Eliade – Modello cosmogonico e costruzione della città

Se per l’uomo arcaico vivere nel mondo ha un valore religioso, questo è il risultato di un’esperienza specifica: l’esperienza di quello che chiamiamo «spazio sacro». Per l’uomo religioso, infatti, lo spazio non è omogeneo; alcune sue parti sono qualitativamente differenti da altre.albero-sacro
C’è uno spazio sacro e quindi forte, significativo, e ci sono altri spazi che non sono sacri e sono perciò privi di struttura, forma e significato.

E non è tutto. Per l’uomo religioso questa disomogeneità spaziale trova espressione nell’esperienza di un’opposizione tra spazio sacro – l’unico spazio reale e realmente esistente – e tutti gli altri spazi, l’informe distesa circostante.
L’esperienza religiosa della disomogeneità dello spazio è un’esperienza primordiale paragonabile alla fondazione del mondo. È la spaccatura operata nello spazio, infatti, a consentire il costituirsi di un mondo, rivelando il punto fisso, l’asse centrale per ogni futuro orientamento.

Quando il sacro si manifesta in una ierofania, ciò non equivale soltanto a una spaccatura nell’omogeneità dello spazio; equivale anche alla rivelazione di una realtà assoluta, opposta alla non realtà della vasta distesa circostante.
Il manifestarsi del sacro crea ontologicamente il mondo. Nella distesa omogenea e infinita nella quale non è possibile alcun punto di riferimento e quindi nessun orientamento, la ierofania rivela un punto assolutamente fisso, un centro.

È allora evidente fino a che punto la scoperta – cioè la rivelazione di uno spazio sacro – possiede valore esistenziale per l’uomo religioso; giacché a niente si può por mano, niente si può fare, senza un orientamento preliminare; e qualsiasi orientamento implicazione l’acquisizione di un punto fisso.
È per questo motivo che l’uomo religioso ha sempre cercato di fissare la propria dimora al «centro del mondo». Per essere abitato, il mondo deve essere fondato; e nessun mondo può nascere nel caos dell’omogeneità e relatività dello spazio profano.

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La scoperta o proiezione di un punto fisso – il centro – equivale alla creazione del mondo. Orientamento rituale e costruzione dello spazio sacro hanno valore cosmogonico; il rituale con cui l’uomo costruisce uno spazio sacro è, infatti, efficace nella misura in cui riproduce l’opera degli dèi, cioè la cosmogonia.

La storia di Roma, come la storia di altre città o popoli, inizia con la fondazione della città; la fondazione è l’equivalente di una cosmogonia. Ogni nuova città rappresenta un nuovo inizio del mondo.
Come sappiamo dalla leggenda di Romolo, il solco circolare tracciato con l’aratro, il sulcus primigenius, indica il perimetro delle mura e dunque la fondazione della città.
Gli scrittori classici erano tentati di far di far derivare urbs (città) da urvum (la curva dell’aratro) o da urvo (arare); secondo altri urbs deriva da orbis (cosa ricurva, globo, il mondo). Servio parla del costume degli antichi secondo cui, «poiché ogni nuova città veniva fondata usando l’aratro, doveva esser distrutta con lo stesso rito col quale era stata fondata» (scolio a Eneide, 4: 212).

Il centro di Roma era un foro, un mundus, il punto di comunicazione tra il mondo terrestre e gli inferi. Già molto tempo fa Roscher aveva interpretato il mundus come colonnel-foro-romanoomphalos (ombelico della terra); si riteneva che ogni città che possedesse un mundus fosse situata al centro del mondo, nell’ombelico dell’orbis terrarum.
Si è anche supposto giustamente di intendere Roma quadrata non già nel senso che Roma avesse forma quadrata, bensì che fosse divisa in quattro parti. La cosmologia romana era basata sull’immagine di una terra divisa in quattro regioni.

Concezioni analoghe si possono trovare ovunque nel mondo neolitico e nella prima età del bronzo. In India la città, al pari del tempio, è costruita a somiglianza dell’universo. Il rito di fondazione rappresenta la ripetizione della cosmogonia.
Nel centro della città è simbolicamente collocato il monte Meru, la montagna cosmica, insieme alle divinità supreme; e sotto la protezione di un dio sta anche ciascuna delle quattro porte principali della città. La città e i suoi abitanti sono in certo senso innalzati a un livello sovrumano: la città è assimilata al monte Meru e gli abitanti diventano «immagini» degli dèi.
Ancora nel diciottesimo secolo Jaipur fu costruita sul modello tradizionale descritto nel Šilsapaštra.

La metropoli iranica aveva una pianta uguale a quella delle città indiane, era cioè una imago mundi. Secondo la tradizione iranica, l’universo era concepito come una ruota con sei raggi e un largo foro al centro, simile a un ombelico.
I testi proclamano «il territorio iranico» (Airyanem vaêjah) il centro e il cuore del mondo; e, di conseguenza, il più prezioso di tutti. Per questo motivo Shîz, la città natale di Zarathustra, era considerata il luogo d’origine della potenza regale.
Il trono di Creso II era costruito in modo tale da simboleggiare l’universo. Il re iranico era chiamato «Asse del mondo» o «Pilastro del mondo». Seduto sul suo trono, al centro del suo palazzo, il re era simbolicamente collocato al centro della città cosmica, l’Uranopolis.

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Questo tipo di simbolismo cosmico è ancora più evidente se consideriamo Angkor in Cambogia: «La città con le sue mura e i suoi fossati rappresenta il mondo circondato dalle sue catene di montagne e dagli oceani mitici. Il tempio nel centro simboleggia il monte Meru, le sue cinque torri si ergono come le cinque vette della montagna sacra. I suoi cinque santuari secondari rappresentano le costellazioni nei loro corsi, cioè il Tempo Cosmico. Il principale atto rituale imposto al credente consiste nel camminare attorno all’edificio del tempio nella direzione prescritta in modo da passare in successione attraverso ciascuna fase del ciclo solare; in altre parole: in modo da attraversare lo spazio al passo con il tempo. Il tempio è infatti un cronogramma che simbolizza e regola la sacra cosmografia e topografia dell’universo, di cui è il centro ideale e il regolatore» (Groslier-Arthaud, The Arts and Civilization of Angkor).

Con qualche variante troviamo lo stesso modello ovunque nel sud-est asiatico. Il Siam era diviso in quattro province con la metropoli al centro; e al centro della città stava il palazzo reale. Il paese era in tal modo un’immagine dell’universo; secondo la cosmologia Myanmar, Birmania, Mandalaysiamese, infatti, l’universo è un quadrato col monte Meru al centro. Bangkok è chiamata «la città reale celeste», «la città degli dèi», ecc. Il re, collocato al centro del mondo, era un cakravartin, un cosmocrate.

Similmente, nel 1857 Mandalay fu costruita in Birmania secondo la cosmologia tradizionale, vale a dire come imago mundi: quadrangolare e col palazzo reale al centro.
Anche in Cina troviamo lo stesso modello cosmogonico e la stessa correlazione tra cosmo, stato, città e palazzo. Il mondo era concepito come un rettangolo il cui centro era la Cina, ai quattro orizzonti erano situati i quattro mari, le quattro montagne sacre e le quattro nazioni barbare. La città aveva forma quadrangolare, con tre porte su ciascun lato, e il palazzo al centro, corrispondente alla Stella Polare. Da questo centro il perfetto sovrano era in grado di influenzare l’universo intero.

(Eliade, Mondo Città Casa, in Occultismo, stregoneria e mode culturali)