Lacan – Il Fantasma Inconscio

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VALABREGA: – … e poi, in ultima analisi, c’è il desiderio di dormire, che è uno dei significati ultimi del sogno. Di conseguenza, [in un sogno c’è] realizzazione del desiderio da una parte, e desiderio di dormire dall’altra […] l’interpretazione del desiderio di dormire come desiderio narcisistico va appunto in questo senso. Ci sono due realtà nel sogno, la realizzazione del desiderio (che lei sembra un pochino far sparire) e l’elaborazione significante.

Lei parla di realizzazione del desiderio di dormire. Tornerò anzitutto sul primo di questi termini.
Cosa può voler dire l’espressione «realizzazione del desiderio»? Sembra che lei non sia colpito dal fatto che «realizzazione» comporta realtà e che di conseguenza in questo caso potrebbe esserci soltanto realizzazione metaforica, illusoria.
Come in ogni soddisfazione allucinatoria, la funzione del desiderio non può essere situata qui che in forma molto problematica. Che cos’è il desiderio, se è la molla dell’allucinazione, dell’illusione, ossia di una soddisfazione che è il contrario di una soddisfazione?

Se diamo al termine «desiderio» una definizione funzionale, se è per noi la tensione messa in gioco da un ciclo di realizzazione comportamentale qualsiasi, se l’iscriviamo in un ciclo biologico, il desiderio arriva a una soddisfazione reale. Se arriva a una kush-desiderio-nascostosoddisfazione allucinatoria, vuol dire che lì c’è un altro registro.
Il desiderio si soddisfa altrove che in una soddisfazione effettiva. È la fonte, l’introduzione fondamentale del fantasma come tale. C’è un altro ordine, che non arriva ad alcuna oggettività, ma che definisce da se stesso le questioni poste dal registro dell’immaginario.

VALABREGA: – È per il fatto che Freud fa uso del concetto di mascheramento, è per il fatto che, subito dopo la prima formulazione «il sogno è la realizzazione del desiderio», fa uso del concetto di desiderio come realizzazione mascherata. Nondimeno è una realizzazione reale, ma realizzata in modo mascherato.

Il termine «mascheramento» è una metafora, che lascia intatta la questione di cosa venga soddisfatto in una soddisfazione simbolica. Ci sono infatti desideri che non troveranno mai altra soddisfazione che di essere riconosciuti, ossia ammessi.
Nell’uccello che finisce per cedere il suo posto vicino alla compagna in seguito dalle manovre di un avversario, si può vedere bruscamente emergere un’accurata lisciatura delle piume, che è un’ectopia della parata sessuale. In tal caso si parlerà di innesto su un altro circuito e di avvio di un ciclo di risoluzioni che danno l’idea di una soddisfazione sostitutiva.
La soddisfazione simbolica è dello stesso ordine? Ecco il punto. La nozione di mascheramento non ce lo fa capire in alcun modo.

Quanto all’altro termine che lei ha usato poco fa, il desiderio di dormire, è beninteso estremamente importante. Freud l’ha messo in connessione specialmente con l’elaborazione secondaria, nell’ultimo paragrafo del capitolo sul lavoro onirico, che concerne l’intervento dell’ego come tale nel sogno.
Credo che ci siano qui ancora due cose da distinguere. C’è il bisogno di dormire per un certo tempo, bisogno che si suppone sottostare alla durata del sonno, rispetto e contro tutti gli eccitamenti esterni o interni che potrebbero venire a turbarlo. Questo bisogno appare nell’io? partecipa alla vigilanza che esso esercita per proteggere lo stato di sonno?

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In effetti, si tratta di una delle emergenze della presenza dell’io nel sogno, ma è ben lungi dall’essere la sola.
Se lei ricorda il capitolo a cui si riferiva, è lì che compare per la prima volta nel pensiero freudiano la nozione di fantasma inconscio. Tutto ciò che è del registro dell’io in quanto istanza vigilante si produce a livello dell’elaborazione secondaria, ma Freud non può separarlo dalla funzione fantasmante in cui l’io è integrato.

C’è qui tutta una serie sfumata di termini da mettere in relazione, per distinguere fantasma, sogno e fantasticheria, e conformemente a una specie di relazione speculare a un certo momento i ruoli si invertono.
La fantasticheria che appare a livello dell’io è soddisfazione immaginaria, illusoria, del desiderio, ha una funzione molto localizzata, e superficiale.
Qual è il rapporto tra la fantasticheria dell’io e quella, situata altrove, nella tensione? È la prima apparizione nell’opera di Freud della nozione di fantasma inconscio. È per dirle la complessità del desiderio di salvaguardare il sonno.

È forse a questo livello che il gioco a rimpiattino dell’io si manifesta al suo massimo, e che sapere dov’è ci fa più difficoltà. Dopotutto è unicamente a livello dell’io che vediamo apparire la funzione della fantasticheria nella strutturazione del sogno. Ed è anche unicamente a partire dall’io che estrapoliamo per pensare che vi sia da qualche parte una fantasticheria senza io, che ci siano dei fantasmi inconsci.
Paradossalmente, la nozione di fantasia inconscia, di attività fantasmatica, è promossa attraverso il giro dell’io.

(Lacan, Il Seminario: 2)

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Dobbiamo ritornare ancora una volta sul «caso Gilgameš»: e in particolare su quella «scena» là – Gilgameš è giunto a quella che possiamo chiamare la meta del suo vagabondaggio. Incredibile a dirsi, lui ci è arrivato all’Isola del Lontano. Missione compiuta. Si tratta, ora, per lui solo di assaggiare il frutto della sua impresa. Divenire immortale, conoscere il Segreto degli dèi.
E Utnapištim è a lui di fronte. Eccola qua, gli dice, la Realtà che dici di voler conquistare. Dici che questo è il tuo desiderio, e che questo sei venuto fin qui a realizzare. Ebbene, ora è il momento di farlo. Oh, non è difficile la prova che ti si richiede: se davvero la vuoi, tu la Realtà l’avrai, tu davvero ti realizzerai – ma a una condizione, una sola: che tu non ti addormenti sul più bello…

Dobbiamo ritornare – e fare zoom su questa «scena» della Sceneggiata sumero-babilonese. Sapienza antica… antica sonnolenza. Addormentarsi, venire meno proprio sul più bello. Questo è mancare o realizzare il proprio desiderio?
Questa, a quanto a prima vista pare, è la macchia, questa la debolezza di Gilgameš: perdersi nel sonno a un passo dal traguardo dei suoi sogni.
Ma di tutti i sogni da lui fin qui «dormiti», di tutte le fantasticherie di cui lui ha sognato eroicamente il proprio io al traguardo – qual era, fin dal principio, il fondo? che cosa bruno-sonnoc’era, laggiù, o forse meglio chi, c’era nel fondo del sogno che prendeva forma d’Eroe in cammino verso l’empireo della sua mente, il vello d’oro, o il segreto dell’immortalità?

C’era il desiderio di «dormire», laggiù. C’era, lo dice Amleto, quell’istinto a lasciarsi «morire», ad abbandonarsi a quell’altro Reame, a quella Realtà che è al di là del Sogno, al di là del Mito e dell’Eroe che l’attraversa.
A quella Realtà che appare, per un istante, solo sul più bello – un bagliore, e poi l’abbandono all’Oltre, sulla cui soglia vigilano i Fantasmi Inconsci.

Intendiamoci: il Fantasma Inconscio a spasso nei sogni di Gilgameš, è – manco a dirlo – il suo stesso racconto: il racconto che il suo ego «fantastica» assorbendolo dal Racconto della sua Gente. L’Eroe di quel Racconto è Lui, il Fantasma a cui Gilgameš presta le sue proprie sembianze, la sera prima di addormentarsi.
Gilgameš non lo sa, ma patisce il Racconto del Vagabondo, e ogni sera se lo fantastica per imboccare la via di quel suo sogno. Lui vuole solo addormentarsi con in bocca il sapore dell’abbandono – a cui una volta s’abbandonava spensieratamente. Gilgameš non lo sa, ma dacché è stato preso nella parola del Racconto, lui deve deviare per il Fantasma di questo Racconto per conciliarsi il sonno. Lui deve rincorrerlo fino alla meta, perché il Racconto almeno questo gli promette: che se giungerà sul più bello, si lascerà andare a un Sonno come lo non dorme più da chissà quanto tempo.

È per il desiderio di dormire che la sera andiamo a letto. Tutto ciò che ci fa perdere il sonno, è nostro Nemico. Tutto ciò che sogniamo, se ci mantiene desti – se cioè, anche da svegli, lo fantastichiamo, è solo perché abbiamo smarrito la via. Non ci sono sconti. La sola via è quella che ci riconduce sul più bello o da nessun’altra parte. Perché solo in quella Bellezza possiamo liberarci di tutti i fantasmi che ci attraggono nella Rete dei loro desideri «eroici» attraverso il Racconto della Gente a cui, linguisticamente, apparteniamo.

Se desideriamo le Notti Bianche, è perché siamo prigionieri dei desideri che si realizzano a nome e per conto del Fantasma Inconscio – il Signor SI, il solito Si stesso che, insonne, si ripete sulla Pubblica Piazza. Sogna, realizza i suoi desideri nei nostri sogni: noi non mastroianni-dante-beatricesiamo che gli anelli per cui passa la trafila della sua «realizzazione».

Capisci? giungere a Beatrice, ricongiungersi con l’Amata, per Dante non è che in apparenza la «realizzazione del suo amore», e probabilmente lui stesso all’inizio credette che il suo viaggio mirasse a questo, ma poi ecco, proprio sul più bello, Beatrice – il Fantasma in giro allora tra i rimatori stilnovisti – si dissolve nella Nube, per lasciar trasparire il volto della Madonna. E quando la Madonna gli «fa la grazia» di manifestargli il Segreto, ecco – s’apre il sipario e il Viandante «coglie» il frutto estatico del suo viaggio, ricadendo, lui poeta, nel balbettio di un bebè.

Ma dov’è che, più precisamente, che il Viandante ricade?
Ricade nel suo Passato senza parole, prima che la Parola della sua Gente lo arruolasse alle sue sceneggiature «tragico-eroiche».
Ricade dunque nella Commedia al di là del dilemma del comico e del tragico, in cui fino all’ultimo si dibatte l’ambiguità di Beatrice che gli ha sì nascosto la Madonna, ma del solo nascondimento che poteva tenerla viva e presente, e che gliel’ha fatta sì dimenticare, ma di quella sola dimenticanza che poteva essere custodita nell’Indimenticabile – al di là del profumo della sua «assenza presente» che ha impregnato i versi del Poeta. Oltre il sogno di Beatrice, al di là dell’apparizione della Madonna, Dante – come Gilgameš – si arrende al «desiderio di ritornare» a balbettare, al desiderio di rimbambirsi, di rimpicciolirsi, di annientarsi a ogni assenso al Fantasma dei compaesani, per poter dormire quel «lungo sonno» là, lungo cent’anni come toccò a Rosaspina, o addirittura trecento come successe ai Sette Dormienti.

Sul più bello – è il solo posto al mondo in cui il Fantasma è costretto a smascherarsi. Beatrice a svelarsi. E il Racconto a scavare un buco nella volta celeste dei suoi miti. Una piccola breccia nell’Idolo, uno squarcio nel Significante: realizzarne il desiderio è il solo modo di realizzare il proprio desiderio di dormire, la propria antica sapienza fatta di Notte e di Lete.