Detienne – Dal mito alla scrittura

Quando da tutte le parti del mondo cominciarono a giungere storie strane che sembravano molto più libere e tuttavia presentavano somiglianze evidenti con la Amphitritemitologia dell’antichità, gli iniziatori dell’antropologia si rivolsero istintivamente alla Grecia, dove molti secoli prima autori di grande rilievo, da Senofane ad Aristotele, avevano affrontato il problema di porre dei confini al dominio dei miti, e l’avevano risolto tracciando una netta separazione all’interno della loro attività intellettuale, dove il pensiero mitico svanisce di fronte alla razionalità dell’uomo di scienza e del filosofo.

Di questa frontiera che divide il regno del mito da quello del logos, si sono serviti anche Tylor e la sua scuola per imporre un limite storico al dominio della mitologia sullo spirito umano.
Tale opposizione fra due forme di pensiero e due stadi dell’intelligenza umana, di cui il secondo cancella il primo, si trasforma in acceso contrasto fra una ragione che utilizza tutte le risorse dello scritto e un’attività mitologica guidata dalla sfrenata fantasia della parola.

Il divario è ormai incolmabile. Per coloro che sono portati a privilegiare le fonti scritte nella ricerca storica, il ricorso alla tradizione orale è assolutamente improponibile, tanto da risultare indecifrabile anche laddove ne esista una forma scritta: scrittura artificiosa che nasconde l’incoerenza delle tradizioni imponendo l’ordine fittizio delle classificazioni mitografiche.
Per altri, i Greci hanno saputo assicurare il trionfo della ragione e del logos in tanto in quanto hanno definitivamente distrutto il loro vecchio sistema di pensiero, lasciandone solo qualche debole traccia, testimonianze di uno stato perduto che è possibile ritrovare solo in due modi: uno è la scoperta fatta da un viaggiatore antico in un villaggio dimenticato, di un racconto sottratto alla contaminazione della scrittura dall’ignoranza del progresso della cultura in cui sono rimasti alcuni indigeni; e l’altro, meno avventuroso, è la ricerca storica e geografica al fine di ricomporre un paesaggio che dia corpo ai miti o al racconto di cui è testimonianza.

Ramalho-mitologia

In questa prospettiva, la verità del mito è racchiusa nella tradizione orale, che la scrittura cancella sempre in modo più o meno irreparabile, a volte imponendo alla libertà della memoria che racconta vincoli interpretativi che le sono estranei, a volte, e più spesso, riducendo al silenzio la parola del mito per parlare a nome suo, condannandola così alla più totale estraneazione.
Esiste quindi una divisione che la critica strutturale ha definito introducendo il concetto di società fredde e società calde, prive di dimensione temporale le prime, aperte alla storia e alle continue riprese di significato rese possibili dalla scrittura, le seconde.

Questo confine è parso particolarmente valido in quanto sembrava ricalcare la distinzione fra letteratura orale e scritta, e corroborava, se non giustificava, la via seguita da questo tipo di analisi, e cioè di non cercare l’essenziale del mito nella narrazione, ma nella storia trasmessa dalla memoria, la cui forma espositiva veniva lasciata alla volontà e al talento di chi la raccontava.
Si impone a questo punto un’altra problematica, e il caso greco invita a darne la formulazione suggerita dall’emergenza progressiva della scrittura in una civiltà Jasnikowski-memoriatradizionale.

Dopo gli studi di E. A. Havelock, l’epica omerica – che Milmann Parry mostrava appartenere alla tradizione orale – non può più essere considerata una sopravvivenza della tradizione viva inglobata in una civiltà della scrittura. La comparsa di una tecnica della scrittura alfabetica non ha portato cambiamenti immediati, né prodotto profondi sconvolgimenti. La Grecia non ha conosciuto una rivoluzione della scrittura, ma una sua avanzata, più o meno lenta a seconda dei vari campi di attività, per sfociare, agli inizi del IV secolo, nel completo dominio mentale e sociale della scrittura.
Fino alla fine del V secolo, la cultura greca è stata essenzialmente orale: essa affidava alla propria memoria tutto l’insieme delle informazioni e del sapere tradizionale, come tutte le società che ignorano gli archivi scritti.

A questo punto, occorre rivedere la nozione di mitologia. Infatti, l’unità «mito» che pare non sia stata mai un genere letterario definito, deve lasciare il posto a un insieme di operazioni intellettuali atte a memorizzare i racconti che costituiscono la tradizione.
Claude Lévi-Strauss ha suggerito di chiamare mitismo il processo secondo il quale una storia, all’inizio individuale e lasciata alla tradizione orale, viene adottata dalla collettività che sceglierà fra le parti cristallizzate del racconto – vale a dire i livelli strutturati e stabili in quanto si basano su acquisizione comuni – e quelle probabilistiche – particolari o episodi amplificati o tralasciati ogni volta che la storia viene raccontata, fino a essere totalmente dimenticati.

Littiero-penna-stilografica

Ogni società tradizionale mette a punto, con minore o maggior successo, una memoria creativa, largamente condivisa, che non si identifica né con la memoria degli specialisti, né con quella dei tecnici.
I racconti che si è deciso di chiamare miti sono il risultato di un’attività intellettuale che produce qualcosa di memorabile. La scrittura non rappresenta la condanna a morte della memoria tradizionale, né sostituisce una oralità che si trova improvvisamente a perdere vigore.
La scrittura, benché nasca a livelli e all’interno di ordini diversi, deriva sempre dall’incontro dell’attività della memoria con le sue stesse opere, introducendovi un’altra memoria, quella dell’espressione letterale che si forma con il libro e l’istruzione attraverso testi scritti. Si tratta di una memoria meccanica, che fa nascere in noi l’idea ormai familiare di una versione corretta, una versione che occorre copiare o imparare bene a memoria parola per parola.

In Grecia, fra il VI e il V secolo, i primi storici, quelli che i Greci chiamano logografi, scelgono la scrittura come strumento di una nuova memoria che diventerà parte integrante del pensiero e dell’azione politica.
Questa nuova memoria si costruisce al confine tra una tradizione di tipo orale, con i suoi ricordi, i detti, le storie che si ascoltano di generazione in generazione, e l’ossessione scriba-Coranodominante dei nuovi ricercatori secondo i quali solo colui che ha visto sa, con la prospettiva però della condanna senza appello di coloro che accettano le tradizioni del passato, senza sottoporle a un’acribia storica.

In questo spazio aperto dalla scrittura avviene il confronto fra le varianti dello stesso mito, divenute versioni diverse, ciascuna interrogata molto spesso dall’interno della città alla ricerca di un’immagine di se stessa o della propria identità politica.
Esistono anche altri fattori che legano la scrittura alla produzione di miti, le cui varianti sono inseparabili dall’attività ermeneutica di scribi e interpreti votati all’esegesi testuale.

I racconti tradizionali della Bibbia, il Libro del mondo ebraico, una volta affidati alla scrittura entrano nell’ingranaggio di un sistema grafico dapprima solo consonantico, che riceve solo in seguito un complemento vocalico apportatore di significato; infatti, si può leggere un testo consonantico solo se lo si comprende, vale a dire dandogli un significato tra i tanti possibili.
Nella continuità dell’interpretazione che si è così venuta creando, l’ermeneutica incentrata sui racconti mitici di Israele rivendica per sé una posizione privilegiata che la rende più sensibile alla permanenza di temi fondamentali sempre ripresi e rivalutati, ma che nel contempo le impone anche di essere l’esegesi senza fine della sua stessa ricchezza simbolica.

(Detienne, voce Mitografia, in Dizionario delle mitologie e delle religioni)