Lacan – La libido e la resistenza

Cosa dice Freud? È noto, nel bambino non esiste elaborazione del desiderio, di giorno ha voglia di ciliegie, e di sera sogna le ciliegie. Solo che Freud non manca di sottolineare che, anche a questo stadio infantile, il desiderio del sogno come quello del sintomo è un Saulnier-ciliegiedesiderio sessuale. Non ci rinuncerà mai.
Guardate L’uomo dei lupi. Con Jung, la libido si dissolve negli interessi dell’anima, la grande sognatrice, il centro del mondo, l’incarnazione eterea del soggetto. Freud vi si oppone assolutamente, in un momento tuttavia straordinariamente scabroso, in cui è tentato di subire la riduzione junghiana, poiché s’accorge che la prospettiva del passato del soggetto è forse solo fantasmatica. La porta è aperta per passare dalla nozione di desiderio orientato, catturato dai miraggi, alla nozione di miraggio universale. Non è la stessa cosa.

Il fatto che Freud mantenga il termine di desiderio sessuale tutte le volte che si tratta di desiderio, assume tutto il suo significato nel caso in cui è evidente che si tratta d’altro, di allucinazione dei bisogni per esempio.
La cosa sembra del tutto naturale – perché i bisogni non sarebbero allucinati? Lo si crede tanto più facilmente in quanto c’è una specie di miraggio di secondo grado, il cosiddetto miraggio di miraggio. Dal momento che abbiamo l’esperienza del miraggio, è del tutto naturale che ci sia. Ma a partire dal momento in cui si riflette, bisogna stupirsi dell’esistenza dei miraggi, e non solo di quel che mostrano.

Non ci si ferma mai abbastanza sull’allucinazione del sogno del bambino e dell’affamato. Non si fa attenzione a un piccolo dettaglio, quando il bambino ha desiderato delle ciliegie durante la giornata, non sogna solamente ciliegie.
Per citare la piccola Anna Freud, poiché si tratta di lei, nel suo linguaggio infantile in cui mancano alcune consonanti, sogna anche lo sformato, la torta, proprio come il personaggio che muore d’inedia non sogna un tozzo di pane e un bicchiere d’acqua che lo soddisferebbero, sogna un pranzo pantagruelico.

O. MANNONI: – Non è lo stesso sogno, il sogno delle ciliegie e quello della torta.

Il desiderio di cui si tratta, anche quello di cui si dice che non è elaborato, è già al di là della coattazione del bisogno. Anche il più semplice dei desideri è estremamente problematico.

O. MANNONI: – Il desiderio non è lo stesso, poiché la bambina racconta il suo sogno.

Ivanov-ciliegie

So bene che lei comprende in modo ammirevole ciò che dico. Certamente non si tratta che di questo, ma ciò non è evidente per tutti, e io cerco di fare chiarezza in modo da raggiungere il maggior numero di persone possibile. Mi permetta di rimanere al livello a cui mi mantengo.
Dopotutto, a questo livello esistenziale, possiamo parlare adeguatamente della libido solo in modo mitico – è la genitrix, hominum divumque voluptas [Lucrezio, De rerum natura, 1: 1]. È di questo che si tratta in Freud. Ciò che qui ritorna; un tempo lo si esprimeva a livello degli dèi, sono necessarie alcune precauzioni prima di farne un segno algebrico. Sono molto utili, i segni algebrici, ma a condizione di ridare loro la loro dimensione. È quello che cerco di fare quando vi parlo di macchine.

Quando Freud ci parla di un aldilà del principio di piacere?
Nel momento in cui gli analisti si sono impegnati sulla via di quel che Freud ha loro insegnato, e credono di sapere, Freud dice loro che il desiderio è il desiderio sessuale, e loro lo credono. È appunto il loro torto – perché non capiscono cosa vuol dire.
Perché quasi sempre il desiderio è altra cosa da quello che sembra essere? Perché è quel che Freud chiama desiderio sessuale? La ragione di ciò resta velata, altrettanto velata di quanto lo sia, per chi subisce il desiderio sessuale, l’aldilà che egli cerca dietro a un’esperienza remissiva, nella natura intera, a ogni inganno.

Se c’è qualcosa che, non solo nell’esperienza vissuta ma nell’esperienza sperimentale, mostra l’efficacia dell’inganno nel comportamento animale, è proprio l’esperienza Ivey-donna-mascherasessuale. Niente di più facile che ingannare un animale sulle connotazioni che fanno di un oggetto, di apparenza qualunque, l’oggetto verso cui andrà come verso il proprio partner. Le Gestalten [le forme] accattivanti, i meccanismi di provocazione innati si iscrivono nel registro della parata e dell’accoppiamento.

Quando Freud sostiene che il desiderio sessuale è al centro del desiderio umano, tutti coloro che lo seguono gli credono, gli credono così tanto da persuadersi che sia tutto semplice, e che non resti che farne la scienza, la scienza del desiderio sessuale, come forza costante. Basta eliminare gli ostacoli e la cosa andrà da sé. È sufficiente dire al paziente – lei non se ne accorge, ma l’oggetto è qui. Ecco che cosa si presenta a prima vista con l’interpretazione.
Solo che non funziona.

A questo punto – è questa la svolta – si dice che il soggetto resiste. Perché lo si dice? Perché l’ha detto Freud. Ma non si è capito che cosa voglia dire resistere più di quanto non si sia capito che cosa voglia dire desiderio sessuale. Si crede che bisogna spingere. Ed è qui che l’analista stesso soccombe all’inganno.
Vi ho mostrato che cosa significhi l’insistenza dal lato del soggetto che soffre. Ebbene, l’analista si mette sullo stesso piano, insiste a suo modo, in una maniera evidentemente molto stupida, perché cosciente.

Nell’ottica che vi ho appena esposto, la resistenza, siete voi che la provocate. La resistenza, come l’intendete voi e cioè la resistenza che resiste, resiste solo perché fate pressione voi. Non c’è resistenza da parte del soggetto. Si tratta di liberare l’insistenza che è nel sintomo.
Quello che Freud chiama in tal caso inerzia, non è una resistenza – come ogni specie di inerzia, è una specie di punto ideale. Siete voi che, per capire quel che succede, la supponete. Non a torto, a condizione di non dimenticare che è una vostra ipotesi. Vuol semplicemente dire che c’è un processo, e che per comprenderlo si immagina un punto zero. La resistenza non incomincia che a partire dal momento in cui da questo punto zero cercate di far muovere in avanti il soggetto.

In altre parole, la resistenza è lo stato attuale di un’interpretazione del soggetto. È il modo con cui, nel momento stesso, il soggetto interpreta il punto a cui è. Questa Masson-armaturaresistenza è un punto ideale astratto. Siete voi che la chiamate resistenza. Ma vuol semplicemente dire che non può andare avanti più in fretta, e su questo non avete niente da dire.
Il soggetto è al punto in cui è. Si tratta di sapere se va avanti oppure no. È chiaro che non ha nessuna propensione a procedere, ma per poco che parli, per poco valore che abbia ciò che dice, ciò che dice è la sua interpretazione del momento, e quanto dice in seguito è l’insieme delle sue interpretazioni successive.

La resistenza è, per parlare con esattezza, un’astrazione introdotta per raccapezzarcisi. Si introduce l’idea di un punto morto, cui si dà il nome di resistenza, e l’idea di una forza, che fa andare avanti.
Fin qui, tutto è corretto. Ma se da qui si arriva all’idea che la resistenza è da liquidare, come si scrive a ogni piè sospinto, si cade puramente e semplicemente nell’assurdità. Dopo aver creato un’astrazione, si dice – bisogna far scomparire questa astrazione, non ci deve essere inerzia.

C’è una sola resistenza: la resistenza dell’analista. L’analista resiste quando non capisce con che cosa ha a che fare. Non capisce con che cosa ha a che fare quando crede che interpretare sia mostrare al soggetto che ciò che desidera è il tale oggetto sessuale. Si inganna. Ciò che in questo caso si immagina essere oggettivo non è altro che una pura e semplice astrazione. È lui che è in uno stato d’inerzia e di resistenza.
Si tratta al contrario di insegnare al soggetto a nominare, ad articolare, a far passare all’esistenza il desiderio che, letteralmente, è al di qua dell’esistenza, e per questo insiste. Se il desiderio non osa dire il suo nome, è perché questo nome, il soggetto non l’ha ancora fatto sorgere.

Che il soggetto giunga a riconoscere e nominare il suo desiderio, ecco qual è l’azione efficace dell’analisi. Non si tratta però di riconoscere qualcosa di già dato, pronto per una coattazione. Nominandolo, il soggetto crea, fa sorgere una nuova presenza nel mondo. Introduce la presenza come tale e, nello stesso tempo, scava l’assenza come tale. È soltanto a questo livello che è concepibile l’azione dell’interpretazione.

(Lacan, Il Seminario: 2)

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Cabanel-nascita-Venere

Basterebbe fare i nomi di Narciso o di Edipo, per capire quanto Freud, e con lui tutta la psicoanalisi, «deve» al Mito. E che quanto più «ritardo» la ricerca psicoanalitica accusa nel saldo di questo debito, tanto più si condanna a girare a vuoto nel suo stesso labirinto di nozioni e concetti terapeutici.
Freud parla di libido, ogni desiderio, dice, è sia pure camuffato sempre un desiderio sessuale. E tutti i suoi «discepoli», dice Lacan, eccoli pronti a prenderlo alla lettera. Si tratta, in fondo, solo di trovare l’idolo, essi pensano, solo il feticcio, il giocattolo «sessuale» a cui il paziente è, a sua insaputa, affezionato, ed ecco pronta la ricetta.
Si può essere più fessi di così? e soprattutto più dannosi?

Era ora che qualcuno se ne accorgesse, che se c’è dell’insipienza è proprio dalla parte dell’Analista – e che se c’è della resistenza a sapere, è tutta quanta dell’Analista e del suo sbrigativo letteralismo.
Guarda invece Lacan. Messo alle strette del suo interlocutore, non esita a confessare: della libido, del desiderio sessuale, se ne può parlare solo in termini mitici. Ci manca poco che lo dica: il mondo in cui Freud si aggira con la sua nozione di libido, è quello che una volta si chiamava il Reame di Afrodite, dell’Afrodite Urania per l’esattezza, non della Volgare che abbiamo a portata di mano tutti i santi giorni, no – ma dell’Antica, dell’Innominabile, di quella che, in fuga volontaria o perché scacciata dal cielo, non è Pratte-seduzioneperò mai riuscita ad atterrare nel nostro mondo, e che è rimasta «sospesa», come la Luna, a mezza strada tra la terra e il cielo.

C’è chi dice: era una nostra donna, una donna della nostra Tribù, ma è venuta una stella a prendersela. Luna s’è travestito da porcospino per venire ad adescarla. È andata così, dice il Racconto: il Verbo ha scelto la donna umana per incarnarsi. Tramite la Donna il Simbolico ha preso corpo. Ha cessato di essere Puro Spirito Maschio Celeste Impetuoso che contempla il mondo da lassù, dallo zenit di un Solstizio Eterno. Ha trovato casa nel Corpo della Donna. Nel suo (lunatico) ciclo mestruale, anzitutto.

La libido, dice Lacan, non è che un segno algebrico di queste e tante altre storie, figure e immaginazioni mitiche. Non c’è niente di più sciocco che ridurla alla lettera: alla pazziella, cioè, a cui amano giocare il fallo e la vagina /toh, il gallo e la gallina/. Niente di più banale che identificarla con la «ciliegina sulla torta», con la voluptas, col «volubile piacere» che la «genitrice degli uomini e degli dèi», l’alma Venus di Lucrezio, dispensa a tutti gli esistenti.
Anche quando il bambino sogna le ciliegie, Freud non manca di precisare, e con che pignoleria!, che il sogno comunque mira all’allucinazione «venerea», «afrodisiaca» di un desiderio. E cioè che il sogno in ogni caso «trascende» le ciliegie, oltrepassa i confini del bisogno e della fame, per avventurarsi in quest’altro Reame – dell’inutile, del gratuito e del virtuale, dove Afrodite lo «cattura» nella trama del gioco più volubile – di cui il moto di rivoluzione delle sfere celesti non è che un frammento.

È proprio questa «voluttà», questa «volubilità» del piacere, questa sua innata passione per i «rivolgimenti», gli spostamenti, le transizioni e i mutamenti – la chiave del Reame afrodisiaco. È essa che «libera» il desiderio dalle ciliegie, e «affranca» il miraggio dalla fame: è grazie alla voluptas, che il sogno può «allucinare» la mancanza di cui patisce, e sollevare lo sguardo dalle ciliegie per distrarlo altrove.
La porta è così aperta, dice Lacan – aperta a fare il grande salto, a saltare dal Miraggio Salaam-sax-ballerinaindividuale, personale, singolare e irripetibile, al Miraggio Umano, trans-individuale, trans-personale, e che non fa altro che ripetersi.

Tramite la voluptas (tramite il «piacere») l’alma Venus di Lucrezio insinua in tutti gli esistenti il pretesto per riprodurre la propria Specie. E tenere così in vita la Carne (la «sessualità») per incarnarvi il Verbo, e con esso tutto il Mondo Simbolico, tutti gli artifici cioè per allucinare il bisogno e la fame, per trascenderli, e per aprirsi all’«aldilà del piacere».

Ogni minimo desiderio, anche il più insignificante frammento onirico del bambino, viene di là – dal Paese di Afrodite Urania.
E solo perché noi siamo figli della Donna, e solo perché la Donna è andata sposa a una stella, a una potenza, a un’intelligenza delle sfere celesti – solo grazie a questo, fin dal primo sogno sogniamo l’«aldilà» delle ciliegie che non ci hanno lasciato mangiare di giorno. Sogniamo l’«aldilà» della mancanza che accusa il nostro essere, e «musichiamo» la mancanza d’essere che si cela dietro l’apparenza delle ciliegie che ci sono state negate.

Certo che c’è differenza tra il sogno sognato (e non elaborato, non ripensato, sognato una tantum) e il sogno raccontato (che è al contrario elaborato, ripetuto a parole, e con ciò fantasticato almeno una seconda volta).
Ma, dice Lacan, anche il più piccolo atomo di sogno o di desiderio, anche solo sognato, o anche solo vagamente abbozzato, anche se non elaborato né raccontato, è già oltre la lettera, al di là delle sue stesse fantasie. In esso è da subito all’opera l’«inganno». Da subito il sogno s’incarica di «ingannare» la mancanza, di «truccare» l’assenza e di «falsificare» il vuoto, di «trascendere» il bisogno e le sue coercizioni. È da subito catturato nell’aldilà afrodisiaco e nei suoi giochi di rivoluzione e di metamorfosi.