Zhuang-zi – Le regole per prendersi cura della propria vita

Rispettosamente Nan-rong Chu raddrizzò la schiena e chiese al suo maestro, Geng-sang: «Alla mia età già avanzata, che cosa debbo fare per realizzare il vostro insegnamento?».
Maestro Geng-sang gli rispose: «Conservate intatto il vostro corpo e preservate la vostra vita; non lasciate ronzare in voi le idee e le riflessioni. Se agite in questo modo per tre maestro-Tao-2anni, potrete realizzare il mio insegnamento».

Nan-rong Chu chiese di nuovo: «Gli occhi sono tutti identici per la forma, e che io sappia non differiscono l’uno dall’altro, tuttavia i ciechi non vedono. Gli orecchi sono tutti identici per la forma e che io sappia non differiscono l’uno dall’altro, ma i sordi non sentono. Le menti hanno tutte la stessa struttura e che io sappia non differiscono l’una dall’altra, ma i pazzi non possiedono se stessi. Nonostante la mia somiglianza con voi dal punto di vista fisico, tra noi sembra esserci qualcosa che ci separa; cerco di comprendervi, ma non ci riesco. Le parole che mi avete appena dette, io mi sforzo di capirle, ma nei miei orecchi non entrano che rumori il cui senso mi sfugge».

«Non trovo altro da dirti – rispose Geng-sang. – È stato detto: “La vespa non può trasformare il bruco dei fagioli; la gallina di Yue non può covare un uovo di cigno, mentre la gallina di Lu può perfettamente covarne uno”. Sebbene queste due specie di galline abbiano le stesse qualità, una può covare quell’uovo mentre l’altra non può: ciò perché la seconda è abbastanza grossa, mentre la prima è troppo piccola. Poiché la mia capacità è troppo piccola perché io vi possa trasformare, perché non andate a trovare Lao Dan nel Sud?».

Nan-rong Chu si rifornì di viveri, camminò per sette giorni e sette notti e giunse nel luogo dove viveva Lao-zi.
«È Geng-sang Chu che vi manda?», chiese Lao-zi.
«Sì», disse Nan-rong Chu.
«Perché vi portate dietro un seguito così numeroso?», chiese Lao-zi.
Nan-rong Chu guardò dietro di sé, stupefatto.
«Non sapete quello che intendo dire?», disse Lao-zi.
Mortificato, Nan-rong Chu abbassò la testa; dopo averla rialzata, sospirando disse: «Non ho saputo rispondervi e questo mi ha fatto dimenticare le mie domande».
«Quali sono le vostre domande?», chiese Lao-zi.

cinese-Buddha

Nan-rong Chu rispose: «Se sono privo di sapere, mi si considera un uomo stupido; se possiedo il sapere, sarà per me fonte di preoccupazioni. Se non pratico l’amore per gli uomini, essi ne saranno danneggiati; se lo pratico, sarà la mia persona a patirne. Se non pratico la giustizia, farò torto agli altri; se la pratico, sarò io a subirne lo svantaggio. Questi tre dilemmi mi tormentano. È su questi punti che, con la raccomandazione del mio maestro Geng-sang, vorrei interrogarvi».

Lao-zi disse: «Poco fa ho letto nei vostri occhi; le vostre parole confermano le mie supposizioni. Siete del tutto smarrito, come un bambino che avesse perduto i genitori e li cercasse in fondo al mare con una pertica. Voi siete un uomo perso, completamente fuori di voi. Volete ritrovare la vostra vera natura, ma non sapete da dove cominciare. Siete davvero da compiangere!».

Nan-rong Chu gli chiese allora il permesso di tornare all’albergo. Cercò quindi di conservare quello che gli sembrava buono e di eliminare quello che gli sembrava cattivo. Dopo dieci giorni di questo esercizio, che trovò fatico, rivide Lao-zi.

Lao-zi gli disse: «Certo, vi siete già molto purificato, ma in voi c’è ancora molto di cattivo. Chi ha i sensi esteriori ostruiti non deve accorgersene troppo presto, altrimenti si sentirà chiuso interiormente. Egualmente, chi ha l’anima interiore ostruita, non deve accorgersene troppo presto, altrimenti sarà appannato esteriormente. Colui che ha i sensi esteriori e l’anima interiore ostruiti in egual misura, non può conservare le sue doti Tao-gurunaturali. Come potrebbe prendere il Tao a modello dei propri atti?».

«Quando un abitante del villaggio si ammala – disse Nan-rong Chu – il suo vicino viene a informarsi sul suo stato di salute. Se il malato può informarlo sul suo male, significa che non è ancora veramente malato. Ogni volta che ho sentito parlare del Tao, ero come qualcuno che ha aggravato il proprio male prendendo una medicina. Io, dunque, vorrei semplicemente sentire da voi le regole da seguire per prendersi cura della propria vita».

«Ecco le regole per prendersi cura della propria vita – disse Lao-zi. – Riuscite ad abbracciare l’unità? a non perderla mai? a conoscere il fausto e il nefasto senza consultare i gusci di tartaruga o i ramoscelli di achillea? a fermarvi in tempo? a ritrarvi quando è necessario? a disinteressarvi degli altri per cercare voi stesso? a conservare libero il vostro spirito? a restare semplice? a tornare allo stato della prima infanzia? Il neonato vagisce tutto il giorno senza diventare rauco, così perfetta è l’armonia della sua costituzione. Per tutto il giorno stringe le mani senza fare sforzi, perché partecipa dell’energia primigenia. Per tutto il giorno guarda senza muovere gli occhi, perché per lui il mondo esterno non esiste. Cammina senza sapere dove va e se ne sta tranquillo senza sapere quello che fa. Si piega a tutte le cose e ne segue le fluttuazioni. Ecco le regole per prendersi cura della propria vita».

«La pratica di queste regole è la virtù dell’uomo perfetto?», chiese Nan-rong Chu.
«Certamente no – rispose Lao-zi. – La pratica delle regole rappresenta solo il disgelo durante il quale l’uomo si sbarazza dei suoi pregiudizi. L’uomo perfetto divide con gli altri il cibo della terra; divide con gli altri la gioia del cielo, ma non si lascia turbare dagli uomini né dalle cose e da ciò che contengono di utile o di nocivo. Egli non prende parte alle loro bizzarrie; non si immischia in alcun progetto umano; non ha rapporti con nessuno. Va liberamente e torna in assoluta semplicità. Ecco quel che chiamo le regole per prendersi cura della propria vita».

«Quello che avete appena detto rappresenta dunque la perfezione suprema?», chiese Nan-rong Chu.
«Non ancora – proseguì Lao-zi. – Ho detto: riuscite a ritornare bambino? Egli si muove senza sapere quello che fa, e cammina senza sapere dove va. Che il vostro corpo sia simile a un ramo d’albero secco! Che il vostro spirito sia simile alla cenere spenta! Così non sarete visitato né dall’infelicità né dalla felicità. Per voi l’infelicità e la felicità non esistono, come potreste dunque essere colpito dalle catastrofi che si abbattono su di voi?».

(Zhuang-zi, 23)

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Laotse-Confucio

Il vecchio, dunque, chiese al Maestro: come posso io, alla mia età, venire dietro ai vostri passi? come posso io appassionarmi alla vostra dottrina, se a ogni vostra parola incespico e non so come interpretarla? Ho gli acciacchi della mia età, e voi quasi a sbeffeggiarmi mi consigliate di mantenere intatto il mio corpo! Oh, sì certo, se solo potessi, danzerei per ore e ore al suadente suono della vostra voce. Ma, come vedete, cammino appoggiandomi a questo bastone…

Tutte scuse per non prendersi cura della propria vita. Mantenere intatto il proprio corpo, è possibile a qualunque età. La regola è sempre quella: tenere il proprio corpo al riparo da «idee e riflessioni» almeno per tre anni. È la stessa regola che troviamo applicata anche nella tradizione cabalistica: leggi il Libro, essa prescrive, ma poi almeno per tre anni dimentica ciò che vi hai letto.
Astenersi dal rimuginare volontariamente le immagini e i concetti di cui la lettura ci ha invasati. Aspettare almeno tre anni prima di trascriverli sulla pelle della propria anima. Evitare il ronzio, il chiacchiericcio, l’affollamento di parole e di pensieri. E lasciare che da sé ritorni involontariamente la tale immagine, il tale profumo, il tale suono o il tale concetto del Libro rimosso.

Va da sé che anche la Regola che entrambi i Maestri illustrano a Nan-rong Chu, non può essere stata letta nei libri da nessuno dei due negli ultimi tre anni, e non può essere stata Younan-surreal-voltodettata né ieri né l’altro ieri, ma tanto tempo fa. Tanto tempo quanto basta per dimenticarla. Di modo che, quando dall’oblio da sé sola essa ritorna, gode di un privilegio che nessuna abitudine può vantare: pur essendo una ripetizione, la Regola è involontaria emanazione di un Passato, il suo oscuro ritornello, la sua conferma e risonanza al di là del quotidiano, del solito, del familiare che ci rendiamo noto attraverso «idee e riflessioni».

Tre anni di purificazione dalle chiacchiere – regola per iniziati trappisti. Mettere a tacere tutto ciò che ci piacerebbe subito danzare. E questo, capirai, a un vecchio (a uno che non «ha» tanto tempo da campare) non può non andare di traverso.
Come? stare ore e ore a sentire il Maestro, e non avere il piacere di godere subito dei suoi insegnamenti? Che senso ha stare ore e ore ad ascoltare questi insegnamenti, se poi mi si consiglia di dimenticarli? Se ne riparla, dice lui, fra tre anni. Suppongo che un Maestro più severo mi avrebbe imposto trecento anni di solitudine. Mbò! Mi sforzo, ma non capisco.

Ti sforzi, è questo l’impedimento alla tua comprensione – gli risponde il Maestro. – Ti dai da fare, ti metti in azione, ti agiti, smani, brontoli, hai fretta, poveraccio! mentre  io qui non insegno che passioni. Ma tu non comprendi. La mia dottrina non riguarda che i patimenti a cui si trova assoggettato, capisci?, non questa o quella «idea o riflessione», ma il nostro corpo, una volta che si trova a vivere in un mondo fatto di chiacchiere. Io ti parlo della regione più arcaica e profonda della nostra mente, di quello strano posto dove nient’altro c’è da fare che covare l’uovo del Cigno. Nient’altro che da raccogliere l’eco del suo canto di vita e di morte. Perché non hai la pazienza di attendere che sia quest’eco, da sé, a farsi risentire?

Macché, il vecchio, impaziente, su consiglio del primo si rivolge allora a un secondo Maestro – il quale, però, non può far altro che ripetergli la stessa Regola. Il Tao, gli dice, non è qualcosa da prendere a modello dei propri atti. Il Tao è il passato patetico, il fondo passivo (delle «sintesi passive», dice il Filosofo in lingua occidentale) delle nostre passioni. Ogni sforzo volontario, ogni atto deliberato e cosciente per comprendere il Tao e adeguarsi alla sua Regola è, perciò, controproducente. Più lo comprendi, più gli vai contro.

Nimr-donna-nella-rete

Nella semplicità della prima infanzia – ecco dove va a pescare Lao-zi le sue «metafore» taoiste. Va a pescarle dal fondo della nostra preistoria infantile, per portare a galla l’«idea» di un’energia primigenia.
Eccola l’«energia» Tao! È essa che «agisce» nei bambini. È essa che sorride dai loro occhi. I bambini non fanno nessuno sforzo: se ti sorridono, è perché tu piaci al Tao, o perché al Tao piace richiamarti a sé (altro che tre anni!, sono passati millenni da quando ne pativi la «corrente»). I bambini non alzano la voce più di quanto richieda la loro momentanea passione. Non strillano se non a partire dal giorno in cui sono stati invasi da «idee e riflessioni» e trascinati dal Pensiero fuori dalla «covata» naturale.

L’uovo è del Cigno, ma non ci sono ormai più che galline a cui chiedere la cortesia di tenerlo al calduccio. Idee e riflessioni, comunque galline sono. Cambiano solo le dimensioni.
Ma poiché l’uovo del Cigno è grande, occorre una gallina grande – un grande Pensiero, non quello spicciolo che consumiamo giorno per giorno, non quello che quotidianamente teniamo presente, per il quale ci sforziamo e ci affanniamo nel tentativo di venirne a capo e di padroneggiarlo con intelligenza e memoria. Un Pensiero è grande, se risale all’Altro, e non è farina del sacco di nessuno di noialtri. È grande se il suo Precursore è Assente, se non è nessuno dei nostri reali o sedicenti «maestri» vivi.

Se Mamma Cigno fosse ancora viva, lo coverebbe lei da sé il suo uovo. Se l’«energia primigenia» del Tao fosse ancora «semplice», se non si fosse resa «complice» della sua Leonardo-Leda-cignostessa contaminazione, non ci sarebbe bisogno di ricorrere alle galline. Sono i vecchi, non i bambini, che amministrano il pollaio. Sono gli Azzeccagarbugli che studiano come poterle spennare a norma di legge. Sono i letterati, filosofi e scrittori, che da sempre si attivano nell’interesse della loro cucina, non i bambini. I bambini patiscono la fame, solo quando il Tao ha fame in loro. È la Fame che li fa piangere. Ma essi non piangono una lacrima in più o in meno di quanto la Fame richieda.

Tutto questo è Passato, lo è per ogni adulto, e a maggior ragione per un vecchio – qual è qui il nostro «alunno».
Passato, di cui e da cui, solo quando col tempo le «idee e riflessioni» saranno state rimosse, solo allora, è possibile che da sé ritorni la Regola a cui le galline giorno per giorno si sono «sovrascritte». Non tutte però erano delle dimensioni richieste per covare l’uovo del Cigno. E quelle poi che erano della grandezza giusta, quelle che hanno in qualche modo serbato una memoria delle «regole», erano pur sempre «madri» prestate a un figlio altrui. Erano già contaminazioni del Tao, regole spurie che snaturavano la «semplicità» della Natura – quella che si tramanda unicamente da cigno a cigno.

Tao e non Tao, Cigno e non Cigno, Necessità e Contingenza, Fondo dell’Essere e Apparenza – per mantenere la semplicità non conta nessuno di questi falsi dilemmi che ci tormentano il Pensiero, e ci tengono vigile e desta l’intelligenza. Non c’è un Tao Puro che poi si sarebbe contaminato. C’è piuttosto un Contaminarsi Perpetuo dell’«energia primigenia» con cui il Tao eternamente, a ogni nascita, si ricomincia. C’è un Eterno Ritorno del «nuovo»: il ritornello di un insolito anelito del Tao a ricominciarsi, e sempre da lì, sempre dal solito perdersi nei falsi dilemmi della memoria e dell’intelligenza.
Felicità e non Felicità – non esistono. Esiste semmai che una gallina può trasformare il Passato del Cigno, se è grande abbastanza per coprirlo sotto le sue ali.