Basile – Vardiello

Grannonia d’Aprano [paese vicino ad Aversa] fu donna di gran giudizio, ma aveva un figlio, chiamato Vardiello, il più scempiato semplicione di quel paese. E, nondimeno, poiché gli occhi della mamma sono stregati e travedono, essa gli portava un amore Weeks-chiocciasviscerato, e se lo covava sempre e lisciava, come se fosse la più bella creatura del mondo.

Aveva questa Grannonia una chioccia e sperava di ottenerne una bella schiusa di pulcini e ricavarne buon profitto. E un giorno, dovendo allontanarsi per una faccenda, disse al figlio: «Figlio bello di mamma tua, vieni qua, ascolta: abbi gli occhi su questa chioccia e, se si leva a beccare, bada a farla tornare al nido; altrimenti, le uova si raffreddano e tu non avrai né cocchi né pittini».
«Lascia fare a quest’uomo, – rispose Vardiello, – perché non hai parlato a sordo».
«Ancora – aggiunse la mamma, – vedi, figlio benedetto, che dentro quell’armadio c’è un vaso verniciato con certa roba velenosa. Guarda che il tentatore non ti metta in capo di andarla a toccare, perché tu stenderesti i piedi!».
«Non sia mai! – rispose Vardiello: – veleno non mi pigli! E tu, savia con la testa pazza, che me lo hai avvisato; perché, veramente, potevo capitarci e non c’era né spina né osso che m’impedisse di farlo scendere nello stomaco».

Volte che ebbe le spalle la mamma, rimase Vardiello, il quale, per non perder tempo, andò nell’orto a scavare certi fossetti coperti di fuscelli e terra da farvi cader dentro i fanciulli; quando, nel meglio del lavoro, s’accorse che la chioccia se ne andava spasseggiando fuori della camera. Ed egli subito a gridare: «Sciò, sciò, – via di qua, passa là!». Ma la chioccia non si ritirava; e Vardiello, vedendo che quella gallina aveva dell’asino, dopo lo «sciò, sciò» si mise a battere i piedi; dopo lo sbattimento dei piedi, a gettarle dietro il suo berretto; e, dopo il berretto, le scagliò un matterello, che, colpitala in pieno, la fece cadere in agonia e irrigidire le zampe.

La mala disgrazia era ormai avvenuta e Vardiello pensò di portar rimedio al danno: Jean-ragazzo-idiotaonde, facendo di necessità virtù, affinché le uova non si raffreddassero, si sbracò subito e si sedette sulla covata; ma, premendola col deretano, la ridusse a frittata. Visto che egli l’aveva fatta doppia di figura, fu sul punto di dar la testa nelle mura. Ma poiché, infine, ogni dolore torna a boccone, sentendo uno sfinimento allo stomaco, si risolse a cacciarvi dentro la chioccia. E perciò, spiumatala e infilzatala a un bello spiedo, accese un gran fuoco e cominciò ad arrostirla; e, quando vide che era quasi cotta, affinché tutto fosse pronto a tempo, stese un bel canavaccio di bucato sopra un vecchio cassone, e, preso un orciuolo, scese in cantina a spillare un caratello di vino. Ma, nel meglio del versare il vino, udì un rumore, un fracasso, uno scompiglio per la casa, che pareva un passaggio di cavalli armati; e, tutto sbigottito, voltati gli occhi, scorse un gattone, che aveva arraffato la chioccia con tutto lo spiedo, e un altro gatto gli era dietro, gridando per avere la sua parte. Vardiello, per impedire questo danno, si lanciò come leone scatenato sul gatto; e, per la fretta, lasciò sturato il caratello. Dopo aver giocato a «corrimi dietro» per tutti gli angoli della casa, ricuperò la gallina; ma, intanto, il vino del caratello scorse tutto a terra.

Tornando alla cantina e visto di averla fatta grossa, spillò anch’esso la botte dell’anima pei cannelli degli occhi suoi. Ma, poiché il giudizio lo aiutava, per rimediare al danno e per far che la madre non si avvedesse di tanta rovina, prese un sacco pieno pieno, colmo colmo, raso raso di farina e lo andò spargendo sul bagnato.
Con tutto ciò, facendo il conto sulle dita dei disastri accaduti, pensando che, per aver commesso eccessi di asineria, perdeva il giuoco della grazia di Grannonia, prese ferma risoluzione di non lasciarsi trovar vivo dalla madre. Tolse dunque dall’armadio il vaso con le noci conciate, che quella gli aveva detto esser veleno, e non ne levò la mano Chagall-madre-fornofintanto che non ne scoperse la patina lustra. E, riempitasi bene la pancia, si ficcò dentro il forno.

Intanto, tornò la madre e, dopo aver picchiato per un pezzo, non sentendo alcuno muoversi, dette un calcio alla porta ed entrò. E si mise a chiamare a gran voce il figlio e, poiché nessuno rispondeva, immaginò una disgrazia, e, crescendo l’ambascia, levò più forti le grida: «O Vardiello, o Vardiello, sei diventato sordo, che non odi? Hai le giarde, che non corri? Hai la pipita, che non rispondi? Dove sei, viso da forca? Dove sei squagliato, mala razza? Che ti avessi affogato in foce, quando ti feci!».

Vardiello, che udì questo gridio, finalmente, con una vocina pietosa pietosa, disse: «Eccomi qui, sto dentro al forno, e non mi vedrete più, mamma mia!».
«Perché?», domandò la povera madre.
«Perché mi sono avvelenato», replicò il figlio.
«Oimè! – soggiunse Grannonia, – e come hai fatto? e che motivo hai avuto di fare quest’omicidio, e chi ti ha dato il veleno?».
E Vardiello le raccontò a una a una tutte le belle prove che aveva compiute, e per le quali voleva morire e non restare più al mondo, bersaglio di mala fortuna.

Udendo queste cose, la madre, scura si vide, amara si vide, ed ebbe da fare e da dire per levare di capo a Vardiello quell’umore malinconico. E, poiché gli portava tenerezza grande, con dargli alcune altre cose sciroppate gli tolse dal cervello la paura delle noci conciate, che non erano veleno, ma acconciamento di stomaco. Così, calmatolo con buone parole, e fattegli mille dolci carezzette, lo tirò fuori dal forno.
Pensò poi, per quietarlo del tutto, di affidargli un bel tocco di tela affinché lo portasse a vendere, ammonendolo di non trattare il negozio con persone di troppe parole. «Bravo! – disse Vardiello, – ti servirò profumatamente, non dubitare». E, presa sotto il braccio la tela, si avviò alla città.

murale-libanese

Andava in giro con la sua mercanzia per le strade e le piazze di Napoli, gettando il grido: «Tela, tela!». Ma a tutti quelli che gli si avvicinavano, domandando: «Che tela è?», subito rispondeva: «Non fai per la casa mia, ché hai troppe parole». E, se un altro gli domandava: «A quanto la vendi?», lo chiamava chiacchierone, e che lo aveva stordito e gli aveva rotto le tempie.

In ultimo, scoprendo nel cortile di una casa, disabitata perché frequentata dal monachetto, una statua di stucco, il poverino, spedato e stracco dal tanto andare in giro, si sedette sopra un muricciuolo; e, non vedendo entrare e uscire nessuno da quella casa, che pareva un villaggio saccheggiato, pieno di maraviglia, disse alla statua: «Di’ su, camerata, abita alcuno in questa casa?». E, poiché quella non rispondeva, gli parve persona di poche parole, e subito le propose: «Vuoi comprare questa tela? Io te la darò a buon mercato». E la statua zitto, e lui: «Affé, ho trovato quello che andavo cercando! Prendila e falla esaminare, e dammene il prezzo che ti piace: domani torno pei quattrini». Ciò detto, lasciò la tela sul muricciuolo, al quale s’era seduto; e il primo che si statua-giardino-Bobolitrovò a passare e che entrò in quel cortile per qualche suo atto necessario, trovata quella bella ventura, se la portò via.

Quando Vardiello fu tornato alla madre senza tela, ed ebbe raccontato il caso, la povera donna si sentì scoppiare il cuore. E cominciò a rimbrottarlo: «Quando metterai il cervello a sesto? Vedi quante me ne hai fatte? Ricordatene! Ma la colpa è, prima di tutto, mia, che, per essere troppo tenera di polmone, non t’ho fin dal primo momento raddrizzato con una buona bastonatura: e ora m’avvedo che medico pietoso fa la piaga incurabile! Ma tante me ne fai che alla fine c’incapperai; e allora i conti saranno lunghi!».

Vardiello, dal canto suo, badava a dire: «Zitto, mamma mia, ché non sarà quel che tu dici. Avrai ben altro che tornesi coniati nuovi! Credi forse che vengo da Ioio, e che non sappia il conto mio? Ha da venir domani! Di qui a Belvedere non c’è molto, e vedrai se so mettere il manico a questa pala!».

Al mattino, quando le ombre della Notte, perseguitate dagli sbirri del Sole, sfrattano il paese, Vardiello si portò al cortile dov’era la statua, e le parlò: «Buon di, messere! Non t’incomoda di darmi quei quattro spiccioli? Orsù, pagami la tela!». Ma, poiché la statua se ne rimaneva muta, egli raccattò un sasso e lo scagliò di tutta forza proprio in mezzo allo sterno di quella, tanto che le ruppe una vena; e questa fu la salute della sua casa. Perché, ruinati certi ammassi d’intonaco, gli apparve all’occhio una pignatta piena di scudi d’oro, che egli levò con le due mani, e si dié a una corsa a scavezzacollo verso casa sua.

Entrò gridando: «Mamma, mamma, vedi quanti lupini rossi! Quanti, neh! quanti!». Ma la madre, nell’accogliere la fortuna di quegli scudi, così impensatamente guadagnati, rifletté subito che il figlio sarebbe andato pubblicando il caso, e provvide al rischio. Disse, dunque, a Vardiello che si fosse messo innanzi alla porta per vedere quando passava il ricottaro, perché le bisognava comprare un tornese di latte. Vardiello, che era un gran bonaccione, subito si sedette alla porta; e la madre, dalla finestra di sopra, gli fece grandinare addosso, per oltre mezz’ora, più di sei rotoli d’uva passa e di fichi secchi. Ed egli li raccoglieva, gridando: «Mamma, o mamma, prendi conche, porta tinozze, porgi canestri, che, se dura questa pioggia, ci faremo ricchi!». E, quando se ne fu ben riempito il ventre, sali in camera e si buttò a dormire.

Hubertus-ragazzo-addormentato

Avvenne che un giorno, litigando due del popolo, gente di mala vita, per la pretesa di uno scudo d’oro che avevano trovato a terra, capitò in quel punto Vardiello, che disse: «Come siete arciasini a far tante chiacchiere per un lupino rosso di questa sorta! Io non ne faccio nessuna stima, perché ne ho trovato per mio conto una pignatta piena piena!».

La corte, informata del detto e messa in sospetto, lo mandò a chiamare e lo sottopose a disamina per saper come, quando e con chi avesse trovato gli scudi, dei quali aveva parlato.
Vardiello rispose: «Li ho trovati in un palazzo, nel corpo di un uomo muto, in quel giorno che ci fu pioggia di uva passa e di fichi secchi».
Il giudice, che sentì lo sbalzo di questa quinta nel vuoto, odorò il negozio e decretò che fosse mandato allo spedale che era il suo giudice competente.
Così l’ignoranza del figlio fece ricca la madre, e il buon giudizio della madre riparò all’asinità del figlio, per la qual cosa si vede chiaramente che

nave, da buon pilota governata,
è strano caso che si rompa a scoglio.

(Basile, Pentamerone, ovvero Lo cunto de li cunti)