Un giorno Majnûn trovò un momento opportuno per sedere accanto a Laylâ.
Questa gli chiese: «O innamorato, mostrami quello che hai».
Majnûn rispose: «Mia luna, a causa del tuo amore non mi è rimasta né l’acqua né il pozzo. Non ho più umori nel corpo e i miei occhi non conoscono più il sonno notturno. L’amore che nutro per te ha rubato il tesoro del mio intelletto. Non mi rimane che la vita. Un solo segno da parte tua e, se la vuoi, te la dono. Sappi con certezza che te la darei senza dubitare».
Parlò la beneamata Laylâ: «Perché dovrei prenderti questo tesoro? Offrimi qualcos’altro!».
Allora Majnûn offrì a Laylâ un ago dicendo: «Questo è tutto ciò che possiedo dei due mondi, e tutto quello che mi è rimasto in questo mondo è la mia sola moneta, tutto il resto è povertà. Portavo con me quest’ago perché spesso, quando erravo nel deserto, cadevo a terra cercando te, la mia amata: le spine ferivano i miei piedi come fossero rose. Solo con l’aiuto di quest’ago, disteso a terra, potevo estrarre le spine dai piedi».
Rispose nuovamente Laylâ a Majnûn: «Era proprio questo ciò che volevo da te. Se tu sei sincero in amore, a che cosa ti serve quest’ago? Se nella ricerca di un amante come me, o animo afflitto, una spina s’infila nel tuo piede, non è lecito toglierla con un ago. Liberarsene non è atto di amante fedele. È una spina preziosissima, quella: fa da guida sul sentiero dell’unione. Estrarla con l’ago è una colpa. Tutto in realtà è una colpa per l’amante: egli non può che bere il suo sangue. Se nel tuo piede è entrata una spina per colpa mia, sappi che è come una rosa sulla tua veste. Sei forse di meno di un rosaio che, sperando nei fiori, sopporta per un anno le spine? Una spina nel tuo piede ferito a causa di Laylâ vale più di cento rose elegantemente legate e offerte da chiunque altra».
(Farîdoddîn ‘Attâr, Il poema celeste)