «Di chi è questa dimora?».
«È la casa di Tbubuî».
Satni entrò nel recinto e poté godere delle meraviglie del padiglione situato nel giardino, in attesa di Tbubuî. Quella discese, prese per mano Satni e gli disse: «Per la vita! Il tuo viaggio alla dimora del sacerdote di Bastît, dama di Ankhutaui, a cui or ora sei giunto, m’è molto gradito. Vieni su con me».

Satni la seguì salendo per la scala della casa, e trovò il piano superiore della casa coperto di sabbia e polvere di vero lapislazzuli e di vero turchese; c’erano là diversi letti, tende di stoffe di lino reale, nonché numerose coppe d’oro sul tavolo. Fu riempita di vino una coppa d’oro e fu offerta a Satni.

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Tbubuî gli disse: «Degnati di bere».
Ma lui disse: «Non è quello che voglio fare».
Gettarono della legna profumata nel fuoco, portarono odori del genere di quelli di cui si approvvigiona Faraone, e Satni passò un giorno felice con Tbubuî, perché non aveva ancora mai visto una donna simile.
Allora Satni disse a Tbubuî: «Facciamo quello per cui siamo venuti qui!».
Ella gli disse: «No, tu andrai a casa tua! Io sono una sacerdotessa, e non sono una persona vile. Se desideri prenderti piacere da me, mi farai un atto di nutrimento e un atto d’argento su tutte le cose e su tutti beni che ti appartengono».
Quello disse: «Sia condotto qui lo scriba della scuola». Quello fu condotto all’istante, e Satni fece fare in onore di Tbubuî un atto per il suo mantenimento e fece mettere per iscritto che le dava in dote tutte le cose e tutti i beni che aveva.

Passata un’ora, si venne ad annunciare a Satni: «I tuoi figli sono da basso».
Egli disse: «Fateli salire».
Tbubuî si alzò, indossò una veste di lino così sottile che Satni ne vedeva tutte le membra in trasparenza, e il suo desiderio cresceva più di prima.
Satni disse a Tbubuî: «Che si compia ciò per cui sono venuto fin qui».
Ella gli disse: «No, tu andrai a casa tua. Io sono una sacerdotessa, non una persona vile. Se desideri prenderti piacere da me, farai sottoscrivere ai tuoi figli il mio scritto, affinché egizia-lady-Tjepunon entrino in controversia coi miei figli riguardo ai tuoi beni».
Satni fece venire i suoi figli e fece sottoscrivere lo scritto. Poi disse a Tbubuî: «Che si compia dunque ciò per cui sono venuto fin qui».
Ella gli disse: «No, tu andrai a casa tua. Io sono una sacerdotessa, non una persona vile. Se desideri prendere piacere da me, tu farai uccidere i figli tuoi, affinché non vengano poi a reclamare dai miei figli i tuoi beni».

Satni disse: «Sia commesso il crimine di cui ti è entrato nel cuore il desiderio».
Quella fece uccidere i figli di Satni davanti ai suoi occhi, li fece gettare giù dalla finestra ai cani e ai gatti, che ne mangiarono le carni, ed egli li udì gridare mentre sorseggiava il vino con Tbubuî.
Satni le disse: «Suvvia, facciamo quello per cui siamo venuti a questo punto, ché tutto ciò che mi hai chiesto è stato fatto».
Ella gli disse: «Entra in quella camera».
Satni entrò nella camera, si mise a giacere su un letto d’avorio e d’ebano per soddisfare finalmente il suo desiderio, e Tbubuî si stese al suo fianco. Ma quando Satni allungò la mano per toccarla, quella spalancò la bocca e lanciò un grande grido.

Quando Satni rinvenne in sé, si ritrovò in una fornace senza alcun vestito addosso. Passata un’ora, Satni notò la presenza di un uomo altissimo salito su un palco, con molte genti ai suoi piedi, tanto che pareva Faraone.
Satni provò ad alzarsi, ma non poteva farlo per la vergogna d’essere nudo.
Faraone disse: «Satni, cos’è questo stato in cui ti trovi?».
Quello disse: «È stato Nenoferkeptah la causa di tutto questo».
Faraone disse: «Va’ a Menfi! I tuoi figli sono là che ti aspettano, stanno al cospetto di Faraone».

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Satni disse allora a Faraone: «Mio grande padre, il re – possa egli avere la durata di Râ! – con quale mezzo posso andare a Menfi, se non ho neanche un vestito addosso?».
Faraone chiamò un servo che gli era accanto e gli ordinò di dare un vestito a Satni. Poi ripeté: «Satni, va’ a Menfi. I tuoi figli sono vivi, sono al cospetto del re».
Satni andò a Menfi; abbracciò con gioia i figli, che davvero erano vivi.
Faraone disse: «È l’ebbrezza che ti ha fatto fare tutto questo?».
Satni raccontò tutto quel che gli era capitato con Tbubuî e Nenoferkeptah.
Faraone disse: «Satni, io sono già venuto in tuo aiuto allorché ti ho detto: “Riporta indietro questo libro nel posto da cui l’hai preso”, ma tu non mi hai dato ascolto finora. Adesso, riporta il libro a Nenoferkeptah, con un bastone forcuto nella tua mano, e un braciere acceso in testa».

Satni uscì dal cospetto di Faraone, con una forca e un bastone in mano, e un braciere acceso in testa, e discese nella tomba di Nenoferkeptah.
Ahuri gli disse: «Satni, è Ptah, il grande dio, che ti mena qui sano e salvo!».
Nenoferkeptah rise dicendo: «Non te l’avevo detto?».
Satni si mise a discutere con Nenoferkeptah, quando s’accorse che, mentre essi Nefertiti-Isideparlavano, il sole illuminava tutta intera la tomba.
Ahuri e Nenoferkeptah discussero molto con Satni.
Satni disse: «Nenoferkeptah, non è umiliante quello che mi chiedi?».
Nenoferkeptah disse: «Satni, tu ora sai che Ahuri e Maîhêt, suo figlio, sono a Copto e nello stesso tempo in questa tomba, in virtù di abile scriba. Che ti sia ordinato di darti pena, di andare a Copto e di portarmeli qui».

Satni risalì fuori dalla tomba, andò da Faraone e gli raccontò tutto quel che gli aveva detto Nenoferkeptah.
Faraone disse: «Satni, va’ a Copto e riporta Ahuri e Maîhêt, suo figlio!».
Egli disse a Faraone: «Mi sia data la barca di Faraone e il suo equipaggio».
Gli fu data la barca di Faraone e il suo equipaggio, e quello s’imbarcò, partì e non tardò ad arrivare a Copto.

Ne furono informati i sacerdoti di Iside di Copto e il grande sacerdote di Iside; ed ecco che discesero dinanzi a lui sulla riva. Egli sbarcò, andò al tempio di Iside di Copto e di Arpocrate. Fece portare un toro, delle oche, del vino e fece un sacrificio e una libagione davanti a Iside di Copto e Arpocrate.
Poi, assieme ai sacerdoti e al gran sacerdote di Iside, andò al cimitero di Copto.
Passarono tre giorni e tre notti a cercare tra le tombe della necropoli di Copto, rimuovendo le steli degli scribi della Doppia dimora di vita, recitando le iscrizioni che recavano; ma non trovarono le camere dove riposavano Ahuri e suo figlio Maîhêt.

Nenoferkeptah, venuto a sapere che non trovavano le camere funerarie di Ahuri e Maîhêt suo figlio, si manifestò nella forma di un vecchio sacerdote in avanzatissima età, e si presentò dinanzi a Satni.
Satni vide il vecchio e gli disse: «Hai sembianza d’uomo vecchissimo. Non sai dove sono le dimore in cui riposano Ahuri e suo figlio Maîhêt?».
Il vecchio disse a Satni: «Il padre del padre di mio padre disse al padre di mio padre: “Il padre di mio padre ha detto al padre di mio padre che le camere in cui riposano Ahuri e suo figlio Maîhêt sono nell’angolo meridionale della casa del sacerdote”».

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Satni disse al vecchio: «Forse il sacerdote ti ha per caso ingiuriato, e perciò tu vuoi che io distrugga la sua casa?».
Il vecchio disse a Satni: «Tenetemi pure in ostaggio mentre radete al suolo la casa del sacerdote, e se nell’angolo meridionale non si trovano Ahuri e suo figlio Maîhêt, mi si tratti pure come un criminale».
Lo si tenne in ostaggio, e si trovò la camera dove riposavano Ahuri e suo figlio Maîhêt nell’angolo meridionale della casa del sacerdote.
Satni li fece trasportare nella barca di Faraone, poi fece ricostruire la casa del sacerdote com’era prima.
Nenoferkeptah fece sapere a Satni che era stato lui il vecchio venuto a Copto per fargli scoprire la camera in cui riposavano Ahuri e suo figlio Maîhêt.

Satni s’imbarcò sulla barca di Faraone, viaggiò e non tardò ad arrivare a Menfi assieme a tutta la sua scorta. Ne fu dato l’annuncio a Faraone, e Faraone scese davanti alla sua barca; fece trasportare i due grandi personaggi nella tomba in cui giaceva Nenoferkeptah e fece subito sigillare la camera superiore.