«Come Montesquieu scrisse lo Spirito delle Leggi – osserva il nostro Professore – così anch’io potrei scrivere lo Spirito degli Abiti; in tal modo, oltre a un Esprit des Lois, o più propriamente un Esprit des Coutumes, si avrebbe un Esprit des Costumes. Infatti, sia in campo sartoriale che in campo legislativo l’uomo non procede per semplice Casualità, ma la sua mano è sempre guidata da misteriose operazioni della mente. Dietro tutte le Mode, dietro ogni tentativo di abbigliarsi si cela un’Idea Architettonica: il Corpo e l’Abito rappresentano il luogo e la materia prima su cui, e con cui, va costruito il suo splendido edificio, ovvero la sua Persona.
«Che inceda su calzature leggere avvolto graziosamente in mantelli drappeggiati, o che torreggi con indosso un alto copricapo ornato di pizzi, lustrini e nastri di campanelle; che si gonfi tra gorgiere inamidate, o che si stringa alla vita tanto da dividersi in due e si presenti al mondo come un Agglomerato di quattro membra – questo dipenderà dalla natura di tale Idea Architettonica, che può essere greca, gotica, tardo-gotica o decisamente moderna, parigina o stile dandy britannico.
«Per non parlare di quanto sono significativi i Colori! Dal grigio più sobrio allo scarlatto più vivace, nella scelta del Colore entrano in gioco le idiosincrasie spirituali: se il Taglio denota l’Intelletto e il Talento, il Colore rivela il Temperamento e il Cuore. In tutto ciò vi è un intervento incessante, indubbio pur se infinitamente complesso, di Causa ed Effetto, sia a livello delle nazioni che degli individui: ogni colpo di Forbici è stato regolamentato e prescritto da Influenze sempre attive, che non sono certamente invisibili né inesplicabili per le Intelligenze di ordine superiore.
«Per queste Intelligenze superiori una Filosofia degli Abiti basata sul principio di Causa-Effetto, come quella delle Leggi, costituirebbe probabilmente un piacevole passatempo nelle serate d’inverno; ma per le Intelligenze inferiori, come ad esempio gli esseri umani, tali Filosofie mi sono sembrate assai poco istruttive. Anzi, cosa è il vostro Montesquieu se non un fanciullo dotato che compita Lettere da un Libro profetico scritto in caratteri geroglifici, il cui lessico si trova nell’Eternità, nel Cielo? –
«Che un Filosofo che si basa sul principio di Causa-Effetto ci spieghi non tanto il motivo per cui indosso questo o quell’Indumento, o perché ubbidisco a questa o a quella Legge, ma anche perché Io sono qui, a indossare abiti e a ubbidire a qualcosa! – Sopprimerò dunque in gran parte, se non nella sua totalità, quello Spirito degli Abiti, ritenendolo ipotetico, inefficace e perfino non pertinente; i Fatti nudi e crudi, e le Deduzioni che da essi si ricavano con uno stile molto diverso da quello onnisciente, saranno il mio più umile e appropriato ambito».
Agendo sulla base di questa prudente limitazione, Teufelsdröckh ha comunque tentato di prendere in esame un campo quasi sconfinato, o tale perlomeno che i suoi confini spesso oltrepassano il nostro orizzonte. Dal momento che una selezione si rivela indispensabile, esamineremo qui solo a volo d’uccello la Prima Parte del suo libro. Prima Parte che si distingue indubbiamente per erudizione onnivora, e pazienza ed equità straordinarie; ma che nello stesso tempo, per quanto riguarda i risultati e le descrizioni, può interessare più probabilmente i Compilatori di una Raccolta di Nozioni Generali, Ricreative, Utili o anche Inutili, anziché i lettori eterogenei di queste pagine. […]
Quanto al Primo Capitolo, nel quale si parla di Paradiso e di Foglie di fico, e che è pieno di interminabili disquisizioni di natura mitologica, metaforica, cabalistico-sartoriale e decisamente antidiluviana, ci accontenteremo di approvarlo incondizionatamente.
Tanto meno ci occuperemo di «Lilith, prima moglie di Adamo, che secondo i Talmudisti questi sposò prima di Eva e che gli generò l’intera progenie dei Diavoli aerei, acquatici e terrestri» – senza che ve ne fosse alcuna necessità, secondo noi. Di questa parte dell’Opera, con i suoi approfondimenti su Adamo Kadmon o sull’Elemento Primordiale, qui messo stranamente in relazione con l’antico mito di Nifl e Muspel (Oscurità e Luce) dell’antico Nord, basti il dire che essa ha riempito di qualcosa di molto simile allo stupore alcuni ebraisti, forse tra i migliori della Gran Bretagna, per la correttezza delle deduzioni e per la profondità dell’erudizione Talmudica e Rabbinica.
Lasciando questa regione crepuscolare, Teufelsdröckh si allontana rapidamente dalla torre di Babele per seguire la dispersione del Genere Umano sull’intero globo abitabile e abbigliabile. Guidato nel suo procedere dalla luce di ricerche d’ogni genere immaginabile, Orientali, Pelasgiche, Scandinave, Egiziane, Polinesiane, Antiche e Moderne, egli si sforza di fornirci in forma condensata (a somiglianza dei Norimberghesi col loro Orbis Pictus) un Orbis Vestitus, ossia un quadro dei vestiti di tutta l’umanità, in ogni paese e in ogni tempo.
Giunti a questo punto, possiamo trionfalmente dire all’Antiquario e allo Storico: Arrendetevi! Ecco l’Erudizione: un Tesoro disordinato, se volete, ma inesauribile come il Tesoro del Re Nibelungo, che dodici vagoni in dodici giorni, compiendo tre viaggi al giorno, non riuscivano a trasportare. Mantelli di pelle di pecora e cinture di conchiglie, filatteri, stole, camici, clamidi, toghe, sete cinesi, scialli afgani, brache a sbuffo, calzoni alla zuava di cuoio, kilt scozzesi (anche se i calzoni di cuoio, come indica il nome Gallia Braccata, sono più antichi), mantelli alla ussara, mantelline alla Van Dyck, gorgiere increspate e guardinfanti ci vengono descritti vividamente – non viene dimenticato neppure il berretto da notte di Kilmarnock. Dobbiamo ammettere che, in massima parte, questa Erudizione, per quanto eterogenea e buttata giù molto alla rinfusa, è vera Erudizione concentrata e depurata; le scorie sono state separate e gettate via.
Ricorrono riflessioni filosofiche e, talvolta, toccanti rappresentazioni di vita umana. Di questo genere è il brano seguente che ci ha sorpreso. Il primo scopo degli Abiti, secondo il nostro Professore, non era quello di riparare dal freddo, né di rispettare il decoro, ma quella di adornare.
«Era davvero miserabile – egli dice – la condizione del Selvaggio Aborigeno, che lanciava sguardi feroci di sotto la chioma lanosa la quale, insieme alla barba, gli scendeva sino alle reni e gli pendeva intorno come un mantello arruffato. Il resto del corpo era coperto solo dalla spessa pelle. Gironzolava nelle assolate radure della foresta, cibandosi di frutti selvatici; ovvero, come l’antico abitante della Caledonia, appiattato negli acquitrini, tendeva l’agguato alla preda, bestia o uomo che fosse, senz’altro arnese né arma che non fosse la pietra di pesante Silice, legata, affinché questo unico possesso e difesa non si perdesse, a una lunga corda di corregge intrecciate, in modo che potesse ritirarla, oltre che lanciarla con destrezza mortale.
«Una volta soddisfatte la Fame e la Vendetta, il suo successivo pensiero non era la Comodità, ma l’Ornamento (Putz). Egli si riscaldava con le fatiche della caccia, tra le foglie secche nel cavo di un albero, in una capanna di corteccia o in una caverna naturale; ma per ornarsi aveva bisogno di Abiti. A dire il vero, presso i popoli selvaggi il tatuaggio e la pittura precedono addirittura gli Abiti. Il primo bisogno spirituale di un barbaro è l’Ornamento, come si può ancora osservare fra le classi incolte di paesi civilizzati.
«Lettore, il più melodioso Poeta ispirato dal Cielo, la più nobile delle Altezze Serenissime, la tua stessa fanciulla dai capelli d’oro, vero bocciolo bianco e roseo, degna quasi di veleggiare in aria come una silfide, che tu ami e adori come divina Presenza, cosa che, simbolicamente parlando, essa è – tutti discendono, come te, dallo stesso Aborigeno Antropofago dal mantello di capelli che lanciava la Silice! Dal mangiatore discende la carne; dal forte discende la dolcezza. Quali cambiamenti vengono operati, non dal Tempo, ma nel Tempo! Poiché non solo il Genere Umano, ma tutto ciò che il Genere Umano fa e contempla è in continua crescita, vitalità che si rinnova e si perfeziona da se stessa. Lancia la tua Azione, la tua Parola nell’Universo sempre vivo, sempre attivo: è un seme che non perirà. Inosservato oggi (si dice), lo si ritroverà fra mille anni, fiorente come un boschetto di fichi del Banian (o forse anche, ahimé! come una foresta di cicuta).
«Chi per primo abbreviò il lavoro dei Copisti inventando i Caratteri Mobili congedò Armate Mercenarie, licenziò la maggior parte dei Re e dei Senati, creò un intero nuovo mondo Democratico; aveva inventato l’Arte della Stampa. Il primo pugno macinato di Nitrato, di Zolfo e di Carbone fece schizzare verso il soffitto il pestello del monaco Schwartz: quale sarà l’effetto dell’ultimo? Realizzerà il definitivo e indiscusso assoggettamento della Forza al Pensiero, del Coraggio Animale a quello Spirituale? Fu una semplice invenzione quella dell’Allevatore di bestiame del vecchio mondo quando – stanco di trascinare il lento Bue in giro per il paese finché non l’avesse barattato con grano o con olio – prese un pezzo di Cuoio, ci incise o impresse la semplice Figura di un Bue (o Pecus), se lo mise in tasca e lo chiamò Pecunia, Denaro.
«Da questo Baratto si passò alla Vendita; la Moneta di Cuoio è ora d’Oro e di Carta, e tutti i miracoli sono stati superati da questo miracolo; poiché oggi esistono i Rothschild, i Debiti Nazionali Inglesi, e chiunque abbia mezzo scellino è sovrano (per quanto dura mezzo scellino) di tutti gli uomini; comanda ai cuochi di cibarlo, ai filosofi di istruirlo, ai re di fargli la guardia – per il valore di mezzo scellino –.
Anche gli Abiti, nati dal più insensato amore per l’Ornamento, cosa non sono diventati! Sono stati subito seguiti da maggiore Sicurezza e da un piacevole Calore: ma cosa è accaduto? Il Pudore, il divino Pudore (Schaam, Modestia) sino ad allora sconosciuto all’Antropofago, si insediò misteriosamente sotto gli Abiti, mistico santuario nascosto per il Sacro che è nell’uomo. Gli Abiti ci hanno dato individualità, distinzioni, ordinamento sociale, gli Abiti ci hanno reso Uomini; ora minacciano di renderci attaccapanni.
«Ma nel complesso – continua il nostro eloquente Professore – l’Uomo è un Animale che maneggia Utensili (Handthierendes Thier). Debole di per se stesso, di bassa statura, egli si poggia, non certo con molta sicurezza, su una base di cuoio che al massimo misura mezzo piede quadrato; deve stare a gambe divaricate per non essere portato via dal vento. È il più debole fra i bipedi! Tre quintali rappresentano per lui un peso tale da schiacciarlo; un giovenco dei pascoli lo getterebbe in aria come un cencio inutile.
Ma può fare uso di Utensili, può inventare Utensili con cui ridurre in polvere sottile le montagne di granito, lavorare il ferro incandescente come soffice pasta, servirsi dei mari come levigate vie maestre; il vento e il fuoco sono i suoi instancabili destrieri. Non lo si trova in nessun luogo senza i suoi Utensili; senza di essi, egli è nulla; con gli Utensili è tutto».
Ci permettiamo qui di interrompere per un momento il flusso della sua Oratoria, per osservare che la Definizione di Animale che si serve di Utensili ci pare di gran lunga la più precisa e la migliore di tutte le altre che hanno come punto di partenza l’Animale. L’uomo è stato definito un Animale che Ride; ma non ridono forse, o non tentano almeno di ridere, anche le Scimmie? Ed è forse più uomo chi ride di più e più di frequente? Lo stesso Teufelsdröckh, come dicemmo, rise una sola volta.
Tanto meno ci sembra appropriata la Definizione Francese: Animale che Cucina, poiché essa pare del tutto inutile per scopi rigorosamente scientifici. Può dirsi che un Tartaro fa della cucina, quando si limita a preparare la sua bistecca cavalcandoci sopra? E quale Arte culinaria usa l’abitante della Groenlandia, a parte conservare tutto sotto l’olio di balena, proprio come farebbe una marmotta in circostanze analoghe?
E come potrebbe sopravvivere Monsieur Ude fra quegli Indiani dell’Orinoco che, secondo Humboldt, vivono in una sorta di nidi di corvo sui rami degli alberi, e che per metà dell’anno non si alimentano d’altro che non sia argilla da pipe, visto che l’intero paese è sommerso dall’acqua?
Mostrateci invece un essere umano, in qualsiasi periodo dell’anno o in qualsiasi clima, che non abbia i suoi Utensili; lo stesso abitante della Caledonia, come abbiamo visto, possedeva la pietra di Silice e una Correggia di Cuoio con lui legarla, cosa che non ha, né può avere, alcun bruto.
«L’uomo è un Animale che maneggia Utensili – continua Teufelsdröckh nella sua maniera brusca – e gli Abiti non sono che un esempio di questa verità. Certo che se si considera l’intervallo di tempo che intercorre fra il primo Cavicchio di legno foggiato dall’uomo e le Carrozze a vapore di Liverpool, o la Camera dei Comuni, possiamo vedere quanto progresso è stato fatto.
L’uomo estrae certe pietre nere dal seno della terra e dice loro: Trasportate me e questo bagaglio alla ragione di trentacinque miglia l’ora, ed esse lo fanno; egli riunisce, apparentemente a caso, seicentocinquantotto individui eterogenei e dice loro: Fate soffrire questa nazione, per noi; fatela sanguinare, per noi; che digiuni, si tormenti, e pecchi per noi; ed essi lo fanno».
(Carlyle, Sartor Resartus)