In una fattoria della parrocchia di Llanfabon, vicino al confine orientale di Glamorgan, viveva, tanto tempo fa, una giovane vedova con un bambino piccolo. Il bambino aveva tre anni, si chiamava Griff ed era piuttosto alto per la sua età. Non vi era madre e figlio in tutto il paese che si volessero così bene come loro.
Un giorno accadde che nella parrocchia arrivarono le fate. Costoro erano famigerate per due motivi: erano terribilmente brutte e giocavano dei brutti tiri alle persone. Attiravano uomini e donne con i loro canti e le loro musiche, poi li abbandonavano in mezzo al fango, oppure li facevano sguazzare negli acquitrini. E, peggio ancora, rapivano i bambini dalla culla con la stessa rapidità e agilità che occorre per rompere una noce.
Non c’è quindi da stupirsi se la vedova teneva sempre d’occhio il figlioletto e se gli voleva ancor più bene, proprio perché era esposto a questo grave rischio. Tuttavia, come dice il proverbio, che si tratti di vento o di alluvione, quello che deve capitare capita.
E così, un giorno, mentre era in cucina a riscaldare il porridge per Griff, sentì dei gemiti e dei piagnucolii provenire dalla stalla delle mucche, come se una di queste stesse morendo. Tolse allora rapidamente il porridge dal fuoco e corse nella stalla ma, a parte i finimenti delle mucche che si muovevano, non vide e non udì nulla di particolare.
Quando tornò in cucina si accorse però che il suo figlioletto era scomparso. Non c’era un’anima. E la poveretta, sempre più spaventata e preoccupata, lo cercò per tutta la casa, ma non trovò nessuno. Tutto il pomeriggio lo cercò nei paraggi della fattoria, ma inutilmente.
«Griff!», gridò in tutte le direzioni, ma per quanto attentamente cercasse e per quanto forte gridasse non trovò di lui la benché minima traccia.
Verso il tramonto, si sedette stanca su una sedia e si sfilò il grembiule dalla testa, quando a un tratto sentì un rumore alla porta. Balzò in piedi con un grido e vide un bambino che la stava guardando.
Costui disse solo una parola: «Mamma!».
Lei lo osservò dalla punta dei capelli alla suola delle scarpe rosse. Poi scosse la testa e disse: «Tu non sei il mio Griff».
«Invece sono proprio io», rispose il bambino.
Era uguale al suo Griff come un agnello è uguale all’altro (anche se, per chi li nutre, un agnello non è mai uguale a un altro).
Per evitare di commettere qualche errore, lo fece entrare nella stanza, gli diede il porridge di Griff e lo trattò come se fosse il suo figlioletto.
Tuttavia, si sentiva a disagio. Il bambino non cresceva, mentre a Griff, da una stagione all’altra, i vestiti non andavano più bene. Inoltre, quel marmocchio di giorno in giorno diventava sempre più brutto, mentre Griff era così bello che sembrava dipinto.
Alla fine si decise ad andare dal saggio di Castell-y-Nos e di chiedergli il suo parere a proposito.
«Sei capitata dalla persona giusta – le disse il vecchio saggio, dopo aver ascoltato la sua storia e averle posto ventuno domande. – E se seguirai le mie indicazioni, le tue preoccupazioni avranno fine. Domani, alle dodici in punto, prendi un uovo di gallina e rompilo a metà. Una metà buttala via, l’altra tienila nella mano sinistra e con la destra sbattila per un momento. Fa’ in modo che il piccolo veda ciò che stai facendo, ma senza fargli capire che hai voluto attirare la sua attenzione. Aspetta che lui ti chieda cosa stai facendo. Digli che stai facendo la pasta per gli scoiattoli e, se ti risponderà, tieni bene a mente quello che ti dice, torna da me a riferirmelo, e poi vedremo cosa fare».
La donna rincasò. A mezzogiorno del giorno successivo seguì le indicazioni del vecchio saggio in tutti i dettagli. S’accorse che il bambino la seguiva con lo sguardo mentre rompeva l’uovo e cominciava a sbatterne metà. L’espressione del suo viso si fece cupa.
«Madre – chiese – che cosa stai facendo con quel guscio d’uovo?».
«Preparo la pasta per gli scoiattoli, bambino mio».
«Ah, è così?», disse, e guardandola con un’espressione così cattiva che lei a stento riuscì a sostenerne lo sguardo, recitò la seguente strofa:
Ho visto la ghianda prima che diventasse quercia,
ho visto l’uovo prima che la gallina lo facesse,
ma non ho mai visto prima d’ora una donna
che prepara la pasta in un guscio d’uovo.
Il pomeriggio, la vedova si recò di nuovo a Castell-y-Nos, e raccontò parola per parola al saggio ciò che il bambino aveva detto.
«Non vi è alcun dubbio – disse il vecchio. – Il piccolo fa sicuramente parte del popolo delle fate. Se ha visto la ghianda prima che diventasse quercia, deve avere come minimo trecento anni. Tra quattro notti è plenilunio, e tu dovrai fare come ti dico. A mezzanotte in punto va’ dove s’incrociano le quattro strade e nasconditi in modo da poter vedere tutto ciò che accade senza però essere vista. Può succedere che su una delle quattro strade accada qualcosa che ti spingerà a saltar fuori e metterti a gridare. Ma ti avverto: per nessuna ragione devi muoverti, perché se ti sorprendono non avrai più nessuna possibilità di rivedere tuo figlio».
La donna rincasò tutta preoccupata, perché non sapeva che cosa l’attendeva nella notte di plenilunio. Non aveva nemmeno molta voglia di assistere alle magie di mezzanotte. Tuttavia, dato che voleva assolutamente riavere suo figlio e che non sopportava più il bambino che aveva preso il suo posto, si rafforzò nella sua decisione.
All’ora stabilita, quattro notti dopo, si recò nel luogo indicato, avvolta in un mantello nero e con uno scialle in testa.
Trovò un grosso cespuglio dietro il quale si nascose, e lì attese la mezzanotte. Per un po’ di tempo fu tutto tranquillo; solo sulle colline si sentivano ululare le volpi. Poi vi fu un momento di assoluto silenzio finché, vicino al fiume, si sentì il richiamo di un gufo. Nel silenzio si fece largo un debole suono di musica, di violini, di arpe e di voci lievi che provenivano di lontano, ma che lentamente si stavano avvicinando.
La vedova stava per addormentarsi al suono di quella musica, però lottò contro la stanchezza e vide avvicinarsi sulla strada che veniva da nord una schiera di piccoli uomini con cappelli rossi di cotone e donne con gonne blu. Alcuni saltellavano, altri avevano degli strumenti a corda. In breve tempo le passarono davanti almeno cento di questi uomini. In mezzo alla processione, sorvegliato da quattro fate, avanzava il suo figlioletto Griff, il bambino perduto, un anno più vecchio, più cresciuto, ma magro ed emaciato.
In quel momento fu tentata di fare un balzo fuori dal cespuglio, precipitarsi tra le fate e liberare il figlioletto, ma il grido di una civetta le ricordò l’avvertimento del saggio e si acquattò nuovamente tra le frasche.
Dopo alcuni minuti il corteo delle fate era passato. Ancora per un po’ di tempo vide, alla luce della luna, i berretti rossi e le gonne blu, sentì musica e voci, poi i rumori si spensero verso sud. Si alzò e corse a casa.
Il mattino seguente dovette trattenersi per non tradire la propria rabbia per il piccolo impostore che veniva a fare colazione e a farsi pettinare i capelli da lei. Ogni volta che si sentiva chiamare «mamma», era per lei come ricevere una pugnalata al cuore. Ma la posta in gioco era alta e lei riuscì a dominarsi. Per tutto il giorno, agli occhi del bambino continuò a fingersi cordiale e amabile come sempre. Ma appena fece sera, corse dal vecchio saggio.
Lui la stava aspettando.
«Sì – disse dopo aver ascoltato la sua storia e averle posto ventuno domande. – Sei venuta dalla persona giusta. Finora ho ben interpretato i segni, e continuerò così. Devi cercare in tutta la parrocchia una gallina che abbia solo piume nere. Suppongo che tu abbia già provato a cucinare una gallina, e prima l’hai sempre spennata. Stavolta cucinala con le penne. Quando la gallina sarà morta, mettila su un piatto davanti al fuoco e chiudi ogni finestra e ogni pertugio che dà sull’esterno, tranne il buco dal quale esce il fumo. Fa’ in modo che il bambino veda ciò che stai facendo, ma tu non ti curar di lui. Tienilo d’occhio e osservalo solo quando la gallina sarà cotta e le piume cadranno nel piatto!».
Tutto questo sembrava molto strano alla vedova, però, dato che tutto si era rivelato giusto per ben due volte, pensò che anche la terza volta sarebbe andato come previsto.
Il giorno dopo si mise in cerca di una gallina nera, ma non ne trovò una nel suo pollaio. Nei due giorni successivi cercò a nord e a sud, e altri due a est e a ovest, in tutta la parrocchia, ma non trovò nessuna gallina nera.
Restava solo una fattoria. Mentre si avvicinava alla casa, scorse una donna correre dentro e fuori con un colino vuoto in mano; ogni volta che correva in casa teneva il grembiule sopra il colino, come se volesse coprire qualcosa. Poi, una volta dentro, sembrava rovesciare per terra il contenuto del colino.
«Signora – chiese la vedova – che cosa state facendo?».
«Cerco di portare un po’ di sole in casa mia – rispose la donna –, ma non ce la faccio. Quando sono fuori riempio il colino di raggi di luce, ma non appena entro sparisce tutto. Sarei disposta a dare una gallina nera a chi riesce a portare un po’ di luce del sole dentro casa mia».
“Il saggio si sta divertendo alle mie spalle”, pensò la vedova. Entrò nella casa, spalancò le imposte, e i raggi del sole illuminarono la stanza. Si fece dare allora la gallina promessa, e con questa sottobraccio fece ritorno a casa.
Giunta a casa, accese il fuoco, uccise la gallina senza spennarla e si accorse che il bambino non la perdeva di vista un solo istante e che i suoi sguardi erano diventati così aspri come il sapore delle mele acerbe. Mise la gallina su un piatto davanti al fuoco, e attese di vedere cosa sarebbe successo.
Può sembrare strano, ma era così presa a guardare la gallina, che non si curò del piccolo. Anzi, quando le penne cominciarono a cadere, lo aveva completamente dimenticato.
Quand’ecco – una musica forte riempì all’improvviso la cucina, la stessa musica che aveva sentito quella notte all’incrocio delle quattro strade.
Si guardò intorno, ma del piccolo essere non c’era più neanche l’ombra. Nello stesso istante udì la voce del suo figlioletto chiamare: «Mamma, mamma!».
La voce veniva da fuori. Sicché, la donna si precipitò alla porta, la spalancò, e nel cortile vide, alto, anche se magro ed emaciato, il suo figlioletto proprio come l’aveva visto nel corteo delle fate.
Sembrava sorpreso dall’ardore col quale la mamma se lo stringeva al petto, e quando quella gli chiese dove era stato così a lungo, lui rispose: «No, non sono stato via a lungo, mamma. Solo un minuto per ascoltare la musica».
Questo fu tutto ciò che riuscì a raccontare della sua permanenza presso le fate. E dato che nessun altro bambino ha saputo mai raccontare di più a proposito del suo rapimento, la nostra storia finisce qui.