Rabelais – La sibilla di Panzoust

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Camminarono tre giornate. Alla terza, sulla groppa di una montagna sotto un alto e gran castagno, fu indicata loro la casa della vaticinatrice.
Senza difficoltà entrarono in quella dimora a tetto di paglia, mal costruita, male ammobiliata, e tutta affumicata.

«Basta – disse Epistemone. – Eraclito, gran scotista e tenebroso filosofo, non si meravigliò entrando in una casa simile, anzi disse ai suoi settatori e discepoli che in una tal dimora si potevano trovare gli Iddii, così come in un palazzo di delizie. E credo che non molto diversa fosse la capanna della tanto celebrata Hecale, quand’ella vi festeggiò il giovine Teseo; né quella di Hireo o di Enopione, nella quale Giove e Nettuno e Mercurio tutti insieme non disdegnarono di entrare, rifocillarsi e alloggiare, e nella quale ospitalmente, per il disturbo, generarono Orione.

Sotto la cappa del camino trovarono una vecchia […] male in arnese, mal vestita, mal nutrita, sdentata, cisposa, rattrappita, mocciosa, tremolante, e faceva una minestra di cavoli con una cotenna di lardo ingiallito e un vecchio osso di prosciutto.
«Sacrablù! – disse Epistemone – abbiamo fatto una grave dimenticanza: non potremo aver da lei nessuna risposta, perché non abbiamo portato il ramo d’oro».
«Ci ho pensato io – disse Panurge. – Ce l’ho qui nella mia bisaccia, in forma d’una bella strega-edad-mediavera d’oro accompagnata da un po’ di bei scudini sonanti».

Dette queste parole, Panurge le si inchinò profondamente, le presentò sei lingue di bue affumicate, un gran vaso da burro pieno di grattoni, un damiginanino ben fornito di beveraggio, un borsellino a coglia di montone pieno di monete nuove di zecca; e infine, con una profonda riverenza, le infilò al dito medio una vera d’oro bellissima, nella quale si trovava magnificamente incastonata una pietra rospina di Beusse. Poi in brevi parole le espose il motivo della sua venuta, pregandola cortesemente di dirgli il suo parere e la buona ventura sul suo progettato matrimonio.

La vecchia restò qualche tempo in silenzio, pensosa e ruminando coi denti; poi sedette sul culo di uno staio, prese in mano tre vecchi fusi, li girò e rigirò tra le dita in varie maniere; poi ne provò le punte, e tenne il più aguzzo in mano, gettando gli altri due sotto un mortaio per pilare il miglio. Poi mise mano al suo arcolaio, e lo fece girare nove volte; dopo di che stette a guardare, senza più toccarlo, i giri che continuava a fare, aspettando che fosse tornato immobile.
Quindi la vidi scalzarsi di uno dei suoi socchi (noi li chiamiamo zoccoli), si mise il grembiule in testa, come si mettono i preti il loro amicto, quando vogliono cantar messa; quindi, preso un vecchio nastro screziato, variopinto, se lo legò sotto la gola.

Così acconciata, bevve un gran sorso dalla damigiana, prese dal borsellino tre scudi, li mise in tre gusci di noce e li pose sul fondo di un vaso da penne; disegnò tre cerchi con la scopa, sotto il camino, gettò sul fuoco una mezza fascina di sterpi e un ramo di lauro secco.
Li guardò bruciare in silenzio e notò che, bruciando, non facevano brusio né rumore alcuno.

Allora si mise a lanciare suoni spaventevoli, rigirando tra i denti alcune parole barbariche e di stranissima forma: di modo che Panurge disse a Epistemone: «Per la virtù di Dio, mi vien la tremarella! ho paura d’essere stregato. Questa vecchia non parla teniers-stregamica cristiano. Non vedete che sembra quattro spanne più alta di prima, quando s’incappucciò col suo grembiule? E che significa quello sbattere di mascelle? quell’agitazione di spalle? A qual fine borbotta con le labbra come una scimmia che sgranocchia gamberetti? Mi sento suonare le orecchie, mi par già di sentire Proserpina ululante. Certo, tra poco, salteranno fuori i diavoli. Ahi, che bestiacce! Fuggiamo, serpe di Dio! io muoio di paura. No, non mi piacciono i diavoli. Mi fanno arrabbiare, e sono brutti da vedere. Scappiamo. Addio, Signora, molte grazie per la buona accoglienza! Vuol dire che non mi sposerò; no. Vi rinuncio senz’altro fin d’ora».

E si alzò per scappare dalla stanza. Ma la vecchia lo precedé, tenendo il suo fuso in mano, e uscì in un cortiletto presso la casa. Là si trovava un antico sicomoro: lei lo scrollò tre volte e, su otto foglie che ne caddero, sommariamente con quel suo fuso scrisse certe brevi note.
Poi le gettò al vento, e disse ai due amici: «Cercatele, se volete; trovatele, se potete: la fatal sorte delle vostre nozze è scritta su quelle».
Dette queste parole, si ritirò nella sua tana; ma sullo scalino della porta si tirò su gonna, sottana e camicia fino alle ascelle e mostrò loro il culo.

Panurge vedendolo disse a Epistemone: «Sangue d’un gatto di bio! vedi, quello è l’antro della Sibilla!»
Ma già la vecchia si era sprangata la porta alle spalle, e più non si mostrò. Loro si misero a correre dietro alle foglie, e le raccolsero, ma non senza grande fatica, poiché il vento le aveva sparpagliate tra i cespugli della valle.
Riordinandole, una dopo l’altra, trovarono questa sentenza in versi:

Ti spelerà,
la rinomanza.
S’impregnerà,
ma non di te.
Ti succhierà,
il buon boccone,
Ti scorticherà,
ma in porzione.

(Rabelais, Gargantua e Pantagruele, 3: 17)