Eliade – Il drago e lo sciamano

La storia delle interpretazioni moderna del mito, da Max Müller a Claude Lévi-Strauss, costituisce un oggetto affascinante per una monografia di competenza della storia delle idee. Il mito, dopo essere stato definito come una malattia del linguaggio (Max Müller), mantello-peruvianouna creazione animista ingenua (E. B. Tylor), una fantasia degradata (Andrew Lang), una proiezione dei fenomeni astrali (le scuole tedesche astro-mitologica e pan-babilonese), una verbalizzazione del rituale (W. Robertson Smith, Jane Harrison e la scuola britannica del mito e del rituale) o un fantasma legato a un parricidio primordiale (Freud) o all’inconscio collettivo (Jung), ha cominciato ad esser compreso in un modo più positivo. In altre parole, si è giunti a vedere il mito sia come una storia sacra, modello e giustificazione dell’esistenza umana, sia come l’espressione di un «pensiero selvaggio» che non è meno coerente e, dunque, valido.
Il primo gruppo di interpretazioni insiste sui valori religiosi del mito, mentre il secondo gruppo, e in particolare l’interpretazione di Lévi-Strauss, sottolinea le strutture logiche del pensiero mitico. Il primo annovera principalmente degli storici delle religioni, il secondo degli antropologi e dei folcloristi.

Non ho l’intenzione di riassumere qui la mia interpretazione del pensiero mitologico e del ruolo del mito nella vita religiosa. Mi limiterò a una breve discussione su alcuni rapporti fra il mito e la «storia» in una popolazione particolarmente arcaica, i Campa del Perù.
Non penso che potremo cogliere la struttura e la funzione del pensiero mitico in una società che ha il mito come fondamento, se non prendiamo in considerazione la mitologia nella sua totalità e, nello stesso tempo, la scala dei valori che una tale mitologia rivela esplicitamente o implicitamente.

Ora, ogni volta che abbiamo accesso a una tradizione ancora vivente e non acculturata, veniamo colpiti fin dall’inizio dal seguente fatto: non solo la mitologia costituisce la «storia sacra» della tribù, non solo spiega la realtà totale e ne giustifica le contraddizioni, ma rivela anche una gerarchia nella serie degli avvenimenti favolosi che riferisce.
In generale, si può dire che ogni mito riferisce come qualcosa è venuto ad esistere – il mondo o l’uomo o una specie animale o una istituzione sociale e così via. Ma, per il fatto stesso che la creazione del mondo precede tutto il resto, la cosmogonia gode di un particolare prestigio.

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Effettivamente, il mito cosmogonico fornisce il modello di tutti i miti d’origine. La creazione degli animali, delle piante e dell’uomo presuppone l’esistenza di un mondo. Finanche nelle religioni in cui il mito cosmogonico stricto sensu è sconosciuto (come è il caso, ad esempio, di numerose tribù australiane), c’è sempre un mito centrale che descrive gli inizi del mondo, cioè quello che è avvenuto prima che il mondo diventasse ciò che è oggi.
Così c’è sempre una storia primordiale e questa storia ha un inizio – un vero mito cosmogonico o un mito che descrive il primo stato, lo stato germinale del mondo. Questo inizio è sempre implicito nella serie dei miti che riferiscono gli avvenimenti favolosi che si verificarono dopo la creazione o la venuta al mondo dell’universo, e cioè nei miti dell’origine delle piante, degli animali e dell’uomo, o dell’origine del matrimonio, della famiglia, della morte, ecc. Presi tutti insieme, questi miti d’origine formano una storia assai coerente.

Ora questa storia primordiale, sacra, costituita dalla totalità dei miti significativi, è fondamentale perché spiega, e con ciò stesso giustifica, l’esistenza del mondo, dell’uomo e della società. È la ragione per la quale una mitologia è subito vista come una storia vera: essa riferisce come le cose sono apparse fornendo il modello esemplare e quindi la Delfin-storie-peruvianegiustificazione delle attività dell’uomo.

Solo se prendiamo in considerazione il mito centrale di una particolare società, siamo in grado di cogliere il suo valore «esistenziale» per i membri di tale comunità. La mitologia non soltanto costituisce il modello di ogni azione umana responsabile, ma fornisce anche una spiegazione di ciò che l’Occidente chiama «storia» e «avvenimenti storici».
Come vedremo, il mito cosmogonico e i miti d’origine che ne costituiscono il prolungamento, aiutano una popolazione «primitiva» a trovare il senso di una serie di avvenimenti storici tragici; inoltre, questi miti forniscono i mezzi per resistere al terrore e alla disperazione provocati da avvenimenti storici catastrofici.

In ultima analisi, la mitologia ci permette di comprendere la storia recente di una società arcaica. Effettivamente, scopriamo che, in certi casi, una società arcaica non crolla sotto «il terrore della storia», ma che, reinterpretando il mito centrale (cioè cosmogonico), essa trova la forza di adattarsi a una situazione critica e così di sopravvivere in un nuovo contesto storico. In altre parole, la «storia sacra» rivelata nella mitologia tradizionale permette a una società arcaica di vivere storicamente e anche di «fare» della storia.
La tribù sudamericana dei Campa illustra mirabilmente ciò che ritengo il senso fondamentale e la funzione del mito cosmogonico. Non vedo, effettivamente, quale altro esempio potrebbe meglio render conto del ruolo eccezionale del mito cosmogonico e dei miti d’origine.

I Campa, che appartengono alla famiglia linguistica Arawak, sono la più grande tribù vivente nelle montagne del Perù. Benché le loro tradizioni religiose e culturale siano conosciute dal XVI secolo e siano state studiate da studiosi come Otto Nordenskiöold e Günther Tessman, solo da poco tempo, e ciò grazie in particolare all’etnologo peruviano Cantuarias-donne-peruvianeStefano Varese, abbiamo cominciato a comprenderle.
Il grande interesse che i Campa rivestono per il nostro tema è dovuto al fatto che disponiamo su di loro di un gran numero di fonti scritte che vanno dal XVI al XVIII secolo (soprattutto lettere e memorie di missionari e di amministratori coloniali); in tal modo, ora che cominciamo a conoscere le loro tradizioni, possiamo giudicare il modo in cui hanno reagito all’avvenimento più tragico della loro storia – l’incontro con i conquistatori spagnoli.

Secondo la mitologia Campa, all’inizio il dio Oriátziri creò il mondo, le specie animali e infine i Campa e le tribù vicine. Gli uomini bianchi non appartengono a questa Creazione primordiale; essi sono venuti più tardi e la loro apparizione annuncia l’imminente fine del mondo. Il mito ci racconta che i Bianchi emersero dall’oscurità acquatica sotterranea e, di conseguenza, sono assimilati al mostruoso drago Nónkhi, cioè al principio del Male, origine della malattia e della morte.
In effetti, il mito riferisce come, subito dopo la sua emersione, l’uomo bianco sterminò tutta la popolazione Campa, con l’eccezione dello sciamano primordiale, il quale, grazie ai suoi poteri spirituali, non poteva essere distrutto, e alla fine trionferà sull’uomo bianco poiché, negli inizi mitologici, ha vinto il demone Nónkhi. In altre parole, l’apparizione dell’uomo bianco ha un significato escatologico: essa proclama la fine imminente del mondo e la creazione di un nuovo mondo, interamente rigenerato, in cui gli uomini bianchi ritorneranno definitivamente alla loro preesistenza sotterranea, larvale.

Lo sciamano, o l’eroe escatologico, combatte le potenze del Male per installare di nuovo la perfezione delle prime età. Tali crisi escatologiche hanno avuto luogo numerose volte e la più recente è stata la ribellione del «messia» nazionale Juan Santos Atahualpa, nella seconda metà del XVIII secolo.

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Atahualpa riconquistò l’autonomia politica, spirituale ed economica dei Campa battendo le truppe coloniali spagnole e scacciando i missionari cristiani. Per più di dieci anni, i Campa vissero in una indipendenza quasi completa. Inoltre, questo movimento messianico non finì nella disperazione e nel nichilismo, come avviene abitualmente con i culti millenaristici e messianici moderni. Non si sa nulla della morte di Atahualpa, avvenuta probabilmente circa dieci anni dopo la ribellione, ma i Campa credono che egli sia semplicemente «scomparso», che si sia «trasformato in fumo».

Così una serie di avvenimenti storici importanti e collegati – l’apparizione dell’uomo bianco nel XVI secolo e la rivoluzione «messianica» vittoriosa di Juan Santos Atahualpa contro le autorità coloniali spagnole nel XVIII secolo – sono stati reinterpretati, nella prospettiva della mitologia tribale, come i due momenti più spettacolari: la fine di un ciclo e l’inizio di un altro – intervallo terrificante ma glorioso in cui si attende che l’Endzeit [il tempo della fine] si fondi sull’Urzeit [il tempo primordiale].
Una tale trasformazione degli avvenimenti storici in episodi mitici non implica un’ideologia di fuga. I Campa non si ritirarono dall’attualità storica per rifugiarsi in un universo favoloso, soprannaturale. Essi vivevano in quello che noi chiamiamo il presente Juan-Santos-Atahualpastorico e cercavano di fronteggiare la situazione nuova creata dalla presenza delle truppe spagnole e dei mercenari.

I Campa non proclamarono la natura demoniaca dei Bianchi fin dall’inizio, ma soltanto quando gli Spagnoli, con le loro azioni e con il loro comportamento, vennero identificati con delle malattie sconosciute e fatali, accompagnate dalla violenza e dalla morte.
Il mito cosmogonico aiutò i Campa a comprendere la natura degli invasori e la loro origine: questi ultimi non potevano essere che una epifania del drago primordiale e, di conseguenza, il loro luogo di nascita doveva essere stato il mondo sotterraneo. Quando i Campa ebbero compreso l’identità reale dei conquistadores, seppero che cosa sarebbe successo in un prossimo futuro – la fine del mondo, ma anche la vittoria dello sciamano primordiale sulla nuova incarnazione del drago, l’uomo bianco. Il mito preesistente dava un senso e un significato al momento storico tragico e, contemporaneamente, rassicurava i Campa, poiché a questa tragedia sarebbe seguita una evidente restaurazione dell’ordine tradizionale.

L’elemento centrale di questo mito escatologico, cioè la possibilità di comprendere la storia e di superarla, consiste nella presenza di uno sciamano, l’eroe carismatico, e nella certezza che per tutto il tempo in cui la saggezza tradizionale e il potere spirituale sono ancora con i Campa, costoro possono sperare in un avvenire migliore. La tragedia reale comincia quando questo elemento di continuità, rappresentato dalla scienza tradizionale dello sciamano, è minacciato.
Un altro mito importante illustra questo pericolo.

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Un tempo, i Campa erano poveri, come essi stessi affermano; non possedevano gran che, ma potevano ottenere ciò di cui avevano bisogno facendo dei baratti con le tribù vicine o andando a chiederlo a un essere divino, Pachakamáite.
Questo Pachakamáite, senza essere un Creatore né un demiurgo, era l’autore e il proprietario di tutti gli utensili detenuti dai missionari e dai coloni, compreso il sale, che non si poteva più ottenere, come prima, con lo scambio tradizionale. Pachakamáite viveva molto lontano, e perciò arrivare fino a lui equivaleva a una prova iniziatica. Bisognava penetrare in caverne oscure e vincere il mostro che custodiva i beni. Per questo motivo, il viaggiatore, prima di partire, curava minuziosamente il suo viso e i suoi vestiti. Quando giungeva alla presenza di Pachakamáite, lo attendevano altre prove: non doveva soprattutto sedersi e, dopo aver ricevuto i doni, doveva fuggire di corsa, inseguito da un essere demoniaco di sesso femminile.

Il ritorno dell’eroe costituiva un avvenimento benefico per l’intera comunità poiché ogni individuo della tribù riceveva una parte dei doni divini portati con il commercio tradizionale. (A partire da questo episodio si può comprendere il dramma di una società tradizionale quando gli Occidentali impediscono la sua attività culturale originale così come la sua vita sacramentale e il suo commercio sacro).
Pachakamáite vive molto lontano e, ai nostri giorni, la strada è interrotta dagli sbarramenti dell’uomo bianco. Un tempo, i commercianti tradizionali e gli sciamani Lecaros-villaggio-andinopotevano trovare Pachakamáite, ma oggi sono tutti morti; i Campa hanno perduto la «scienza che salva» e sono in fase di decadenza. La loro povertà materiale e spirituale si spiega con la perdita di contatto con la vita divina, e dunque con la perdita del libero scambio tradizionale dei beni.
Come in tanti altri cargo cult messianici, anche i Campa considerano i beni di origine europea come dei doni di uno dei loro esseri soprannaturali (in questo caso Pachakamáite). Essi suppongono che questi doni divini siano stati intercettati e confiscati dall’uomo bianco, il quale, invece di distribuirli liberamente, li vende in cambio di denaro.

In questa situazione senza via d’uscita, in questo smarrimento spirituale, i Campa affidano l’ultima speranza ai loro sciamani: solo essi, infatti, possono salvare l’ordine primitivo tradizionale. Attendere la restaurazione dell’ordine primordiale non significa dunque idealizzare illusoriamente il passato, e neppure negare l’avvenire, ma piuttosto proclamare la propria volontà di vivere in armonia con i princìpi fondamentali della civiltà Campa tradizionale.

Anche se sommaria, questa presentazione del mito cosmogonico e dei miti d’origine complementari, ci permette di giudicare la loro funzione «esistenziale» e «storica» (e, alla fine, politica). L’incontro tragico dei Campa con l’uomo bianco, sia con i conquistadores che con i missionari e gli amministratori, trova un senso e una giustificazione nel mito del drago Nónkhi.
Un avvenimento storico è così integrato nella storia tribale sacra. Per questo fatto, non solo è «accettato» passivamente, ma provoca anche una reazione «storica» reale (ad esempio la ribellione di Atahualpa) poiché il mito ha proclamato fin dall’inizio la sconfitta finale del drago ad opera del primo sciamano.

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Così il mito fornisce allo stesso tempo un «senso» a degli avvenimenti storici passati e una cornice a delle azioni storiche future: il «messia» Atahualpa ha potuto apparire e trionfare sugli Spagnoli poiché, nei tempi mitici, il primo sciamano aveva vinto il drago Nónkhi, fons et origo dell’uomo bianco.
Allo stesso modo, benché ai giorni nostri l’uomo bianco abbia interrotto la strada che conduce a Pachakamáite, costringendo i Campa a vivere in povertà, costoro conservano sempre la speranza di una nuova epifania del primo sciamano, che restaurerà la civiltà e l’ordine tradizionale.

Riassumendo, l’esempio dei Campa illustra una volta di più il ruolo centrale del mito cosmogonico e dei miti d’origine in una cultura «primitiva». Questi miti non hanno lo stesso statuto di altri miti e fiabe, secondari o eziologici, malgrado la struttura analoga di tutti questi tipi di narrazione tradizionale. Essi sono delle «storie sacre» e, in quanto tali, danno informazioni su tutta la vita, religiosa, culturale e «storica» della società.

(Eliade, Spezzare il tetto della casa)