Isole Figi – Il ragazzo di nome Un-Capello

arcipelago

Quello che si stava per celebrare nell’arcipelago di Tokelau era un’importante matrimonio. Perciò furono invitati tutti gli abitanti dei villaggi sparsi per le isole, anche le più lontane, e tutti ci andarono ben volentieri, fatta eccezione per i vecchi e gli ammalati.
A Udu, un piccolo villaggio dell’isola di Kabara, rimase soltanto una coppia anziana senza figli, le cui continue preghiere agli dèi per avere un figlio, non erano state esaudite.

Un giorno però, mentre gli abitanti erano via, un vecchio bussò alla loro porta e disse: «Sono venuto a darvi un bambino». Non disse altro e si allontanò.
I due vecchi non sapevano cosa pensare o aspettarsi, ma la risposta non tardò a venire.
Proprio la mattina dopo scorsero un bambino in piedi accanto alla cucina, e capirono che era il bambino promesso dal vecchio. Lo portarono subito in casa e gli prepararono da mangiare.

Era un bambino dall’aspetto strano, con la testa completamente calva e con un solo capello che cresceva nel mezzo. A vederlo così, con il cranio lucido e un solo capello appiccicato, era davvero buffo, ma i due vecchi non ci badarono più di tanto, perché quello era loro figlio.
«Come lo chiamiamo?», si chiesero.
vecchio-maoriIl marito con un sorriso disse: «Chiamiamolo Un-Capello!». Anche la moglie fu d’accordo sul nome.
«Carissimo Un-Capello – gli dissero. – Vieni qui, Un-Capello, e prepariamo da mangiare».

Un-Capello aveva un appetito formidabile. Agli inizi i nuovi genitori non ci fecero caso, tanto erano felici di avere un figlio tutto per loro, ma col passare del tempo cominciarono a preoccuparsi perché vedevano che, nonostante tutto il cibo che gli procuravano, Un-Capello non accennava a crescere: erano ormai passati quattro mesi, e non si era mosso di un pollice, nonostante tutto quello che mangiava.
E così, poco a poco, il loro orgoglio e amore si tramutò in una profonda delusione e alla fine in odio.

«Liberiamoci di lui – suggerì il marito alla moglie. – Ho in mente una magnifica idea».
Preparò un forno a terra, chiamò a sé il bambino e gli disse: «Un-Capello, avvicinati. Entra nel forno insieme al cibo».
«Va bene, papà», gli rispose con fare ubbidiente.
L’uomo coprì il forno e poi entrò in casa.
«Tutto fatto! – disse alla moglie. – Ormai è nel forno che ho ricoperto. Non avremo più problemi con quel piccolo disgraziato sempre affamato. Non ne potevo più!».
«Magnifico!», disse la perfida moglie.

Erano ormai passate due ore ed era il momento di riaprire il forno. Mentre si stava avvicinando, l’uomo sentì una voce che gridava: «Papà, papà, il cibo è cotto. Puoi aprire il forno».
Sentendosi rizzare tutti i capelli, l’uomo scoprì il forno e il piccolo balzò fuori dicendo: «Il forno era troppo caldo. Ho sudato davvero tanto».
Padre e figlio tornarono insieme e non restò che dargli ancora da mangiare. Un-Capello si mangiò tutte le patate e il pesce cucinato.

Quando andarono a coricarsi, l’uomo e la donna discussero a lungo di Un-Capello: «Dobbiamo trovare un’altra soluzione», si dicevano.
«Domani – disse il marito – andrò a pescare e lo porterò con me».
E così, la mattina dopo, l’uomo prese la trappola per la pesca fatta di giunchi flessibili e a maschera-maoriforma di grande cesta. Un-Capello lo aiutò a trasportarla sulla spiaggia. Poi i due nuotarono nell’acqua alta con la trappola in cui avevano messo delle pietre.

«Torno a riva a preparare il forno per cuocere il pesce che prenderemo – disse l’uomo al ragazzo. – Tu invece resta qui a guardare la trappola».
Afferrò il bambino, lo ficcò nella cesta, che poi immerse nell’acqua profonda, e si allontanò in fretta.
Sicuri stavolta di essersi liberati del figlio, i due vecchi manifestarono apertamente la loro gioia, finché, calata la notte, andarono a dormire con la certezza che Un-Capello non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere.

La mattina dopo, l’uomo si affrettò a tirare su la trappola, sicuro di trovarla piena di pesci, oltre che del bimbo morto. Ma non l’aveva ancora portata in superficie che cominciò a udire una voce: «Papà, papà, è stata una notte così fredda, che per poco non sono morto».
I due tornarono a casa insieme e, quando la donna vide arrivare il bambino, scoppiò a piangere e disse: «Oh, povera me!».
«Ecco qui il pesce – disse con aria rassegnata l’uomo alla moglie. – Forse è meglio cuocerlo».

La donna smise di piangere e in silenzio preparò da mangiare per tutt’e tre. Anche il marito era triste e silenzioso. Allora Un-Capello comprese che cercavano di sbarazzarsi di lui.
«Siete stufi di me – disse. – Avete già tentato due volte di uccidermi, ma non ne siete capaci. Solo io posso dirvi come fare. Ascoltatemi attentamente, e fate quello che vi dico. Uccidermi è la cosa più facile al mondo: basta che mi tagliate il mio unico capello, e io morirò».

I due vecchi ascoltarono, ma senza dire una sola parola continuarono a mangiare.
Dopo il pasto, Un-Capello si sdraiò sul pavimento e si addormentò. Allora i due coniugi presero una conchiglia dall’orlo aguzzo e gli recisero quell’unico capello. Andarono a dormire anche loro, e la mattina dopo trovarono che Un-Capello era morto.
Quando gli altri abitanti del villaggio fecero ritorno dalla festa di matrimonio, la coppia era tornata a vivere sola, senza il conforto di un figlio.

***

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… compare vicino alla cucina, non fa altro che mangiare e, quando vuole disfarsi di lui, il padre lo ficca una volta nel forno, e un’altra nella trappola dei pesci.
Non c’è da dubitarne: il legame tra Un-Capello e il cibo è fin troppo marcato. Un-Capello è venuto a svuotare le dispense dei «genitori». È venuto solo a consumare le loro riserve, e per giunta senza alcun profitto: Un-Capello infatti non cresce, e questo vuol dire che non diventerà mai adulto, e che il cibo continuerà sempre a consumarlo e mai sarà in condizione di produrlo.
I due poveri vecchi avevano tanto pregato gli dèi che mandassero loro un sostegno, e invece… adesso devono escogitare un modo per rispedire al mittente il «pacco» che gli è stato recapitato a domicilio.

Insomma, i due vecchi «sterili» si sono messi nei guai con le loro stesse preghiere. Se adesso hanno un «problema», è tutta colpa dell’insistenza del loro desiderio di avere a ogni costo un figlio. Non l’hanno avuto quando erano giovani, e ancora l’aspettano. Non lo vollero allora, perché non volevano tra i piedi qualcuno di cui prendersi cura. Lo vogliono ora che è tardi, ma perché vogliono soltanto qualcuno che si prenda cura di loro e li sfami.

E invece il «pacco», una volta aperto, riserva loro una bella sorpresa: Un-Capello è più affamato di loro.
E allora il vecchio pensa: e se lo mettessi a cuocere in forno, non diverrà per caso commestibile? o casomai lo lasciassi a bagnomaria per tutta la notte, vuoi vedere che Goodaboom-famedomani me lo cucinerò assieme al pesce?
Ma, evidentemente, non è così facile sbarazzarsene. Un-Capello, in fondo, più che il semplice «oggetto di desiderio» dei due vecchi, a quanto pare è la Fame in persona. È in un certo senso l’«incarnazione» di quella stessa Fame che aveva spinto i due vecchi a «desiderare» un figlio. Non lo volevano che per sfamarsi! E perciò, adesso, non è tanto, e non solo di lui, ma del loro chiodo fisso «alimentare» che essi dovrebbero liberarsi, anziché insistervi cocciutamente.

Il punto è questo: non possono liberarsene fintantoché non è il loro stesso «oggetto di desiderio» a rivelare in che modo può essere estinto.
Se ricordate, anche i nemici di Sansone avevano lo stesso «problema»: volevano ucciderlo, ma non sapevano come fare. E allora ricorsero a Dalila perché con le sue arti seduttive gli strappasse la confessione del terribile segreto. E Sansone, per giunta, ha come il nostro Un-Capello tutta la sua forza racchiusa nella «chioma».
E Batradz, vi ricordate di Batradz? I suoi nemici volevano sbarazzarsi di lui, ma non ci riuscirono fintantoché lo stesso «monellaccio» non rivelò loro in che modo poteva essere ucciso.

E la cosa si ripete in tantissimi altri racconti: il «desiderato», il «tanto atteso», il tardivo «figlio delle preghiere», quello giunto in extremis, per grazia concessa o addirittura per pura magia, quasi l’ultimo lembo di congiunzione tra la realtà e l’immaginazione… insomma: la personificazione ultima di una fame o di un desiderio, essa sola conosce e può rivelare quel minimo e insignificante «dettaglio» della sua propria estinzione.

Non ci crederete, ma è così che va il mondo dell’Uomo. Bisogna disumanizzarsi (e i vecchi sterili del nostro racconto sono quasi «disumani», prossimi alla rottura d’ogni legame con le vicende «umane», estranei già alle feste «umane», ai riti «umani», alla società «umana», e soprattutto alla lingua dell’Uomo) – sì, bisogna giungere al confine dei propri desideri per vedere che il mondo dell’Uomo gira intorno a… Un-Capello.
E cioè?
Cioè che quello dei desideri, quello tra la Realtà e l’Immaginazione, è un ponte sottile come… Un-Capello.
E allora?

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Allora, state a sentire, aprite bene le orecchie – ché qui il Racconto mette alla prova la vostra intelligenza! Qui il Racconto vi chiede di intelligere l’«umanità» di cui è impregnato ogni nostro desiderio, per il semplice fatto che gli abbiamo dato un nome.
Come lo chiameremo? – dissero i due vecchi genitori. – Lo chiameremo Un-Capello.
Non c’è che Un-Capello, quello a cui è stato dato un nome, non c’è che il suo nome sul confine tra la realtà e l’immaginazione.
Perciò, dice alla fine Un-Capello, se volete spedirmi all’altro mondo, è col mio nome che dovete fare i conti. Nominandomi, avete dato realtà a un «oggetto» dei vostri sogni. Ma io, dei vostri sogni, non sono che la trimetilamina. Sono l’insignificanza a cui avete voluto dare un significato. E ora, è col mio Niente che dovete fare i conti. Col Niente che avete nascosto dietro il mio nome.
Insomma, come devo dirvelo? basta che non mi chiamate più, e io non sarò più tra gli uomini.