Plotino – L’Anima, la Realtà e la Memoria

… che cosa dirà? e quali ricordi conserverà un’anima immersa nel pensiero e prossima alla «realtà» (οὐσία) [dell’immediatezza]?
È logico affermare o che essa contempla quelle cose in mezzo a cui si trova e agisce sotto la loro forza, oppure che essa non è affatto colà (ἐκεῖ). Nulla essa ricorda delle cose Baden-soulterrene, nemmeno, per esempio, di aver studiato filosofia né di aver mai contemplato di qua (ἐνθαῦτα) le cose di là (ἐκεῖ).
Pertanto, se non è possibile che uno, nel rivolgersi col pensiero a qualcosa, faccia altro che pensare e contemplare quella cosa – e dal momento che nella immediatezza del pensiero non è presente nessun «aver pensato» [nessun pensiero passato, nessuna memoria del suo Passato], ma solo in un secondo momento uno per caso potrebbe dire di quella cosa, e solo se e perché è ad essa intervenuto un mutamento – [ne consegue che] non è possibile che chi si trova immerso nel puro pensiero [immediato] abbia o serbi memoria di ciò che una volta gli è capitato di qua (ἐνθαῦτα).

E se poi, come sembra, ogni pensiero [nel suo fluire immediato] è atemporale, dal momento che le cose di là (ἐκεῖ) non sono nel tempo ma nell’eternità (αἰῶν, aiòn), è impossibile che là (ἐκεῖ) ci sia memoria, e non solo delle cose di qua (ἐνθαῦτα), ma di qualsiasi cosa.
Là ogni cosa è presente, poiché non vi è un discorso né un passaggio da una cosa all’altra.
Ma come? non vi sarebbe divisione, dall’alto, in idee? né, viceversa, un salire [e unificare] dal basso verso l’universale e l’alto? Comunque, anche ammesso che il pensiero [immediato] sia tutt’uno con la sua forza [e dunque al di là delle divisioni e unificazioni di ciò che pensa], si dovrà dire la stessa cosa anche per l’anima che si trovi colà (ἐκεῖ)?

Che cosa impedisce che pur essa si sciolga nell’intuizione immediata assieme alle cose intuite? Si tratta forse di un singolo particolare dell’intuizione? o di un pensiero comprensivo di molte cose assieme?
Infatti, come la cosa contemplata [nell’intuizione] è variegata, così variegato e molteplice è anche il pensiero, e molti sono i pensieri come molte sono le sensazioni nella percezione di un volto, essendo visti nello stesso tempo gli occhi, il naso e le altri parti.

Come possiamo allora supporre che [a impedirle di sciogliersi nell’immediatezza] sia un singolo particolare che emerge e viene a fare la differenza?
[È da escludere, perché la differenza non la fa l’anima], ma nella mente la differenza è Dalì-nascita-intrauterinagià fatta, e un simile atto [di differenziazione] è per essa piuttosto un punto di appoggio. In quanto idee [già differenziate], il prima e il poi non hanno a che fare col tempo, e perciò anche il pensiero del prima e del poi non ha in sé nulla di temporale, ma soltanto ha un rapporto con l’ordine; così, in una pianta, c’è un ordine che parte dalle radici e va sino alla cima, ma per l’osservatore il prima e il poi valgono solo come ordinamento, poiché egli vede tutta la pianta in una sola volta.

Ma poniamo che [l’anima] si fissi a guardare un singolo particolare: se poi essa si appropria di tutti quanti, come mai [c’è da chiedersi] essa ne possiede prima uno, e gli altri soltanto dopo?
Il fatto è che la sua è, sì, una potenza unica, ma tale che si moltiplica in rapporto ora a questo ora a quest’altro, e quindi impotente ad abbracciare tutto in un solo pensiero, e le cui forze non si distribuiscono per ogni singola cosa, ma si compiono tutte assieme sotto l’azione della potenza che riposa in se stessa. Azione che rimane unitaria, mentre le singole cose cambiano.
Sicché, quel singolo particolare, non essendo più uno, può accogliere in sé la natura del molteplice, che prima non c’era.

(Plotino, Enneadi, 4: 4.1)

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Lettl-paranoia

Due dimensioni – entrambe platoniche: il «qua» (ἐνθαῦτα) e il «là» (ἐκεῖ), volgarmente (assai volgarmente) spacciati per «il mondo delle cose» e quello «delle idee», o anche – alla medioevale – per il mondo sensibile e quello intelligibile.
Per non perderci nel labirinto delle «interpretazioni» secolari, a noi conviene farci bastare il «qua» e il «là». Non serve altro per assegnare, come fa Plotino, un «posto intermedio» all’anima. Tra l’oblio (il Lete) e la memoria (l’alêthé). Tra l’incoscienza che fu e la coscienza che ci ritroviamo – l’aquila che divora il fegato di Prometeo.

L’anima è il Regno di Mezzo, il Paese delle mediazioni – tra il «polo» immobile [che riposa in se stesso, nella sua immutabile incoscienza] e i molteplici movimenti che ci agitano [man mano che il nostro sguardo sul mondo diviene sempre più cosciente]. L’anima «ruota» intorno al polo da cui la mente contempla [eternamente] il mondo [rimosso]. L’anima è la «polis» che raduna nella gravità di un’unica potenza mnemonica e linguistica la molteplicità e varietà delle sue arcaiche «contemplazioni». Essa, per così dire, «anima» la regione di «contatto», il confine, il «clima» intermedio tra il «là» e il «qua». Tra l’immediatezza, da cui si trova a essere esclusa, e il primo «paese linguistico» che, per caso, la seduce con le sue «filastrocche» mnemoniche.

Tra l’immediatezza del pensiero, tutto compreso nel presente di un’intuizione o d’una contemplazione, e la lingua in cui quel pensiero viene «tradotto», è l’anima ad accusare il primo «ritardo» e a scollarsi temporalmente come cera dal miele delle sue intuizioni. È Beksinski-dark-soulsl’anima a introdurre il tempo traducendo l’«immediato» (l’οὐσία, la Realtà) nelle sue «espressioni». È l’anima a calare col suo «dire» il sipario del Tempo sul mondo «reale». E poiché il «dire» è appannaggio «reale» di un Popolo, e solo provvisoriamente e illusoriamente di colui che individualmente «dice» questo o quello, l’Anima di cui qui si parla è la Polis, è la Macchina Simbolica della Tribù, è la Memoria «vivente» nelle relazioni intersoggettive di quanti «ruotano» intorno al Polo, o al Sacro Palo della Moltitudine.

Comunque sia, quest’Anima non esiste finché non è accusato un ritardo sulla Ruota delle Contemplazioni. A essere non è che la mente, finché dalla mente, dal suo «polo», non si distacca quella «potenza» che chiamiamo anima. Potenza che sorge da una «debolezza», da una «incrinatura», da una «ferita» aperta nella mente. Perciò qualcuno a ragione dice che il «cogito» dell’anima è, sin dall’inizio, «fallito»: esso non è che un resto «psichico», l’avanzo di «debiti» contratti nel corso di un’impresa fallimentare della mente.

In ogni caso, la domanda che si pone Plotino è sempre quella: cosa può aver provocato la «separazione» tra la mente e l’anima?
Traduco: cosa può aver «distratto» dalle contemplazioni della mente questa [nuova, tardiva] potenza della nostra «seconda nascita»: l’anima?
Sarà stata per caso decisiva – questo ci domanda Plotino – la contemplazione di un certo particolare? È forse stato quel particolare a «mettere in moto» nel nostro pensiero anche una realtà psichica? E che cosa poi avrebbe di così particolare quel particolare da scatenare, se non l’avvento di una nuova potenza, quantomeno la perdita da parte dell’anima del suo «antico» rango mentale?

Staccata dal suo «polo» ideale, discesa a più basse latitudini e temperature, l’anima poco a poco scivola nel tempo – fluisce in qua (ἐνθαῦτα), dalle parti del Discorso, salvo rifluire controcorrente incontro al già «contemplato» di là (ἐκεῖ). Scivola, più precisamente, in un nuovo Presente, in un altro modo, in una «temporalità» alterata, e dunque a un altro grado di presenza a se stessa, e di relazione con il «contemplato».
Mentre nell’atto immediato di pensiero non c’è in circolazione niente di «già pensato» o «contemplato», al contrario nei suoi movimenti l’anima ripassa sovente sui quei «luoghi Gleeson-lady-mountainvisionari», da cui si è «esiliata» per aver dato ascolto (così almeno dice il Racconto) a un Richiamo proveniente da quell’«altrove» che è il suo Passato – solo che questo Passato non è più quello per cui essa «passò» nel totale oblio e senza nessuna memoria della sua incoscienza, ma quest’altro di cui, «qui» (ἐνθαῦτα), dalle parti del Discorso, si va dicendo che «passa e non torna più».

L’anima va e viene – fluisce e si distanzia dal suo «polo», ma insieme rifluisce – verso il [luogo del] suo «nascimento»… grazie alla memoria.
Flussi e riflussi, è così che l’anima tenta di far «coesistere» il Passato col Presente, il Remoto (ἐκεῖ) col Prossimo (ἐνθαῦτα). Essa si cimenta nell’impresa di mettere in ordine nel tempo i molteplici particolari della contemplazione che ha contemplato nella «realtà immediata», e di cui però non v’è «traccia» in lei che là dove l’immediatezza stessa, lo stesso oblio e l’incoscienza hanno accusato un’«insufficienza».

Non è dunque questo o quel particolare «pensato» o «contemplato» a fare la differenza, ad avere in sé la forza di trattenere l’anima, impedendole di continuare a scorrere nella Realtà (οὐσία) dell’immediatezza inconscia. È, piuttosto, la presenza dei Titani intorno alla culla di Dioniso. È, cioè, la sfida, la provocazione, la scommessa che l’immediatezza perde al gioco degli specchi e degli inganni. Quale che sia, di caso in caso, il particolare – a fare la differenza è la perdita dell’indifferenza, e a fare la coscienza è la perdita dell’incoscienza in un faccia a faccia [infantile] con la «crudeltà» dell’Essere. Perché l’Essere, la Realtà (οὐσία) «nuda e cruda», la Realtà senza nessuna mediazione, senza nessun «ripensamento» e senza nessun «precedente» (sia pure simbolico) è… troppo forte per l’Essere stesso. La sua permanenza nella libertà dell’incoscienza – al di là del bene e del male – viene turbata dal complotto di oscure potenze titaniche di differenziazione e di smembramento già all’opera nel Polo stesso dell’Essere.