Lévi-Strauss – Lo storno, la cincia e due scoiattoli

La disputa del sole e della luna si sviluppa simultaneamente su tre registri.
Il primo, astronomico e concernente il calendario, ha come oggetto la periodicità dei rodriguez-nativa-bambolagiorni, dei mesi e delle stagioni.
Il secondo è sociologico, e si riferisce alla giusta distanza a cui bisogna trovare una sposa: il sole ritiene che le femmine umane siano troppo vicine, in quanto il suo ardore le costringe a contrarre il volto, mentre la luna pensa che si trovino alla distanza giusta; viceversa, essa giudica troppo lontane da lei le femmine rane che sono alla distanza giusta per il sole.

Il terzo registro riguarda l’educazione delle fanciulle, concepita come una vera e propria modellatura psichica e fisica; infatti, l’istruzione morale non basta, occorre anche modellare il loro organismo per renderlo adatto a compiere le funzioni periodiche: mestruazioni, gravidanza, parto. Queste funzioni sono collegate tra loro per il fatto che il sangue mestruale, tenuto in serbo durante la gravidanza, forma il corpo del bambino. Ma, nello stesso tempo, esse sono connesse ai grandi ritmi cosmici: le mestruazioni accompagnano i cambiamenti di luna, la gravidanza dura un numero fisso di lunazioni.

Appartengono allo stesso sistema l’alternanza del giorno e della notte, l’ordine dei mesi e il ritorno delle stagioni. Dato che la diversa capacità delle femmine nel recepire questo ammaestramento morale e fisiologico dipende dalla loro distanza più o meno grande, tutto appare perfettamente collegato.
Visti con un certo distacco, i miti Arapaho assumono l’andamento di una pittoresca Genesi esotica accompagnata da una Histoire d’O ben pensante.

Almeno finora, però, i mitografi non hanno studiato tali miti secondo questa prospettiva. Il ciclo nordamericano del marito-stella, in cui questi miti sono inclusi, è stato sottoposto ad attente ricerche […] e a studi comparati di tutte le varianti conosciute, donde Thompson deduce l’esistenza di un archetipo o forma fondamentale, la quale contiene tutti i motivi che presentano la maggiore frequenza statistica: due ragazze (65%), passano la notte all’aria aperta (85%), e desiderano avere per marito una stella (90%). Durante il sonno, esse sono trasportate in cielo (82%) da due stelle che le sposano (87%): sono un giovane e un vecchio, la cui rispettiva età è in rapporto con lo splendore o la grandezza di ognuno dei due astri (55%). Le donne disobbediscono alla proibizione che viene loro fatta di scavare il suolo (90%) e forano involontariamente la volta celeste (76%). Senza alcun aiuto (52%), esse scendono lungo una corda (88%) e raggiungono il villaggio sane e salve (76%). […]

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Seguendo il ragionamento di Thompson, secondo cui «l’archetipo deve essere esistito per tutta l’estensione, o quasi, dell’attuale area di distribuzione, e che ciò si sarebbe verificato prima della comparsa di sviluppi specifici», si giungerà a isolare un secondo tipo di racconto che, da un punto di vista logico e storico, apparirà derivato dal primo.
Thompson chiama questo tipo II «redazione porcospino», certo per suggerire l’idea che lo studio della tradizione orale è soggetto a una metodologia paragonabile a quella della tradizione scritta. Il nostro mito Arapaho e le sue numerose varianti fanno parte di questa «redazione porcospino» […].

Considerando di nuovo soltanto quei punti [del tipo II] che presentano una maggiore frequenza statistica, si costruisce il seguente racconto: una ragazza (100%) occupata in un certo lavoro (84%) segue un porcospino (95%) in cima a un albero che si alza fino al cielo (95%). Il porcospino si trasforma in luna (45%), in sole (25%) o in stella (15%), personificati da un giovane (30%). La ragazza lo sposa e gli dà un figlio (95%). Nonostante la proibizione di scavare che le viene fatta (80%), essa disobbedisce, e scopre un orifizio nella volta celeste (85%). Da sola (45%), oppure aiutata dal marito (25%), discende lungo una corda fatta di corregge (85%), ma la corda è troppo corta. Il marito scaglia una pietra che dovrà uccidere la donna, e risparmiare il bambino (75%). Il racconto continua con le avventure del figlio nativo-americano-ragazzodella stella o della luna o del sole (90%).
Questo tipo II presenta un’area di distribuzione che è più densa e al tempo stesso molto più ristretta rispetto a quella del tipo I, o forma fondamentale. […]

Le varianti del racconto che provengono dai Crow e dagli Hidatsa (che ancora qualche secolo fa costituivano un’unica popolazione) divergono su un punto. Invece della proibizione (o oltre ad essa) di strappare una certa pianta nel giardino celeste, proibizione fatta alla donna, il figlio di quest’ultima ancora bambino, si vede vietare la caccia a una specie particolare di uccelli, gli storni.
Un giorno, il ragazzo disobbedisce, manca un uccello che lo ingiuria dicendogli che non è altro che uno schiavo. Invitato ripetutamente a spiegarsi, lo storno rivela l’origine umana della madre del cacciatore. Quest’ultimo si sente allora rodere dal desiderio di conoscere la terra e la propria gente, ed è lui che persuade la madre a scappare.
Secondo Thompson, questo episodio secondario non avrebbe altra funzione che quella di attribuire un ruolo al figlio e motivare la fuga della donna.

Benché la forma fondamentale o tipo I esista solo in quindici versioni, Thompson afferma che un tempo essa ha dovuto occupare tutta la sua attuale area di distribuzione. Ne consegue che il tipo II è nato all’interno dell’area del tipo I, di cui occupa solo una parte, che la disputa del sole e della luna si è sviluppata all’interno dell’area del tipo II, e infine che l’episodio dello storno, con l’area più ristretta fra le quattro, si è sviluppato all’interno della precedente.
Considerata dal punto di vista storico e geografico, la relazione tra le quattro forme è rappresentabile con cerchi concentrici: l’episodio dello storno è «dentro» la disputa del sole e della luna; la disputa è «dentro» la redazione porcospino e questa redazione, o tipo II, è «dentro» la forma fondamentale, o tipo I, poiché a quest’ultima viene rivendicato il doppio privilegio di un’età più antica e di una maggiore estensione. Ogni forma, più o meno antica, occuperebbe quindi un’area la cui estensione sarebbe in rapporto con la sua data di apparizione.

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Una volta tratta questa conclusione da un’analisi che vuole essere oggettiva, non resta più niente da dire. Dopo essere stati individuati, localizzati, inventariati e datati, i temi e gli episodi non hanno un senso decifrabile.
La redazione porcospino fornisce un mezzo come un altro per far salire l’eroina fino in cielo. La disputa del sole e della luna permette di introdurre l’episodio del porcospino, che i miti sviluppano talvolta in maniera diversa. La gara di masticazione non arricchisce il racconto. Le ragioni che spiegano l’episodio dello storno sono banali…

Thompson passa poi allo studio di una importante variante, o tipo III, la cui area di diffusione va dall’Alaska nord-orientale fino alle coste della Nuova Scozia passando attraverso il Canada meridionale e la regione a nord dei Grandi Laghi […].
Questo tipo III riproduce la forma fondamentale, eccetto l’episodio finale. Invece di scendere a terra senza incidenti, le due giovani donne fuggite dal mondo celeste vanno a finire in cima a un albero da cui non possono più scendere. Passano sotto l’albero diversi animali; esse li chiamano in aiuto e arrivano a promettere loro di sposarli. Rifiutano tutti uno dopo l’altro, salvo l’ultimo che è un carcajou, o una martora del Canada, o un uccello tuffatore. Appena messi i piedi a terra, le donne scherniscono l’ingenuo salvatore.

Le due tribù algonchine situate all’estremità orientale dell’area di diffusione di questo racconto, i Micmac e i Passamaquoddy, modificano in parte il racconto. Le donne non cincia-testa-neraevadono ma ottengono dal popolo celeste il favore di essere trasportate magicamente, a patto che chiudano gli occhi durante la discesa e che li riaprano soltanto dopo aver successivamente udito il grido della cincia dalla testa nera e quello di due scoiattoli di specie diverse. Le donne disobbediscono e vengono punite: rimangono prigioniere in cima a un albero. […]

Dopo qualche breve indicazione su altre varianti locali, Thompson presenta le sue conclusioni: la forma fondamentale che è anche la più antica, risalirebbe almeno al XVIII secolo. La redazione porcospino non può essere posteriore al 1892, e la nascita del tipo III si situerebbe verso il periodo 1820-1830.
Queste valutazioni non possono non sorprendere, applicate a miti nordamericani che, come abbiamo assodato, trasformano nel modo più regolare miti provenienti dal Sudamerica. Gli uni e gli altri debbono perciò ispirarsi a schemi comuni ai due emisferi e di età databile non in decenni, ma in millenni. […]

Qui vogliamo provare semplicemente che le quattro varianti, dalle quali parte Thompson nella sua pretesa di ricostruire l’evoluzione storica del ciclo del marito-stella, non differiscono come oggetti inerti di cui ci possiamo contentare di riconoscere la diversa estensione nello spazio e nel tempo.
Viceversa, esse mantengono fra loro rapporti dinamici che le mettono reciprocamente in correlazione e in opposizione. Questi rapporti determinano al tempo stesso i caratteri distintivi di ogni variante e permettono di spiegare la loro distribuzione, meglio di quanto possano fare le frequenze statistiche.

Per rendere più convincente la nostra dimostrazione, cominceremo da due episodi ai quali Thompson non attribuisce quasi alcuna funzione, perché li considera come sviluppi tardivi e locali: l’episodio dello storno nel tipo II e quello della cincia e degli scoiattoli nel tipo III.
Si ricorderà che essi provengono da due regioni lontanissime l’una dall’altra: il primo si incontra fra i Crow e gli Hidatsa, che sono Sioux occidentali, il secondo fra i storno-paintPassamaquoddy e i Micmac, che sono algonchini orientali.

I miti Crow e Hidatsa proibiscono formalmente all’eroe di tirare agli storni. Ma questa proibizione ha una sua ragion d’essere, che il seguito del racconto spiega dopo che l’eroe l’ha violata. L’uccello attaccato parla, rivelando al ragazzo la sua origine terrestre. La proibizione di cacciare copre dunque una proibizione acustica che ha lo scopo di impedire a un eroe maschio di udire quello che potrebbe dirgli una sua eventuale preda. Infatti, appena informato, l’eroe vorrà ridiscendere sulla terra.

Nei miti Algonchini, l’episodio della cincia e degli scoiattoli inverte punto per punto quello precedente. Due eroine sostituiscono un eroe. Esse ricevono un ordine il cui scopo dichiarato è quello di permettere loro di raggiungere la terra, e non di impedirglielo. Quest’ordine riveste una forma ben evidente: non aprire gli occhi (come l’eroe Crow-Hidatsa non deve «vedere» gli storni), ma questa forma ne nasconde un’altra: udire (invece di non udire) il grido di certi animali. Infine, questo grido è un segnale, non un messaggio.

Esistono certo alcune indicazioni che suggeriscono che la cincia potrebbe essere anch’essa un uccello apportatore di notizie. Ciò è perlomeno implicito in certi miti dei Fox e dei Kickapoo, ed anche in quelli dei Wabanaki. La medesima credenza esisteva in Europa: «Il suo grido annuncia diverse cose. In estone, la cincia si chiama /tige/ “cattiva”, nome forse in rapporto con la credenza lettone che attribuisce a questo uccello capacità profetiche» (Rolland).
I Cheyenne e i Blackfoot riducono tale funzione a quella di annunciatore dell’estate, perché l’uccello grida /mehnew/; e /nehaniv/ significa in cheyenne «arriva l’estate». Per contro, gli Ojibwa credono che ci sarà una tempesta se la cincia si mangia l’ultima sillaba della sua canzone: gi-ga-be; gi-ga-be; gi-ga-me. […]

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Come regola generale, il ruolo di informatore spetta però allo storno. Il grido dello storno non presenta il carattere di un segnale, ma è un vero e proprio linguaggio: «Numerose sono le parole dello storno che l’Indiano può capire», dicono gli Oglala Dakota. I Crow e gli Arapaho sono ancora più espliciti: «lo storno parla Crow», dicono i primi, e i secondi: «come sapete, gli storni parlano Arapaho».
Benché, a differenza dei Mandan, considerino brutte e perfino oscure le parole dell’uccello, gli Arapaho nutrono i bambini piccoli con la sua carne e con le sue uova «perché imparino presto a parlare e perché sappiano tante cose».

«Presso i Gros-Ventre del Montana, quando un bambino è in ritardo nel parlare e nel capire, viene nutrito con uova di storno rassodate al fuoco… Di un chiacchierone, ancora oggi si dice che la madre deve avergli fatto mangiare queste uova» (Flannery).
I Blackfoot sostengono di capire il canto dello storno. Le stesse credenze esistono a occidente delle Montagne Rocciose, fra gli Yana, i quali dicono che lo storno capisce le lingue straniere, e presso le tribù del Puget Sound, le quali fanno mangiare ai bambini le sue uova perché imparino a parlare bene.

Le qualità linguistiche della cincia si esplicano in un altro campo, come già suggerisce la funzione meteorologica che, secondo ciò che s’è detto, le è attribuita dai Cheyenne e dagli Ojibwa e che è confermata dai Navaho e dai Menomini, i quali includono la cincia fra gli uccelli invernali. A differenza dello storno, uccello migratore, la cincia è in generale grande-spirito-nativisedentaria. Ma possiede una lingua fornita di filamenti, e questi filamenti sarebbero esattamente sei secondo gli Shoshoni, i quali dicono che ogni sei mesi ne cade uno per rispuntare sei mesi dopo, tanto che basta catturare una cincia per sapere in che mese siamo, sia d’inverno che d’estate. Per questa ragione, la cincia non deve essere uccisa.

Nel racconto essa fa parte di una triade che comprende altri due termini: nell’ordine di apparizione, lo scoiattolo rosso e lo scoiattolo striato. Membri l’uno e l’altro della famiglia degli Sciuridi, questi animali appartengono a generi distanti: lo scoiattolo rosso è un roditore arboricolo, quello striato un roditore terricolo.
La serie animale: cincia dalla testa nera, scoiattolo rosso, scoiattolo striato, riproduce quindi le tappe successive della discesa dal cielo alla terra: un uccello, un roditore arboricolo, un roditore terricolo.

I miti si mostrano perfettamente espliciti su questo punto: dopo aver capito che le loro spose umane si struggevano per la terra e per le loro famiglie, le stelle ordinano loro di addormentarsi una accanto all’altra. Quando spunterà il giorno, non dovranno avere troppa fretta ad aprire gli occhi e ad alzare la testa dalle coperte. In ogni caso, non dovranno farlo prima di aver sentito cantare la cincia dalla testa nera, poi lo scoiattolo rosso, e infine lo scoiattolo striato. Allora soltanto esse potranno alzarsi e guardarsi intorno.

La più giovane delle due sorelle fremeva dall’impazienza, e voleva lasciare il giaciglio appena sentì la cincia, ma la maggiore la trattenne. Quando però cantò lo scoiattolo rosso, non ci fu nulla da fare: saltò in piedi e l’altra la imitò. Le due donne si accorsero di essere tornate sulla terra, ma in cima a un alto abete-cicuta dal quale non potevano più scendere senza un aiuto.
«E la ragione era che a ogni canto, prima quello dell’uccello e poi quello dei due scoiattoli, le donne erano scese sempre più in basso verso la terra man mano che il giorno si alzava: ma siccome non avevano saputo aspettare, si erano trovate abbandonate» (Leland).

Ora, anche sotto questo aspetto, lo storno si oppone alla triade animale dei miti orientali. Se ogni termine di questa triade connota una delle tappe della discesa dal cielo fino alla lévi-strauss-paintterra, l’uccello dei miti Crow e Hidatsa le riassume tutte da solo.
Lo storno vive vicino al suolo, dove corre rapidamente cercando il nutrimento. Si posa sugli alberi solo quando è inseguito e a intervalli; ma dorme sulla terra: «Il suo nido si trova ai piedi dei folti ciuffi delle erbe più alte: è una cavità nel suolo, e l’uccello vi sistema in cerchio un ammasso di erba, di radici fibrose e di altri vegetali; tutto intorno, per coprirlo e nasconderlo, intreccia le foglie e gli steli delle erbe circostanti» (Audubon). I miti Dakota fanno menzione di questo nido terrestre «ovale come una capanna».

In quanto uccello, lo storno è un abitante del cielo, ma le sue usanze gli fanno acquistare familiarità con le cose della terra. Esso è dunque in grado di distinguere quello che appartiene al mondo dell’alto e quello che appartiene al mondo del basso.
Non c’è da stupirsi che denunci come impostore il figlio di una femmina umana stabilitasi in cielo. Ma, soprattutto, la sua ambiguità crea un contrasto con la serie ben ordinata dei tre animali nei miti degli Algonchini orientali.

Riassumiamo il discorso sviluppato finora. Alle due estremità dell’area occupata dal mito delle spose degli astri, i Crow e gli Hidatsa da una parte, i Micmac e i Passamaquoddy dall’altra, abbiamo individuato forme che si oppongono in vari modi.
Presso gli Algonchini del nord-est, dove la storia finisce bene, due eroine portate in cielo per poter raggiungere il loro villaggio sane e salve debbono vedere la terra sotto di loro (nonostante la proibizione ricevuta precedentemente) e udire il grido di tre animali che vivono più o meno lontani dal suolo.
Presso i Crow e gli Hidatsa, dove l’eroina è una sola e soccombe, il figlio di quest’ultima avrebbe dovuto non vedere gli storni (che gli viene proibito di cacciare) e non udire la rivelazione della propria origine terrestre (un messaggio, quindi, invece di un segnale di arrivo sulla terra qual è quello costituito, nell’altro gruppo, dal grido dei tre animali).

(Lévi-Strauss, Le origini delle buone maniere a tavola)