Isole Figi – Uno scambio di doni tra dèi

naufragio

Nei giorni in cui il Grande Serpente di Kauvadra provocò l’inondazione in cui annegarono i Costruttori di Barche, dodici uomini riuscirono ad aggrapparsi al tronco di un albero. Vennero portati alla deriva, e infine approdarono sulla spiaggia dell’isola di Kabara. Erano rimasti in dieci, perché due erano stati divorati dai pescecani.

La gente del posto fece buona accoglienza ai sopravvissuti, essendo giunta sino a loro la fama di cui godevano, e cioè che erano abili costruttori di canoe. Fornirono loro le abitazioni e procurarono anche le donne. Così i dieci uomini iniziarono a costruire la prima canoa dell’isola di Lau. Tra scavare i tronchi e poi intagliarli coi bei disegni impiegarono due anni. Alla fine era pronta una canoa doppia, provvista di vele e delle pagaie necessarie.

Trascorsero due anni felici perché si erano dedicati a un lavoro che li interessava, e i figli che erano nati dalle loro unioni con le donne del posto, cominciavano a crescere. Si lamentavano di una sola cosa: delle zanzare che li tormentavano di notte.
Durante la giornata le donne erano occupate a battere la corteccia del malo, che Wayne-donna-mosquitotrasformavano a furia di colpi in un tessuto delicato, chiamato gatu, destinato a tenere lontane le zanzare.

Il capo dell’isola, Tuwara, non tardò a varare la canoa. I Costruttori salirono a bordo per condurre l’imbarcazione e Tuwara si portò dietro molta della sua gente.
La vela venne issata e la canoa solcò il mare liscio; attraversò il passaggio che si apriva nella scogliera e si diresse verso il mare aperto. Il vento faceva cantare il sartiame e la canoa si levava allegramente sulle onde – quando, a un tratto, Tuwara e la sua gente cominciarono a preoccuparsi, e smisero di cantare. Stavano male a causa del movimento della canoa e furono costretti a stendersi sul ponte.

«Cosa succede? – chiese Tuwara ai Costruttori di Barche. – La nostra anima ci ha lasciati e le pance sono in subbuglio. Cosa possiamo fare?».
Malani, il Costruttore più anziano, gli rivolse parole di conforto: «Stai soffrendo il mal di mare – gli spiegò. – Starai male al punto da desiderare la morte, ma poi, te lo assicuro, passerà. Ora, mentre stiamo parlando, la canoa viaggia sopra le onde e va più veloce di un uomo quando corre».

Poco più tardi, Malani tornò a parlare a Tuwara: «Mio signore, – disse – si scorge della terra all’orizzonte. Cosa preferisci? Andare in quella direzione o proseguire il nostro viaggio?».
Tuwara levò appena la testa e tra un gemito e l’altro gli rispose: «Volgi subito la canoa verso la spiaggia, Malani. La mia anima mi ha abbandonato e fra poco morirò se non metto piede a terra. Almeno lì non rotolerò e non verrò sballottato come le palme sotto l’infuriare dell’uragano».

Fu allora volta la prua a riva, e la canoa approdò sulla spiaggia di Oneata. La gente di Kabara scese a terra barcollando. Ad accoglierli venne Wakuli-kulu, il signore dell’isola, Fantazos-baia-molluschiche non esitò a ospitarli nella sua propria dimora.
E qui essi restarono per parecchi giorni, felici e contenti. Ciò che più di tutto metteva loro allegria era il fatto che in quella meravigliosa isola non c’erano zanzare, sicché poterono passare delle notti tranquille come da tempo non erano più abituati. Di giorno poi mangiavano i kekeo, dei molluschi che trovarono gustosissimi, e di cui c’era grande abbondanza su tutte le spiagge dell’isola. E così decisero di prolungare la loro permanenza a Oneata.

Quando, a malincuore, giunse l’ora di fare ritorno a Kabara, si rassegnarono a partire ma solo a patto che Wakuli-kulu, il signore di Oneata, andasse a sua volta a visitare la loro terra. E quando Wakuli-kulu giunse a Kabara, ci furono grandi festeggiamenti in suo onore. Tuwara, per ricambiare l’ospitalità, lo alloggiò nella sua propria casa. E la sera, quando i due capi si ritirarono per andare a dormire, il visitatore restò meravigliato nel vedere Tuwara che tirava intorno al letto una tenda con disegni dai colori vivaci.

«A che cosa serve? – chiese Wakuli-kulu. – Lo vedo da me che è un tessuto meraviglioso, ma non capisco perché lo si debba mettere intorno al letto».
Tuwara era profondamente imbarazzato dalla domanda, perché aveva fatto di tutto per tenergli segreto il flagello delle zanzare. Avanzò delle deboli scuse. Disse: «La tenda è un bell’ornamento, e poi, se soffia il vento, mi fa da riparo».
Wakuli-kulu dovette accontentarsi della spiegazione, anche se non la trovava convincente. Ma, quando poco dopo udì un ronzio acuto che si diffondeva per la stanza, chiese: «E questo rumore cos’è?».

Tuwara che si aspettava la domanda, ridacchiando lo rassicurò: «Oh, no, niente, sono le mie docili zanzare».
«Zanzare? Ma cosa sono?».
«Piccoli insetti, che volano ed entrano in casa di notte e mi conciliano il sonno con il loro canto».
«È davvero meraviglioso quel che mi dici!», esclamò Wakuli-kulu. Poi si stese di nuovo a dormire, mettendosi in ascolto del canto delle zanzare.

zanzara-malaria

A un certo punto, toccò Tuwara con il gomito.
«Cosa c’è ancora?», gli chiese Tuwara mezzo addormentato.
«Tuwara, questi insetti mi riempiono l’anima di gioia. Me ne daresti alcuni?».
«Amico mio, tu mi chiedi una cosa impossibile. La mia gente si arrabbierebbe molto se io mi permettessi di regalare il tesoro della nostra isola».
«Potresti almeno metterne alcuni da parte. Se mi farai il dono di alcune zanzare, la mia gente ti ricorderà con estrema gratitudine».
«Anche quest’ultima tua richiesta va oltre i miei poteri, Wakuli-kulu. Capisci che queste zanzare sono creature affezionate tra loro e inseparabili? Se alcune vanno via, le altre le seguono. No, non posso proprio, mio carissimo amico. Chiedimi qualunque altra cosa, e io te la donerò. Ma non le zanzare. La mia gente mai e poi mai mi perdonerebbe di averla privata di cosa di così gran pregio, senza ricevere nulla in cambio».

A quel punto, il volto di Wakuli-kulu si illuminò di gioia: «Compagno e amico mio, non c’è nulla di Oneata che non ti darei in cambio dei tuoi insetti canterini».
Tuwara, dopo aver a lungo riflettuto, così parlò: «C’è una sola cosa che forse risarcirebbe in modo adeguato la mia gente per la perdita delle zanzare».
«Dimmi cos’è».
«I molluschi kekei che si trovano sulle vostre spiagge. Sono prelibati e noi non ne santi-molluschiabbiamo nella nostra isola».
Wakuli-kulu prese in fretta una decisione: «Affare fatto, Tuwara. Questo è un vero scambio di doni fra capi, o meglio, fra dèi».
Poi si addormentarono.

Non era ancora giorno quando Wakuli-kulu si destò e cominciò a tirare la tenda. Tuwara, destatosi anche lui, balzò in piedi e con uno strattone lo tirò indietro esclamando: «Che cosa fai?».
Il signore di Oneata aveva sul volto un sorriso beato: «Amo gli insetti che mi hai dato e voglio vedere il loro aspetto».
«Non puoi», gli disse tutto allarmato Tuwara.
«E perché no?».
«Non devi mai guardarli. Sono timidi e modesti e, se si accorgono di essere osservati, non cantano».
Così Wakuli-kulu ritirò la tenda e tornò a dormire.

Quando si risvegliò per la seconda volta, il sole ormai splendeva da un bel po’ e le zanzare erano scomparse.
Mentre gli uomini di Oneata preparavano la canoa per fare ritorno alla loro isola, Tuwara, servendosi di mezzi conosciuti solo agli dèi, raccolse le zanzare e poi le racchiuse in una grande cesta, coprendola con stuoie delicate.
Così la canoa partì col suo carico davvero strano, e raggiunse Oneata. Wakuli-kulu saltò a terra e si rivolse ai suoi sudditi, venuti ad accoglierlo, così dicendo: «Dobbiamo volere un gran bene a Tuwara e alla gente di Kabara, che ci hanno fatto dono del più grande tesoro che possiedono, cioè degli insetti che cantano la notte. D’ora in poi andremo a dormire la sera cullati dal melodioso canto delle zanzare. In cambio del loro regalo, ho promesso i nostri molluschi».

La notizia li entusiasmò, e la gente si affrettò a raccogliere i molluschi senza lasciarne uno sulla spiaggia, e li caricò tutti quanti sulla canoa di Tuwara.
Anche se scendeva la notte, Tuwara ordinò ai suoi di levare la vela e di partire subito alla mosquito-Nilovolta della loro isola.
La canoa era appena partita, quando si udì un grido di dolore. Tuwara e i suoi si scambiarono un sorriso malizioso. La popolazione di Oneata, troppo impaziente, non aveva saputo resistere alla voglia di vedere il regalo e aveva aperto la cesta. Le zanzare si erano precipitate fuori a sciami, levando il loro canto di sfida e mordendo senza clemenza gli attoniti abitanti.

È andata proprio così. Siete liberi di non crederci, ma è così che è andata. Si deve solo all’astuzia di Tuwara e alla dabbenaggine di Wakuli-kulu, se oggi la nostra povera Oneata non ha più i kekeo di una volta ed è afflitta la notte da stuoli di zanzare, mentre la gente di Kabara fa sonni tranquilli e si nutre di succulenti molluschi. Se c’è un’«arte» dello scambio, l’artista non è che un imbroglione. Se apri la cesta e guardi nella sua «arte», non vi trovi che quel «da pensare» che è la causa delle tue notti insonni. Lui dorme perché tu sei sveglio. La colpa di tutto ciò, se colpa c’è, è dei Costruttori di barche che ebbero la bella idea di traghettare qui da noi certa gente col mal di mare.