(Assunto l’aspetto di Anfitrione, impegnato lontano nella guerra ai Teleboi, Giove se la spassa con la di lui sposa, Alcmena. Per allungare la sua notte d’amore, Giove ha provveduto a fermare le stelle, e perché nessuno lo disturbi ha messo Mercurio, che intanto ha preso le sembianze del servo Sosia, di guardia sulla porta)
MERCURIO: – Eccolo, viene da questa parte, ma io gli taglio la strada. No, non glielo permetto, oggi, di entrare in casa. La sua figura gliela ho presa io, dunque me lo posso rigirare come voglio. E poiché ho assunto il suo aspetto e il suo stato, bisogna che gli assomigli anche nel modo d’essere e di fare. E perciò, sarò carogna, maligno, furbastro. Lo scaccerò dalla porta con la sua stessa arma: la furbizia. Ma cosa succede? È lì col naso per aria. Vediamo un po’ cosa combina.
SOSIA: – Se mai c’è cosa che posso credere e tenere per certa, è che questa notte si è addormentato sbronzo, il dio Notturno. In cielo non si muovono le Orse, niente, e la Luna è sempre lì, dove è spuntata, e Orione e le Pleiadi e Venere non si sognano di tramontare. Tutte le stelle sono ferme lassù, e la notte non vuole cedere al giorno.
MERCURIO: – Notte, continua così che vai bene. Fagli questo piacere, al padre mio. Al buon dio buon servizio e buona notte. Faglielo, il piacere, che non ci rimetterai.
SOSIA: – No, non l’ho mai vista una notte così lunga, tolta quella che non finiva mai, quando venni appeso e bastonato. Accidenti, questa notte è più lunga anche di quella. Mi sa che il Sole dorme della grossa, sbronzo fradicio. Sarebbe strano se non si fosse trattato bene a tavola.
MERCURIO: – Come ti permetti, pelle da frustate? Cosa ti credi, che gli dèi siano tuoi pari? Ti sistemo io, pendaglio da forca, per queste tue bestemmie. Su, bello, vieni avanti, che ti buschi del brusco.
SOSIA: – Voi che non volete dormire da soli, razza di puttanieri, dove siete? Questa notte è per voi. C’è da sfiancare una puttana mal pagata.
MERCURIO: – A sentire quello, ora mio padre sta facendo tutta la sua parte. A letto con Alcmena, l’abbraccia e l’ama e se la gode.
SOSIA: – Vado da Alcmena a raccontarle quello che Anfitrione ha comandato. Ma chi è quel tipo che sta davanti alla casa a quest’ora di notte? Non mi piace.
MERCURIO: – Mai visto un fifone così.
SOSIA: – Mi sorge un dubbio: che voglia rifarmi nuovo il mantello?
MERCURIO: – Se la fa addosso dalla paura. Adesso lo prendo per il bavero.
SOSIA: – I denti, mi prudono i denti. Sono fritto. Questo qui mi riserva un’accoglienza pugnace. Certo è un’anima buona. Il mio padrone vuole che stia sveglio? Sì, ma costui mi farà dormire a suon di sberle. Sono morto e sepolto. Dio mi salvi, guarda che muscoli, che spalle!
MERCURIO: – Ora gli parlo forte, così mi sente bene e gli cresce la fifa. (Alzando la voce) Su, avanti, pugni miei! È tanto tempo che non date foraggio alla mia pancia. Quant’è, un secolo?, che ieri ne avete mandato quattro a far la nanna, nudi e crudi?
SOSIA: – Povero me, qui mi cambio il nome. Quinto invece di Sosia. Dice che ne ha messi quattro a dormire. Che tocchi a me di far crescere il numero?
MERCURIO: – Lo dico e lo voglio. Ecco.
SOSIA: – Che fa? Si aggiusta la veste, si prepara.
MERCURIO: – Eh no, mica se la scampa, lui.
SOSIA: – Chi?
MERCURIO: – Chiunque si presenti, si abbuffa di botte.
SOSIA: – E chi vuole abbuffarsi? A quest’ora, poi. Ho già cenato, io: tienila per chi ha fame, la tua cena.
MERCURIO: – Che stazza, questo pugno; niente male.
SOSIA: – Sta pesando il suo pugno, sono fritto.
MERCURIO: – E se lo accarezzassi, tanto da farlo addormentare?
SOSIA: – Mi faresti un piacere. Sono tre notti filate che non riesco a chiudere occhio.
MERCURIO: – No, tutto sbagliato. Se io gli sgancio un gancio sulla guancia, mica può essere uno sguincio. Il mio pugno, dove arriva, deve cambiare i connotati.
SOSIA: – Ma cosa vuole farmi? La plastica facciale?
MERCURIO: – Basta che lo centri, io, e flash, la sua faccia si sfascia.
SOSIA: – Giuro che sta pensando di ridurmi come uno spezzatino. Via, via da questo squartatore! Se mi ha visto sono un uomo morto.
MERCURIO: – Qui c’è qualcuno che puzza. Peggio per lui.
SOSIA: – E quando mai ho puzzato?
MERCURIO: – Mica dev’essere lontano, però è stato lontano per un pezzo.
SOSIA: – È pure indovino, questo qui.
MERCURIO: – To’, mi prudono le mani.
SOSIA: – Per piacere! Se ti vuoi allenare su di me sfogati prima contro il muro.
MERCURIO: – Sssst. Una voce è volata al mio orecchio.
SOSIA: – Ma guarda che disgraziato! Ci ho la voce alata e non le ho tarpato le ali.
MERCURIO: – Ma che vuole da me? Mi sa che cerca guai per la sua bestia da soma.
SOSIA: – Bestia da soma? e chi ce l’ha?
MERCURIO: – Eh, sì, bisogna caricarlo di pugni.
SOSIA: – Caricare me? Il viaggio per mare mi ha distrutto, ci ho ancora la nausea, puh. Sto in piedi per scommessa senza carico. Non pensarci nemmeno, che io possa andare in giro con il carico.
MERCURIO: – Eppure parla, questo non so chi.
SOSIA: – Sono salvo! Non mi vede. Dice che parla Nonsochi. Io mi chiamo Sosia.
MERCURIO: – Da qui, mi pare, ma sì, dalla mia destra, una voce colpisce il mio orecchio.
SOSIA: – La mia voce colpisce? Chissà le sue bastonate.
MERCURIO: – Ma bene! Eccolo che viene qui da me.
SOSIA: – Che fifa! Mi sento tutto di ghiaccio. Se qualcuno mi chiede dove sono, non lo so più. Non mi posso neanche muovere, per colpa della paura. Povero me! Che brutta fine per gli ordini del padrone e per Sosia! Però, però, se gli vado incontro a muso duro, e gli parlo, può darsi che mi prenda per un fusto e tenga giù le sue manacce.
MERCURIO: – Dove diavolo vai, tu che porti Vulcano chiuso nel corno?
SOSIA: – Ma che diavolo vuoi, tu che disossi la gente con i pugni?
MERCURIO: – Sei libero o schiavo?
SOSIA: – Come mi pare.
MERCURIO: – Ah sì?
SOSIA: – Proprio così.
MERCURIO: – Tu sei pelle da frustate.
SOSIA: – Pura menzogna, la tua.
MERCURIO: – Ci penso io, adesso, a farti sputare la verità.
SOSIA: – E che bisogno c’è?
MERCURIO: – Posso saperlo, allora, di dove vieni, e dove vai, e di chi sei?
SOSIA: – Vado là. Sono il servo del mio padrone. E adesso ne sai di più?
MERCURIO: – Io, adesso, ti inchiavardo quella linguaccia, carogna.
SOSIA: – Non puoi, è vergine e ben custodita.
MERCURIO: – Sei anche spiritoso? Che ci fai vicino a questa casa?
SOSIA: – E tu, che c’entri?
MERCURIO: – Il Re Creonte, di notte, mette guardie dinanzi alle case.
SOSIA: – Fa bene. Noi eravamo lontani, lui ci ha custodito la casa. Ma adesso vattene, da bravo, e digli che la gente di famiglia è ritornata.
MERCURIO: – Io non lo so quanto sei di famiglia. Ma se non sparisci di colpo, caro familiare, farò che l’accoglienza ti riesca poco familiare.
SOSIA: – Io abito qui, ti dico, e sono servo di casa.
MERCURIO: – La sai una cosa? Se non sparisci, io farò di te un uomo importante.
SOSIA: – E come?
MERCURIO: – Mica te ne andrai con i tuoi piedi, eh no, sarai portato via tu, se metto mano al bastone.
SOSIA: – Ma io te lo ripeto, che sono di casa in questa casa.
MERCURIO: – Guarda che le buschi presto, se non sloggi subito.
SOSIA: – Io ritorno da un viaggio e tu vuoi proibirmi di entrare?
MERCURIO: – Perché, è casa tua?
SOSIA: – Te l’ho detto, no?
MERCURIO: – Chi è il tuo padrone?
SOSIA: – Il generalissimo tebano, Anfitrione, sposo di Alcmena.
MERCURIO: – Cosa vai dicendo… Tu come ti chiami?
SOSIA: – A Tebe mi chiamavano Sosia, figlio di Davo.
MERCURIO: – Che monumento di faccia tosta! Tu sei capitato qui per tua disgrazia, con il tuo carico di frottole tessute di imbrogli.
SOSIA: – Di tessuto ci ho soltanto la camicia, con cui sono arrivato.
MERCURIO: – Bugie, sempre bugie. Con i piedi, sei arrivato, non con la camicia.
SOSIA: – Questo è vero.
MERCURIO: – Vero è che le buschi per le tue bugie.
SOSIA: – È vero che non ci sto.
MERCURIO: – Vero è che le buschi lo stesso. Questo vero è vero e non una frottola. (Lo percuote)
SOSIA: – Pietà, ti prego!
MERCURIO: – Hai il coraggio di dire che sei Sosia, quando Sosia sono io?
SOSIA: – Sono morto.
MERCURIO: – Morto? Vedrai quello che ti spetta. Di chi sei, ora?
SOSIA: – Tuo sono. Mi hai acquistato a suon di pugni. Aiuto, cittadini di Tebe!
MERCURIO: – Gridi anche, razza di boia? Avanti, confessa: perché sei venuto?
SOSIA: – Perché tu avessi qualcuno da pestare.
MERCURIO: – Di chi sei?
SOSIA: – Di Anfitrione, l’ho detto, e sono Sosia.
MERCURIO: – Parli a vanvera, eh? Allora ne buscherai di più. Sosia sono io, non tu.
SOSIA: – Magari! Magari tu fossi Sosia e io ti bastonassi!
MERCURIO: – Cosa stai biascicando?
SOSIA: – Non parlo più.
MERCURIO: – Il tuo padrone, chi è?
SOSIA: – Chi vuoi tu.
MERCURIO: – E dunque! Come ti chiami adesso?
SOSIA: – Io non ho altro nome che quello che vuoi tu.
MERCURIO: – Dicevi che sei il Sosia di Anfitrione.
SOSIA: – Che sbaglio! Volevo dire socio.
MERCURIO: – Lo sapevo. Qui non c’è altro Sosia che me. Il cervello ti è andato in acqua.
SOSIA: – Fosse successo anche ai tuoi pugni!
MERCURIO: – Sono io quel Sosia che poc’anzi dicevi di essere tu.
SOSIA: – Ti prego, posso parlarti in santa pace, senza paura di buscarle?
MERCURIO: – Se hai qualcosa da dirmi, facciamo un piccolo armistizio.
SOSIA: – Parlerò soltanto a pace fatta, dato che tu picchi più forte.
MERCURIO: – Avanti, parla. Non ti toccherò!
SOSIA: – Posso fidarmi?
MERCURIO: – Devi.
SOSIA: – E se mi bidoni?
MERCURIO: – Che l’ira di Mercurio ricada su Sosia.
SOSIA: – Dammi retta. Adesso che ho licenza di parlare, ti dirò che sono Sosia, servo di Anfitrione.
MERCURIO: – Ricominci?
SOSIA: – Ho fatto la pace, concluso il trattato, dico la verità.
MERCURIO: – Adesso le buschi.
SOSIA: – Fa’ come ti pare e come ti piace, già che sei il più forte. Ma comunque tu faccia, io non tacerò la verità.
MERCURIO: – Tu oggi non mi impedirai mai di essere Sosia.
SOSIA: – E tu non mi impedirai di essere io. Sì, qui di Sosia ce n’è uno solo, e sono io. Io, che me ne sono andato alla guerra con Anfitrione.
MERCURIO: – Quest’uomo è malato nella testa.
SOSIA: – Malato sarai tu. Accidenti, non sono io Sosia, il servo di Anfitrione? Non è arrivata qui, stanotte, dal porto Persico, la nostra nave, che mi ha trasportato? Non mi ha mandato qui il mio padrone? E adesso non sono qui davanti alla nostra casa? Non ho in mano una lanterna? Non parlo? Non sono sveglio? Quest’uomo non mi ha pestato poco fa? Mi ha picchiato, accidenti, e le mascelle mi fanno ancora male, povero me. E allora perché dovrei avere dei dubbi? E perché non entro in casa nostra?
MERCURIO: – Come? Casa vostra?
SOSIA: – Proprio così.
MERCURIO: – Frottole. Tu hai raccontato un sacco di frottole. Sono io il Sosia di Anfitrione. Io. La nostra nave è salpata stanotte dal porto Persico, abbiamo espugnato la città sulla quale Ptérela regnava, abbiamo catturato, con la forza delle armi, le legioni dei Teleboi, Anfitrione in persona ha mozzato la testa di Ptérela nel vivo della battaglia.
SOSIA: – Non credo alle mie orecchie, quando gli sento dire queste cose. Non c’è dubbio, ricorda tutto, e racconta bene. Ma tu dimmi una cosa: ad Anfitrione, cosa gli hanno regalato i Teleboi?
MERCURIO: – La coppa d’oro da cui era solito bere il re Ptérela.
SOSIA: – L’ha detto. E dov’è adesso la coppa?
MERCURIO: – In un cofanetto, che reca il sigillo di Anfitrione.
SOSIA: – E il sigillo com’è?
MERCURIO: – Sole levante con quadriga. Ma tu vuoi prendermi in castagna, razza di boia?
SOSIA: – Mi frega, con le sue risposte. Qui mi debbo cercare un altro nome. Chissà da dove le ha viste, certe cose. Però io, adesso, lo metto a posto. Perché io, dentro la tenda, ci stavo da solo, e nessuno ha veduto quel che ho fatto e nessuno potrà mai raccontarlo. Se tu sei Sosia, dimmi un po’ che cosa facevi nella tenda mentre le legioni si scannavano. Se rispondi, mi arrendo.
MERCURIO: – C’era un orcio di vino. Io ne ho riempito un boccale.
SOSIA: – Ha cominciato bene.
MERCURIO: – Me lo sono scolato, schietto come mamma l’aveva fatto.
SOSIA: – Eh sì, me lo sono scolato, quel buon vino. Però è strano. Che si fosse nascosto nel boccale?
MERCURIO: – E adesso? L’ho dimostrato o no che non sei Sosia?
SOSIA: – Tu dici che io non sono io?
MERCURIO: – E come potrei non dirlo, se Sosia sono io?
SOSIA: – Giuro su Giove che io sono io e non dico il falso.
MERCURIO: – E io giuro su Mercurio che Giove non ti crede. Si fida più di me che dei tuoi giuramenti, anche se io non giuro.
SOSIA: – E io, allora, chi sono, se non sono Sosia? Te lo domando.
MERCURIO: – Quando non vorrò più essere Sosia, siilo pure tu. Ma mentre lo sono io, tu le buschi se non ti togli di mezzo, ignoto figlio di ignoti.
SOSIA: – Per Polluce! Quando lo guardo e vedo il mio aspetto, tale e quale, perché io sono uno che si specchia spesso, be’, non c’è nulla di più simile a me. Cappello e vestito, uguali. Gamba e piede, altezza, gli occhi e la tosata, labbra, naso, mascella, mento, barba, collo, tutto! Cosa posso dire? Se ci ha pure le cicatrici sulla schiena, non c’è nulla di più simile. Ma che cosa sto a pensare? Io sono quello che sono sempre stato, non c’è dubbio. Il padrone lo conosco, la nostra casa la conosco. Ci sento e ragiono, io. No, non gli do retta, a questo qui. Ora busso alla porta.
MERCURIO: – Dove vai?
SOSIA: – A casa.
MERCURIO: – Tu la farai franca, sì e no, soltanto se salterai sulla quadriga di Giove e taglierai la corda.
SOSIA: – Non glielo posso dire, alla mia padrona, quello che il padrone ha comandato?
MERCURIO: – Alla tua, tutto quello che vuoi. Alla mia qui, tu non ci arrivi, garantito. E bada che se perdo la pazienza, oggi ti porti via un lombifragio.
SOSIA: – Meglio tagliare la corda. Dèi immortali, vi prego: dov’è che sono morto? Dov’è che mi sono trasformato? Dov’è che l’ho perduta la mia persona? Il mio me, può essere che io l’abbia lasciato laggiù? Che io mi sia dimenticato? Di sicuro, proprio di sicuro, c’è che questo qui ha tutto l’aspetto che una volta era mio. Da vivo mi tocca quello che da morto non avrò: l’onore di un ritratto. Adesso vado al porto e gli racconto tutto, al mio padrone. Sempre che non dica anche lui che non mi riconosce. Magari! Magari Giove mi facesse la grazia! Me la toglierei, zic, zac, questa zazzera da schiavo, e metterei il berretto da uomo libero. (Esce)
(Plauto, Anfitrione: 263-462)