Nelle pagine introduttive delle Ombre l’arte della memoria che sta per essere rivelata è presentata da Giordano Bruno come un segreto ermetico: vi si dice che essa è in effetti opera di Ermes, che consegna ai filosofi un libro, che la contiene. Per di più, il titolo, De umbris idearum, è tratto da un’opera magica, il commento negromantico di Cecco d’Ascoli alla Sphera di Sacrobosco, in cui si menziona un Liber de umbris idearum.
Che cosa sono dunque le magiche «ombre delle idee» che debbono costituire la base del sistema di memoria ermetico?
La mente di Bruno opera secondo linee che per un uomo moderno è estremamente difficile recuperare, le linee che anche Ficino segue nel suo De vita coelitus comparando: cioè, che le immagini delle stelle sono intermediarie fra le idee del mondo sovraceleste e il mondo subceleste degli elementi. Adattando o manipolando o utilizzando le immagini astrali si manipolano forme che sono a un livello più prossimo alla realtà che non gli oggetti del mondo inferiore, i quali dipendono tutti dall’influsso delle stelle.
Si può agire sul mondo inferiore, cambiare gli influssi siderali che si esercitano su di esso, purché si conosca il modo di adattare e manipolare le immagini astrali. Di fatto le immagini astrali sono appunto le «ombre delle idee», ombre di realtà, più prossime alla realtà delle ombre fisiche del mondo inferiore.
Non appena si afferra questo punto di vista (per un moderno fondamentalmente inafferrabile), parecchi misteri delle Ombre si fanno chiari.
Il libro che Ermes consegna al filosofo è il libro «sulle ombre delle idee concentrate per la scrittura interna» (ad internam scripturam contractis), cioè, esso contiene una rassegna di immagini magiche delle stelle da imprimere nella memoria.
Esse debbono essere usate su ruote mobili:
Come le idee sono le forme principali delle cose, secondo cui si forma ogni cosa… così noi dobbiamo, in noi stessi, formare le ombre delle idee… in modo che esse si possano adattare a tutte le possibili formazioni. Noi le formiamo in noi, come nella rivoluzione delle ruote. Tu, se puoi tentare un’altra via, tentala.
Imprimendo nella memoria le immagini degli «agenti superiori», potremo conoscere dall’alto le cose che si trovano in basso; le cose inferiori si sistemeranno nella memoria non appena avremo sistemate in essa le immagini delle cose più elevate, che contengono la realtà delle cose inferiori in una forma più alta, in una forma più vicina alla realtà ultima.
Le forme degli animali deformi hanno in cielo forma bella; le forme dei metalli non lucenti, nei loro pianeti rilucono. Né uomo, né animali, né metalli hanno in quei luoghi le forme di qui… illuminando, vivificando, unendo, conformando te stesso agli agenti superiori, tu avanzerai nella concezione e nella fissazione mnemonica della specie.
Come può, l’adepto, uniformarsi agli «agenti superiori»? Uniformandosi interiormente alle immagini astrali, grazie alle quali le specie individuali del mondo inferiore troveranno unità.
Simile memoria astrale conferirà, non solo conoscenza, ma potere:
C’è nella tua primordiale natura un caos di elementi e numeri, che non esclude peraltro l’ordine e la serie… Ci sono, come puoi vedere, certi distinti intervalli… In uno è impressa la figura dell’Ariete; in un altro il Toro e così via per il resto [dei segni dello Zodiaco]… Questo serve a dare forma al caos informe… È necessario per il controllo della memoria che numeri ed elementi siano disposti in ordine… con l’aiuto di certe forme facili a ricordare [le figure dello zodiaco]… Io ti dico che se tu contempli tutto questo con attenzione, tu potrai conseguire un’arte figurativa tale che rafforzerà non solo la memoria, ma anche i poteri dell’anima, in modo mirabile.
Che cosa ci ricorda questo passo? Evidentemente il sistema di memoria di Metrodoro di Scepsi, che utilizzò lo zodiaco e probabilmente le immagini dei decani, come proprio sistema di luoghi mnemonici.
Solo che il sistema metrodoriano è diventato ora un sistema magico. In relazione alle immagini fondamentali dello zodiaco, le immagini dei pianeti, le immagini delle stazioni lunari, le case delle immagini dell’oroscopo, nell’elenco bruniano di immagini magiche ruotano sulle ruote della memoria, formando e riformando le strutture dell’universo a partire da un livello celeste. E il potere di fare questo dipende dalla filosofia ermetica secondo cui l’uomo, nella sua origine, è divino e organicamente collegato ai governatori astrali del mondo. Nella «tua primordiale natura» le immagini archetipi esistono in un caos confuso; la memoria magica le estrae dal caos e ristabilisce il loro ordine, restituendo l’uomo ai suoi divini poteri. […]
Come funzionava il sistema? Per magia, naturalmente; perché basato sulla sede centrale di potenza dei «sigilli», le immagini astrali, più prossime alla realtà delle immagini che non le cose del mondo sublunare, emittenti di poteri astrali, «ombre» intermediarie fra il mondo ideale che sovrasta le stelle e gli oggetti e gli eventi del mondo inferiore.
Ma non basta dire vagamente che le ruote della memoria funzionavano per magia. Era una magia portata a un grado altissimo di sistematicità. L’ossessione del sistema è un carattere essenziale della mente di Bruno; nella mnemonica magica c’è una forza che spinge verso sistemi e sistemazione, e che trascina il progettista di sistemi in cerca del sistema giusto, per tutta la sua vita. Di questo sistema, nessuna tavola riesce però a rappresentare tutta la complessità. Così le immagini dei decani dello zodiaco, le immagini dei pianeti, le immagini delle stazioni della luna, si dovevano formare e riformare in combinazioni sempre variabili, in connessione con le immagini delle «case».
Bruno intendeva forse che nella memoria, grazie all’uso di queste sempre mutevoli combinazioni di immagini astrali, avrebbe avuto luogo una sorta di alchimia dell’immaginazione, una pietra filosofale della psiche, attraverso cui si sarebbe potuto percepire e ricordare ogni possibile arrangiamento e combinazione di oggetti del mondo inferiore: piante, animali, pietre?
E che, nel formarsi e riformarsi delle immagini degli inventori [delle arti e delle scienze], in armonia col formarsi e riformarsi delle immagini astrali sulla ruota centrale, l’intera storia del genere umano si sarebbe fissata nella memoria dall’alto, per così dire, con tutte le sue scoperte, i pensieri, le filosofie, le attività produttive?
Tale memoria sarebbe stata la memoria di un uomo divino, di un mago provvisto di poteri divini, grazie a un’immaginazione imbrigliata dall’azione dei poteri cosmici. E tale tentativo doveva poggiare sul presupposto ermetico che la mens dell’uomo è divina, collegata all’origine con i governatori delle stelle, abile sia a riflettere, sia a dominare l’universo.
La magia presuppone leggi e forze che corrono l’universo, che l’operatore può utilizzare, una volta che conosca il modo di catturarle. Ora, con Bruno, la concezione rinascimentale di un universo animistico, su cui opera la magia, preparava la via alla concezione di un universo meccanico su cui opera la matematica. In questo senso, la visione bruniana di un universo animistico di mondi innumerevoli, percorso dalle stesse leggi magico-meccaniche, è una prefigurazione, in termini magici, della visione del secolo XVII.
Ma l’interesse principale di Bruno non era portato al mondo esterno, bensì a quello interno. E nei suoi sistemi di memoria vediamo lo sforzo di fare agire le leggi magico-meccaniche non esternamente, ma dentro, attraverso la riproduzione nella psiche di meccanismi magici.
La traduzione di questa concezione magica in termini matematici si è attuata solo ai nostri giorni. L’assunto di Bruno che le forze astrali che governano il mondo esterno operano anche all’interno dell’uomo e possono esservi riprodotte o catturate per far agire una memoria magico-meccanica, sembra portarci curiosamente vicino al cervello elettronico, che è capace di eseguire con mezzi meccanici tanta parte del lavoro del cervello umano.
Nondimeno, lo sforzo di Bruno non può essere veramente spiegato attraverso un’interpretazione che lo indichi come qualcosa che preadombra un cervello elettronico. Dall’universo ermetico in cui egli viveva, il divino non era stato bandito. Le forze astrali erano strumenti del divino, e oltre le stelle attive c’erano forme divine ancora più alte. E la forma più alta, per Bruno, era l’Uno, l’unità divina. Il sistema di memoria aspira a un’unificazione al livello delle stelle, come preparazione per raggiungere l’unità più alta. Per Bruno, la magia non era un fine a sé, ma un mezzo per raggiungere l’Uno, di là dalle apparenze. […]
Quest’opera straordinaria, la prima opera di Bruno è, io penso, una «Grande Chiave» di tutta la sua filosofia e del suo modo di vedere, che avrebbe espresso ben presto nei dialoghi italiani pubblicati in Inghilterra. Il dialogo con cui si aprono le Ombre, dove Ermes presenta il libro sulla memoria, è steso in termini di un sole sorgente di rivelazione egizia, osteggiato dai pedanti; esso è molto simile a quelli usati nella Cena de le ceneri, quando Bruno difende dai pedanti l’eliocentrismo copernicano. Il Sole interiore raggiunto nelle Ombre è l’espressione interiore di ciò che fu il «copernicanesimo» di Bruno, la sua utilizzazione dell’eliocentrismo come una sorta di portentoso ritorno della visione «egizia» e della religione ermetica.
La filosofia delle Ombre è la filosofia di Bruno, come la troviamo nei dialoghi italiani. Nel dialogo De la causa, principio et uno egli esclama che l’unità del Tutto nell’Uno è
fondamento solidissimo de le veritati e secreti di natura. Prima, dunque, voglio che notiate essere una e medesima scala per la quale la natura descende alla produzion delle cose, e l’intelletto ascende alla cognizion di quelle; e che l’uno e l’altra procede all’unità, passando per la moltitudine di mezzi.
Lo scopo del sistema mnemonico è di porre le condizioni all’interno, nella psiche, per un ritorno dell’intelletto all’unità, attraverso l’organizzazione delle immagini significative.
Nello Spaccio della bestia trionfante, dice, della religione magica degli pseudo-egizi dell’Asclepius (che era la sua propria religione):
… con magici e divini riti per la medesima scala di natura salevano a l’alto della divinità, per la quale la divinità descende sino alle cose minime per la comunicazione di se stessa.
Lo scopo del sistema mnemonico è porre nell’interiorità questa ascesa magica, per mezzo della memoria basata sulle immagini astrali magiche.
E negli Eroici furori, Atteone, l’entusiasta cacciatore che insegue i «vestigii» del divino, conquista il potere di contemplare la bella disposizione del corpo della natura. Egli contempla il Tutto come Uno. «Vede l’Anfitrite, il fonte di tutti i numeri», la monade, «e se non la vede in sua essenza, in absoluta luce, la vede nella sua genitura che gli è simile, che è la sua imagine: perché dalla monade, che è la divinitade, procede questa monade, che è la natura, l’universo, il mondo».
Lo scopo del sistema mnemonico è di realizzare questa visione unificante nell’interiorità, dove soltanto può attuarsi, perché le immagini interiori delle cose sono più prossime alla realtà, meno opache alla luce, di quel che non lo siano le cose in sé nel mondo esterno.
Così la classica arte della memoria nella sua veramente straordinaria metamorfosi rinascimentale ed ermetica, quale ci appare nel sistema mnemonico delle Ombre, è diventata il veicolo per la formazione della psiche di un mistico ermetico e di un mago.
Il principio ermetico del riflesso dell’universo nella mente come esperienza religiosa è organizzato, ricorrendo all’arte della memoria in una tecnica magico-religiosa, per afferrare e unificare il mondo delle apparenze mediante arrangiamenti di immagini significative.
(Yates, L’arte della memoria)
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Conformando te stesso agli agenti superiori, tu avanzerai nella… fissazione mnemonica della specie.
Giordano Bruno consiglia – di «conformarsi», di riconoscersi come la «copia conforme» (sia pure ombrosa) di ciò che diventammo sotto l’azione di «agenti superiori». Consiglia di far trasparire, da sotto le immagini che col tempo l’hanno coperta, l’impronta che sul nostro essere fu segnata, quando ancora eravamo lassù, in alto, «là» (ἐκεῖ), al Polo del nostro essere (in braccio alla mamma, o portati a spasso in carrozzella), da quelle stesse «forze» che (al termine dello svezzamento: cfr. Kierkegaard) ci avrebbero fulminati con la loro strapotenza, sbalzandoci dal Carro delle nostre, sia pur improvvisate, «visioni celestiali».
Il nostro primo approccio col mondo, dice Giordano Bruno, fu un «conoscere dall’alto le cose che si trovano in basso», fu un viaggio di contemplazione in contemplazione delle forme che ci venivano incontro in quell’«aldilà» (ἐκεῖ), forme belle e perfette, forme pure, forme «ideali» perfino di ciò che poi ci sarebbe parso «deforme», una volta scaraventati quaggiù, nel basso mondo (ἐνθαῦτα).
Ricostruire dalle macerie quelle forme là – disseppellire quelle primissime fantasie perdute nell’oblio (e non poteva che essere così, dal momento che allora, quando le contemplammo e fantasticammo, eravamo immersi nella Realtà Immediata, nel consumo diretto, nell’estinzione senza resti dei «godimenti» del nostro essere) – ridestarle dal sonno della Morte, strapparle alle grinfie di Thanatos: ecco la magia «ermetica» promessa all’arte della memoria secondo Giordano Bruno.
La promessa è che, procedendo su questa via, si avanza nella fissazione mnemonica della specie. Il che vuol dire che l’arte non promette a chi la pratica di farlo risalire alla sua memoria individuale (e come potrebbe essere, se lassù, sotto l’influsso degli «agenti superiori», non c’è ancora un soggetto «io»?). Gli promette invece di «fissarlo» nella Memoria della Specie, in una memoria il cui soggetto (nonché depositario) è dunque la Specie! In altre parole: di «ricondurlo» al di là del suo «io». Gli promette un’avventura, man mano che s’inoltra nelle pieghe della Memoria Astrale [della Specie Umana], gli promette un’arrampicata tra le stelle e i pianeti, le case dello zodiaco e le mansioni lunari, al di là delle rispettive forme riflesse nelle immaginazioni «artistiche» e/o «scientifiche».
E una volta lassù, di nuovo lassù, sorvolando i «miti» e le «filosofie», il Racconto e le chiacchiere che esso ha generato come sue «interpretazioni», l’avventuriero dell’arte giungerà infine a scandire, una per una, le cinque vocali per le trenta consonanti dell’alfabeto primitivo «scritto» in ciascuna mente [della nostra Specie]. Per un totale di centocinquanta «sillabe».
Ma sì, centocinquanta… la gallina canta / lasciala cantare, la voglio maritare…
In ogni sillaba risuona infatti uno sposalizio immaginale. L’anelito di un uccello che non vola – e che, per ricongiungersi con lo Sposo perduto sotto l’azione degli «agenti superiori», non ha che da «cantare» la sua voglia di salire all’altare e porre fine così al suo triste «celibato».
In ogni sillaba ritorna l’eco di una monade antica dispersa tra le molteplici serie fantasticate e/o filosofate dalla Specie Umana, serie eterogenee e divergenti, perennemente in bilico tra conscio e inconscio – dal cui fondo quell’eco sale a dare voce a una solitudine antica che anela a coniugarsi con l’Uno, «unità con unità», dice Giordano Bruno, al di là della moltitudine delle Specie, al di là degli «innumerevoli mondi» in cui il Mondo s’è frantumato sotto l’azione degli «agenti superiori», al di là perfino del platonico «mondo delle idee», al di là dei numeri e degli elementi, al di là di tutte le Ombre.
La gallina canta… la voglio maritare…
Come qui osserva la Yates, fu l’«ossessione per il sistema» a imbrigliare l’intuizione di Giordano Bruno, e a trattenerla al di qua della piena comprensione di ciò che pure aveva genialmente scoperto.
Aveva scoperto che non sono i «concetti» (vedi Raimondo Lullo), ma le «sillabe» (le nozze di vocali e consonanti) a detenere le chiavi per aprire la Porta della Memoria Umana. Ma fece l’errore d’illudersi di poterle padroneggiare concettualmente – anziché lasciarle libere di pazziare, per il loro puro godimento poetico.

Aveva intuito che sono i nomi e le parole a «ordinare e numerare» il caos del molteplice immaginale, che cioè la traccia scritta dagli «agenti superiori» dentro la Mente della Specie Umana, è dell’ordine del Simbolico, e tuttavia, prigioniero com’era della sua infatuazione per la magia, pensò d’aver trovato la scala per risalire, come gli antichi maghi egizi, alla «divinità» se solo fosse riuscito a innalzare, mattone su mattone, una piramide o un qualunque altro artificio «intellettuale» con cui conformarsi alla potenza degli «agenti superiori».
Si scordò insomma, il «mago», d’essere inconsciamente dominato da quel che in coscienza credeva di dominare. Dominato dal Simbolico, impigliato nella regola di uno dei suoi infiniti «giochi».
Sì, il «mago» non ci fece caso, ma gli era rimasta nell’orecchio l’eco di una vecchia filastrocca popolare udita da bambino: centocinquanta, la gallina canta / canta per pazziare – perché, a ogni costo, la vuoi «maritare»?