Deleuze – L’inconscio è intersoggettivo

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Quel che si tratta di sapere è se la ripetizione vada concepita come qualcosa che si compie da un presente a un altro, l’uno attuale e l’altro antico, nella serie reale [nella serie cioè degli avvenimenti reali]. In tal caso, l’antico presente avrebbe la funzione di un punto complesso, quasi di un termine ultimo o originario che, fermo restando al suo posto, esercitasse di là un potere di attrazione, in quanto l’antico presente fornirebbe la cosa da ripetere, condizionerebbe tutto il processo della ripetizione, anche se in tal senso rimarrebbe indipendente.
I concetti di fissazione e regressione, e anche di trauma, di scena originaria, rinviano a questo primo elemento.

Di conseguenza, il processo della ripetizione si conformerebbe in linea di diritto al modello di una ripetizione materiale, bruta e nuda, come ripetizione dello stesso: l’idea di un «automatismo» esprime qui il modo della pulsione fissata, o piuttosto della ripetizione condizionata dalla fissazione o dalla regressione.
E se tale modello materiale è in realtà offuscato e ammantato da ogni sorta di mascheramenti, da mille travestimenti o spostamenti che distinguono il nuovo presente dall’antico, ciò accade soltanto in via secondaria, quantunque necessariamente fondata: la deformazione nella maggior parte dei casi non apparterrebbe alla fissazione e neppure alla ripetizione, ma s’aggiungerebbe e si sovrapporrebbe ad esse, verrebbe necessariamente a coprirle, ma come dal di fuori, spiegandosi con la rimozione che traduce il conflitto (nella ripetizione) tra il ripetente e il ripetuto.

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I tre concetti molto differenti di fissazione, di automatismo di ripetizione, e di rimozione, rendono conto di questa distribuzione tra un termine supposto ultimo o primo in rapporto ai travestimenti che l’ammantano, e i travestimenti che vi si aggiungono necessariamente in virtù di un conflitto. Anche la concezione freudiana dell’istinto di morte, come ritorno alla materia inanimata, resta inseparabile dalla posizione di un termine ultimo, dal modello di una ripetizione materiale e nuda, e dal dualismo conflittuale tra la vita e la morte. È di scarso rilievo che l’antico presente agisca non nella sua realtà oggettiva, ma nella forma in cui è stato vissuto e immaginato. Difatti qui l’immaginazione interviene solo per raccogliere le risonanze e assicurare i travestimenti tra i due presenti nella serie del reale come realtà vissuta. L’immaginazione accoglie le tracce dell’antico presente, modella il nuovo presente sull’antico.

La teoria tradizionale della coazione a ripetere in psicanalisi resta essenzialmente realistica, materialistica, e soggettiva – o individualistica. Realistica, perché tutto «accade» tra presenti; materialistica, perché il modello di una ripetizione bruta automatica resta soggiacente; individualistica, soggettiva, solipsistica o monadica, perché l’antico presente, cioè l’elemento ripetuto, mascherato, e il nuovo presente, cioè i termini conflitto-mentaleattuali della ripetizione travestita, sono considerati soltanto come rappresentazioni del soggetto, inconsce e consce, latenti e manifeste, rimuoventi e rimosse.
Tutta la teoria della ripetizione si trova così subordinata alle esigenze della semplice rappresentazione, dal punto di vista del suo realismo, del suo materialismo, del suo soggettivismo. La ripetizione è sottoposta a un principio d’identità nell’antico presente, e a una regola di somiglianza nell’attuale.

Non ci sembra che la scoperta freudiana di una filogenesi, né la scoperta junghiana degli archetipi, correggano le insufficienze di una concezione siffatta. Anche se si contrappongono in blocco i diritti dell’immaginario ai fatti della realtà, si tratta ancora di una «realtà» psichica considerata come ultima o originaria; anche se si contrappone lo spirito alla materia, si tratta ancora di uno spirito nudo, svelato, allogato sulla propria identità ultima, puntellato sulle proprie analogie derivate; e anche se si contrappone all’inconscio individuale un inconscio collettivo o cosmico, quest’ultimo non agisce se non mediante la facoltà d’ispirare rappresentazioni a un soggetto solipsistico, si tratti del soggetto di una cultura o del mondo.

Sono state spesso sottolineate le difficoltà di pensare il processo della ripetizione. Se si considerano i due presenti, le due scene o i due avvenimenti (l’infantile e l’adulto) nella loro realtà separata dal tempo, in che modo l’antico presente potrebbe agire a distanza sull’attuale, e modellarlo, mentre deve ricevere retrospettivamente tutta la sua efficacia? E se si fa ricorso alle operazioni immaginarie indispensabili per colmare lo spazio di tempo, in che modo tali operazioni non assorbirebbero al limite tutta la realtà dei due presenti, non lasciando sussistere la ripetizione se non come l’illusione di un soggetto solipsistico?

Ma se è vero che i due presenti sono successivi, a una distanza variabile nella serie dei reali, essi formano piuttosto due serie reali coesistenti in rapporto all’oggetto virtuale di un’altra natura, che non cessa di circolare e di spostarsi in esse (anche se i personaggi, i soggetti che effettuano le posizioni, i termini e i rapporti di ciascuna serie restano da parte loro temporalmente distinti).
La ripetizione non si costituisce da un presente a un altro, ma tra le due serie coesistenti formate da questi presenti in funzione dell’oggetto virtuale (oggetto = x).

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E poiché esso circola costantemente, sempre spostato in rapporto a sé, determina nelle due serie reali ove appare, ossia tra i due presenti, trasformazioni di termini e modificazioni di rapporti immaginari.
Lo spostamento dell’oggetto virtuale non è dunque uno dei tanti mascheramenti, ma è il principio da cui discende in realtà la ripetizione come ripetizione mascherata. […]

Difatti se i due presenti, l’antico e l’attuale, formano due serie coesistenti in funzione dell’oggetto virtuale che si sposta in esse e in rapporto a sé, nessuna più di queste due serie può essere designata come l’originale o come la derivata. Esse pongono in gioco termini e soggetti diversi, in una intersoggettività complessa, dove ogni soggetto deve il suo ruolo e la sua funzione nella propria serie alla posizione intemporale che egli occupa in rapporto all’oggetto virtuale.

Quanto poi a questo oggetto, neppure esso può essere trattato come un termine ultimo o originario, il che equivarrebbe a conferirgli un posto fisso e un’identità a cui contraddice Hanazaki-conflitto-mentaletutta la sua natura, e se può essere «identificato» col fallo, ciò accade soltanto nella misura in cui quest’ultimo, secondo quanto asserisce Lacan, manca sempre dal suo posto, manca alla propria identità, manca alla propria rappresentazione.
A dirla in breve, non si dà termine ultimo, i nostri amori non rimandano alla madre, ma semplicemente la madre occupa nella serie costitutiva del nostro presente un certo posto rispetto all’oggetto virtuale, necessariamente occupato da un altro personaggio nella serie che costituisce il presente di un’altra soggettività, tenuto conto sempre degli spostamenti di questo oggetto = x; un po’ come l’eroe della Recherche che, innamorato della madre, si trova a ripetere di fatto l’amore di Swann per Odette.

Padre e madre non sono i termini ultimi di un soggetto, ma i medi termini di un’inter-soggettività, le forme di comunicazione e di mascheramento da una serie a un’altra, per soggetti differenti, in quanto tali forme sono determinate dalla traslazione dell’oggetto virtuale. Dietro le maschere, dunque, sussistono ancora altre maschere, e la più nascosta cela a sua volta un nascondiglio, e così all’infinito. Non si dà altra illusione se non quella di mascherare qualcosa o qualcuno.
Il fallo, organo simbolico della ripetizione, non è meno una maschera di quanto non sia esso stesso nascosto.

Il fatto è che la maschera ha due significati. «Dammi, ti prego, dammi… ma cosa? un’altra maschera». La maschera significa anzitutto il travestimento che investe in forme immaginarie i termini e i rapporti di due serie reali coesistenti in linea di diritto, ma in senso più profondo significa lo spostamento che investe essenzialmente l’oggetto virtuale simbolico, nella propria serie come nelle serie reali ove non cessa di circolare.
La ripetizione nella sua essenza è dunque simbolica, spirituale, intersoggettiva o monadologica.

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Da ciò discende un’ultima conseguenza relativa alla natura dell’inconscio.
I fenomeni dell’inconscio non si lasciano comprendere sotto la forma troppo semplice dell’opposizione o del conflitto. Non è soltanto la teoria della rimozione, ma il dualismo nella teoria delle pulsioni a favorire in Freud il primato di un modello conflittuale.
I conflitti sono tuttavia la risultante di meccanismi differenziali ben altrimenti sottili (spostamenti e mascheramenti). E se le forze entrano naturalmente in rapporti di opposizione, ciò accade a partire da elementi differenziali che esprimono un’istanza più profonda.

Il negativo in generale, nel suo duplice aspetto di limitazione e di opposizione, a noi è parso secondo [tardivo, posteriore] in rapporto all’istanza dei problemi e delle domande: il che significa a un tempo che il negativo esprime soltanto nella coscienza l’ombra di domande e di problemi fondamentalmente inconsci, e trae il suo potere apparente dalla parte inevitabile del «falso» [dell’«inganno» vigente nel mondo «afrodisiaco»] nella posizione naturale di tali problemi e domande.

(Deleuze, Differenza e ripetizione)

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Non più, dunque, la singola serie di «presenti reali» (l’antico e l’attuale, la scena originaria e quella derivata), ma la doppia serie di «presenti reali» che scandiscono un Tanning-maternitàcerto vissuto, e di «vissuti memorizzati» che il soggetto si porta appresso da un «presente» all’altro.
Ma non finisce qui. Anzi, con ciò, non siamo affatto usciti dalla solita concezione «individualistica, soggettiva, solipsistica o monadica» della Ripetizione. Non ci siamo, in altre parole, sottratti all’abitudine diffusa di guardare tutto nella prospettiva di un soggetto chiuso, di un soggetto pensato cioè al di fuori delle relazioni che intrattiene con gli altri soggetti. La «serie», qualunque essa sia, è così abitualmente pensata come «roba privata», propria ed esclusiva di un individuo.

E invece Deleuze ci propone un’altra prospettiva, un’altra doppia «serie», i cui «presenti reali» o «memorizzati» scandiscono le relazioni intersoggettive, i rapporti tra i soggetti, i loro reciproci mascheramenti e spostamenti, e non il mondo chiuso di un «io».
Una «serie» è allora, per es., quella «re-regina-ministro», o quella «polizia-ministro-Dupin», indicate da Lacan nel Seminario sulla lettera rubata. Qui gli elementi e le relazioni tra i membri di ciascuna serie sono determinati in funzione della loro posizione in rapporto all’oggetto virtuale sempre spostato: per tutti loro, la lettera non è mai là dove dovrebbe essere.

Non soltanto il soggetto, ma i soggetti presi nella loro intersoggettività si mettono in fila… Lo spostamento del significante determina i soggetti nei loro atti, nel loro destino, nei loro rifiuti, nelle loro cecità, nel loro successo e nella loro sorte, nonostante le loro qualità innate e la loro esperienza sociale, senza riguardo per il carattere o il sesso…
(Lacan, Ecrits)

«Così – commenta Deleuze – si definisce un inconscio intersoggettivo che non si riduce né a un inconscio individuale né a un inconscio collettivo, e in rapporto al quale non si può Demuro-memoriapiù fissare una serie come originaria e l’altra come derivata (benché Lacan continui ad usare questi termini apparentemente per comodità di linguaggio)».

Sicché – è nel Reame delle Relazioni che sorge l’«oggetto virtuale», il che vuol dire che c’è, sia pure sempre inconscia e invisibile, una terza serie dove è all’opera una Memoria non più individuale, non più soggettiva, non più monadica (dove la Monade è chiusa in se stessa), bensì monadologica (dove cioè è all’opera il logos, la Parola, il Simbolo, il Racconto che si raccontano tra loro le monadi). Conta cioè quel che tra loro intrattengono il re, la regina e il ministro. Sono tutt’e tre assieme che creano l’«oggetto virtuale», rispetto a cui assumere questo o quello sguardo, la tale o talaltra maschera dietro cui recitare la propria parte. In realtà, essi lo ricreano – perché l’«oggetto virtuale» che essi credono di «identificare» nella lettera, è già in essere, già in circolazione, prima e al di là della forma che gli dà la lettera: la lettera non è che la forma occasionale che essi si trovano reciprocamente a dare (ciascuno con la sua doppia serie di «presenti attuali» e di «presenti memorizzati») alla Forma Vuota dello spazio dei loro desideri.

È la reciprocità che scatena la potenza inconscia della Ripetizione: i soggetti della serie sono «catturati» sì da un miraggio, ma non si tratta più di un miraggio solitario, monadico o monacale. Si tratta di un miraggio pubblico, monadologico e universale – che «scrittura» di volta in volta gli interpreti della sua messinscena. È il Miraggio che, volatile qual è, migrando da una «rappresentazione» all’altra smonta e rimonta le sue forme di apparizione, i suoi balocchi. È la lettera che si sposta, è la sua mancanza che si ripete e che, ripetendosi, attrae a sé e arruola al proprio servizio la mancanza «afrodisiaca» patita, per conto proprio, dalle singole monadi. Ed è sempre la lettera a suscitare asti, discordie e liti – conflitti e opposizioni tra i membri d’ogni serie che di volta in volta si costituisce attorno alla sua «falsa» promessa di riempire quell’«assenza» là, quella… antica.