Ginzburg – Simbolismo e società dualiste

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I Voguli-Ostiaki, oggi insediati nella Siberia occidentale, fino al ‘200 occupavano una vasta zona attorno a Perm, sul versante opposto degli Urali.
Un mito racconta che tanto tempo fa alcuni cacciatori tornati dal bosco si preparavano da mangiare. Improvvisamente videro che si stava avvicinando una schiera di gente ostile. Una parte di cacciatori scappò, afferrando la carne ancora cruda. Gli altri rimasero e cominciarono a cucinare la carne nei calderoni: ma prima che fosse cotta dovettero fronteggiare un attacco dei nemici, da cui uscirono col naso rotto.

I discendenti dei mangiatori di carne cruda, detti Mos-chum, ossia gli uomini simili agli dèi, sono considerati intelligenti, civili, buoni; i discendenti dei mangiatori di carne mezza cotta, detti Por-chum, sono ritenuti invece stupidi, rozzi, cattivi. Ciascun gruppo ha i propri luoghi di culto e le proprie cerimonie; animali e vegetali sono classificati, a seconda dei casi come Mos (per esempio l’oca o la betulla) o come Por (per esempio l’orso e il larice).
Mos e Por costituiscono due fratrie esogame: ci si può sposare soltanto con i membri dell’altro gruppo. Il mito parla anche di una coppia di eroi fratelli che sono in rapporto Febbraio-mosaico-Soussecon questo sistema duale.

Sulle rive del Mediterraneo si racconta (Ovidio, Fasti, 2: 361 ss.) una storia simile. Qui i due fratelli, Romolo e Remo, sono i protagonisti. Al dio Fauno vengono, secondo il rito, sacrificate alcune capre. Mentre i sacerdoti preparano le offerte sacrificali, infilate in bacchette di salice, Romolo e Remo si tolgono le vesti e gareggiano con altri giovani.
Improvvisamente un pastore dà l’allarme: ci sono dei briganti che stanno portando via i fratelli. Senza nemmeno prendere le armi i giovani si buttano all’inseguimento. Remo torna col bottino, toglie dagli spiedi le carni che friggono e le mangia, dividendole con i Fabii: «Certo queste spettano al vincitore». Arriva Romolo deluso, vede le ossa spolpate (ossaque nuda) e si mette a ridere, rammaricandosi per la vittoria di Remo e dei Fabii, e la sconfitta dei suoi Quintilii. In memoria di quel lontano evento, ogni anno, il 15 febbraio, veniva celebrata a Roma la festa dei Lupercalia: luperci Quinctiales e luperci Fabiani gareggiavano correndo nudi attorno al Palatino. Alcune leggende sulla più antica storia di Roma parlano di un sacrificio interrotto da una battaglia.

Ancora più strette le analogie tra il racconto di Ovidio e il mito di Caco, il brigante. Caco ruba una mandria di buoi; Ercole li ritrova, uccide Caco e istituisce un culto presso l’Ara Massima, affidando la celebrazione del sacrificio ai rappresentanti di due famiglie nobili, i Potitii e i Pinarii; Pinario arriva in ritardo, quando le offerte sono già state mangiate e viene escluso, assieme ai discendenti, dall’esercizio del culto. Ma tutto ciò non illumina le analogie, davvero sconcertanti, tra il mito dei Voguli-Ostiaki e quello, registrato quasi due millenni prima, sull’origine dei Lupercalia.

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Che i due racconti sul pasto (o sul sacrificio) interrotto dall’arrivo dei ladri di bestiame siano il risultato di una convergenza indipendente, sembra molto improbabile. Restano due ipotesi, la derivazione da un modello comune o il prestito. Entrambe implicano che questo schema narrativo si sia mantenuto pressoché intatto per un tempo lunghissimo – secoli e secoli, se non addirittura millenni. L’analisi dei rispettivi contesti dovrebbe permetterci di capire come ciò sia stato possibile.

Da un lato, abbiamo un’area, coincidente in sostanza con l’Asia centrale, in cui a) si conoscono molti casi di doppia monarchia o doppio potere; b) si è soliti classificare i legami di parentela secondo due grandi categorie, identificate rispettivamente con l’«osso» (la linea paterna) e la «carne» (la linea materna); c) è frequente il sistema matrimoniale dello scambio generalizzato che implica, come scelta preferenziale, il matrimonio tra cugini incrociati matrilaterali (il figlio della sorella sposa la figlia del fratello).
Dall’altro lato, il Lazio, dove (a) è presente sotto forma di tracce, mentre (b) e (c) sono del tutto assenti.

Nei due miti, classi esogame e contrapposizione carne/ossa sono disgiunte: in quello dei Voguli-Ostiaki troviamo solo la prima, in quello riferito da Ovidio solo la seconda.
Naturalmente sarebbe assurdo vedere in questa disgiunzione la prova che anche nel Lazio dovette esistere, in età protostorica, un sistema basato su classi esogame. È più Mellon-dualismoverosimile supporre che i due miti interpretassero gli elementi dualisti presenti, in misura molto diversa, nelle due società.
Anche nel Vecchio Testamento l’ostilità tra i due gemelli, Esaù e Giacobbe, anticipa e giustifica quella tra i rispettivi discendenti, Idumei e Israeliti. E anche in questo casso la supremazia di Giacobbe si accompagna a una rinuncia alimentare: la minestra di lenticchie ceduta a Esaù in cambio della primogenitura (Genesi, 25: 29-34).

Un gran numero di società dualiste è stato rintracciato in Asia, nelle Americhe, in Australia (in Africa sono molto più rare). Tra le caratteristiche che le accomunano troviamo vari elementi che compaiono anche nel mito fondatore dei Voguli-Ostiaki: presenza di metà esogamiche, legate da scambi non solo matrimoniali, ma economici o cerimoniali; discendenza spesso matrilineare; posizione di rilievo attribuita, nella mitologia, a una coppia di fratelli o gemelli; in molti casi spartizione del potere tra due capi, con funzioni diverse; classificazione degli esseri e delle cose in coppie contrapposte; giochi o gare in cui si esprime il rapporto tra metà esogamiche, che è al tempo stesso di rivalità e di solidarietà.

La dispersione di società con caratteristiche così simili è stata interpretata in modi diversi: i sostenitori della tesi storica propendono per la diffusione a partire da un punto determinato; i sostenitori della tesi strutturale postulano l’azione indipendente di una tendenza umana innata. Per questi motivi l’origine delle società dualiste è stata considerata un caso cruciale per discutere il rapporto tra storia e struttura.
I risultati della nostra ricerca ci indicano una soluzione. Anche se si riuscisse a dimostrare che le società dualiste si sono diffuse a partire da un punto preciso dell’Asia centrale (è un esempio fittizio) i motivi della loro distribuzione e persistenza rimarrebbero inesplicati.

Qui subentrano le considerazioni di ordine strutturale, che concernono l’esistenza potenziale, e non attuale, delle società dualiste. La fisionomia dicotomica di queste società (è stato detto) è il risultato della reciprocità, di un rapporto complementare che implica uno scambio di donne, di prestazioni economiche, di cerimonie funerarie o di altro tipo. Lo scambio, a sua volta, scaturisce dalla formulazione di una serie di opposizioni. E la capacità di esprimere i rapporti biologici sotto forma di sistemi di opposizioni è la caratteristica specifica di ciò che chiamiamo cultura.

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Le caratteristiche elementari delle società dualiste hanno sollecitato, come si vede, riflessioni di carattere molto generale. Ma in questa direzione si può fare ancora un pezzo di strada.
Le fasi più antiche della storia umana vengono distinte tradizionalmente in base alla materia degli utensili adoperati: pietra (scheggiata o levigata), ferro, bronzo. Si tratta di una classificazione convenzionale, basata su elementi esterni. Ma è stato osservato che l’uso di utensili, per quanto decisivo, non contraddistingue in maniera specifica la specie umana. Anche se in misura molto limitata, esso è condiviso da altre specie animali.
Solo la specie umana, invece, ha l’abitudine di raccogliere, produrre, ammassare o distruggere (a seconda dei casi) oggetti che hanno un’unica funzione, quella di significare: offerte agli dèi o ai morti, suppellettili funerarie sepolte nelle tombe, reliquie, opere d’arte o curiosità naturali conservate in musei o collezioni.

A differenza delle cose, questi oggetti portatori di significato, o semiofori (come sono stati definiti), hanno la prerogativa di mettere in comunicazione il visibile con l’invisibile, ossia con eventi o persone lontani nello spazio o nel tempo, se non addirittura con esseri situati al di fuori di entrambi – morti, antenati, divinità.
La capacità di oltrepassare l’ambito dell’esperienza sensibile immediata è del resto il tratto che contraddistingue il linguaggio, e più in generale la cultura umana. Essa nasce caverna-Altamiradall’elaborazione dell’assenza.

Nello sviluppo intellettuale dell’essere umano questa elaborazione comincia già nella primissima infanzia, durante il processo di costruzione di un mondo di oggetti, e prosegue nell’attività di formazione simbolica.
Si potrebbe essere tentati di riproporre la vecchia tesi che l’ontogenesi ricapitola la filogenesi – che l’individuo percorre nella sua crescita le tappe percorse dalla specie umana. L’osservazione del presente consentirebbe allora di afferrare un passato altrimenti inattingibile.
Nel gesto del bambino di diciotto mesi, che (forse) rivive le reazioni suscitate dall’assenza e dal ritorno della madre gettando lontano da sé un rocchetto avvolto in un filo, per ritrovarlo gioiosamente subito dopo, si è riconosciuto un modello di ripetizione simbolica, controllata e non coatta, del passato.

Ma è lecito cercare le radici del simbolismo mitico-rituale nella psicologia infantile?
Ammettiamo pure che il bambino usi il rocchetto come un semioforo; che il rocchetto designi la madre, sia la madre. Un esempio basterà a illuminare le potenzialità e i limiti dell’analogia tra individuo e specie.

L’uso di raccogliere le ossa degli animali uccisi per farli risuscitare è certamente molto antico, come fa capire la distribuzione geografica (Eurasia, Africa, Americhe) delle testimonianze mitiche e rituali.
Proviamo a supporre a) una specie animale che b) tragga buona parte dei propri mezzi di sussistenza dall’uccisione di c) altre specie animali, d) vertebrate, e) reperibili in quantità non illimitata. Ci sono forti probabilità che questa specie finisca prima o poi con l’utilizzare le ossa degli animali uccisi come semiofori. Bisogna però che alle condizioni già ricordate se ne aggiunga un’altra, decisiva: la specie in questione deve disporre già di quelle capacità simboliche che attribuiamo in maniera esclusiva alla specie homo sapiens. Con ciò il cerchio si chiude. L’origine ci è, per definizione, preclusa.

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Non è nemmeno certo, del resto, che un rito del genere venisse praticato (come pure si è supposto) nel Paleolitico. Ma chiunque fossero i cacciatori che raccolsero per la prima volta le ossa di un animale ucciso perché risuscitasse, il senso del loro gesto sembra chiaro: mettere in comunicazione il visibile con l’invisibile, il mondo dell’esperienza sensibile dominato dalla scarsità col mondo al di là dell’orizzonte, popolato di animali.
Il perpetuarsi della specie al di là della morte del singolo individuo (della singola preda) provava l’efficacia del rito magico imperniato sulla raccolta delle ossa. Ogni animale che si affacciava all’orizzonte era un animale risuscitato. Di qui l’identificazione profonda tra animali e morti: due espressioni dell’alterità. L’aldilà è stato prima di tutto, letteralmente, l’altrove. La morte può essere considerata come un caso particolare dell’assenza.

Queste considerazioni (inevitabilmente piuttosto mitopoietiche che mitologiche) gettano luce sulla distribuzione e persistenza delle società dualiste. Nel rapporto tra iniziati e non iniziati, anzi in tutte le situazioni in cui la società si divide in due gruppi, è stata riconosciuta l’espressione dell’opposizione suprema, quella tra morti e vivi.
Un’affermazione di portata così generale potrà sembrare imprudente. Ma l’indagine sui fenomeni estatici in ambito europeo ci ha portato esattamente alle stesse conclusioni.

Dietro le descrizioni delle battaglie combattute in estasi o in sogno da benandanti, burkudzäutä, lupi mannari, táltos, kresniki, mazzeri, avevamo intravisto una sotterranea Rickaert-benandantiaffinità tra questi personaggi e i loro avversari. Da un lato, viventi assimilati ai morti attraverso l’estasi; dall’altro, a seconda dei casi, morti, stregoni, altri componenti dello stesso gruppo iniziatico.
Tra i possibili equivalenti rituali di queste battaglie estatiche avevamo ricordato i Lupercalia: una festa che si svolgeva in un periodo dell’anno consacrato ai morti, che prevedeva una gara tra due gruppi iniziatici omologhi, che aveva lo scopo esplicito di procurare fertilità. Omologhi ma non simmetrici, come ci ricorda il racconto del sacrificio interrotto che nei Fasti di Ovidio illustra l’origine dei Lupercalia.

I cibi meno appetibili o immangiabili – carne cruda o ossa, a seconda dei casi – spettano agli esseri gerarchicamente superiori: tra i Voguli-Ostiaki, ai Mos-chum, ossia agli uomini simili agli dèi: nel Lazio, a Romolo, il futuro re divinizzato dopo la morte come Quirino. Abbiamo già rilevato che anche Giacobbe, il futuro prescelto da Dio, rinuncia alla propria minestra di lenticchie; e che il sacrificio di Prometeo destina la carne e le viscere agli uomini, le ossa agli dèi.

Abbiamo definito animali e morti «due espressioni dell’alterità». Anche qui la formula un po’ spiccia rinvia a risultati già raggiunti.
Sulla connotazione funebre di divinità semi-bestiali come Richella, o circondate da bestie come Oriente – lontane eredi dell’antichissima «signora degli animali» – non c’è bisogno d’insistere. Le seguaci di Diana, Perchta, Holda percorrevano i cieli in groppa a bestie non meglio precisate; i benandanti, durante le loro catalessi, facevano uscire lo spirito, sotto forma di topo o di farfalla, dal corpo esanime; i táltos assumevano le sembianze di stalloni o di tori, i lupi mannari di lupi; streghe e stregoni andavano al sabba in groppa a caproni, o trasformati in gatti, lupi, lepri; i partecipanti ai riti delle calende si mascheravano da cervi o da giovenche; gli sciamani si vestivano di piume per prepararsi ai loro viaggi estatici; l’eroe delle fiabe di magia si dirigeva, inforcando cavalcature di ogni genere, verso reami misteriosi e remoti – o semplicemente, come in un racconto siberiano, scavalcava un tronco d’albero abbattuto e si trasformava in orso, entrando nel mondo dei morti.

Metamorfosi, cavalcate, estasi seguite dalla fuoruscita dell’anima in forma di animale, sono vie diverse che portano a un’unica meta. Tra animali e anime, animali e morti, animali e aldilà esiste una connessione profonda…

(Ginzburg, Storia notturna)