Eliot – Agli Indiani che morirono in Africa

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La destinazione di un uomo non è il suo villaggio,
il suo fuoco, e la cena cucinata dalla moglie;
sedere davanti alla porta del tramonto
e vedere il nipote e gli amici del nipote
giocare insieme nella polvere.

Sfregiato ma al sicuro, molti ricordi
gli ritornano nell’ora della conversazione
(l’ora calda o fresca, a seconda del clima)
di stranieri che combatterono in paesi stranieri,
stranieri l’un l’altro.

La destinazione di un uomo non è il suo destino,
ogni paese è casa per un uomo ed esilio
per un altro. Dove un uomo coraggiosamente muore
assecondando il suo destino, là è il suo posto.
Ricordi il suo villaggio.

Questa non era la vostra terra, né la nostra: ma un villaggio nelle Midlands
e uno nella zona dei Cinque Fiumi possono avere lo stesso cimitero.
Quelli che tornano a casa raccontino la stessa storia di voi:
di un’azione con uno scopo comune, di un’azione
non senza frutti, anche se noi né voi
sappiamo, fino al momento che segue la morte,
qual è il frutto dell’azione.

(Eliot, Versi occasionali)

***

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L’uomo non è destinato al posto in cui lo battezza il Discorso. Il suo destino non c’entra con la «posizione» che in vita gli assegna, nei suoi ranghi, la Tribù. Gli Indiani sono destinati all’Africa – a un altro continente, a cui sono stranieri non meno che alla loro terra natia. Gli uomini sono stranieri a tutta la terra. Gli uomini non sono di qui. Il loro destino è da molto più lontano che proviene. Proviene dai «raggi» delle stelle che fecondarono un qualunque misero lembo di terra. A quelle stelle a cui «ritornano», rientrando, per la porta della morte, nel loro destino.

Il destino di un uomo non è né indiano né africano. Né eschimese né basco napoletano. Queste non sono che destinazioni «linguistiche» provvisorie. Nient’altro che «posizioni» ai piedi della Torre di Babele.
Il destino di un uomo non è né ricco né povero. Né bianco né nero. Né maschio né femmina. Né grande né piccolo.
Il destino di un uomo è l’Uomo che vivrà fino a un attimo dopo la sua morte. Giusto il tempo di assaggiare il frutto delle sue azioni. E in particolare, dice il Poeta, quelle agite «con uno scopo comune».

Solo per un istante l’uomo è destinato a sentire sua la terra dove ha avuto il coraggio di assecondare il proprio destino, invece di orientarsi alla topografia disegnata dal Racconto della sua Tribù «terricola».
Solo in quell’istante saprà se ha parlato per l’Uomo che verrà, per lo «scopo comune» all’Umano, o solo a nome e per conto (e negli interessi particolari) degli Indiani, degli Africani o degli Europei. Solo allora vedrà se la sua azione ha fruttificato davvero una via all’Avvenire dell’Uomo: lo vedrà dal modo in cui egli stesso andrà incontro alla Stella del suo aldilà.
Se ne coglierà il bagliore d’un raggio verde, allora, forse chissà…