Lévi-Strauss – Il sesso della Luna

La moglie di Luna possiede una bella dentatura [e mastica così allegramente quando mangia la trippa] che [a differenza della rana sdentata] è più vicina alla famiglia dello Sposo Celeste, composta di immortali. La credenza che le persone che nascono provviste di denti o i cui denti superiori spuntano prima degli altri, fossero «donne resuscitate» /thawwathinintarihisi/ è sicuramente attestata nel Nordamerica dal momento che la si denti-cieloritrova perfino presso gli Athapaskan settentrionali.

Benché «l’ordine sociale sia apparso contemporaneamente alla danza del sole e benché gli Indiani vivessero prima nel disordine e senza regole» (Hilger), la sposa di Luna proviene comunque da una società, se non proprio civilizzata, almeno tale da far regnare l’armonia già nello stato di natura. Inoltre, come dice il Sole, «il corpo degli esseri umani è simile al nostro».
La sposa umana e la sposa animale [la rana] differiscono dunque nel fisico e nel morale. Tutto predestina la prima alla sua vocazione di sposa e di madre; tutto ne allontana l’altra. Così vediamo la prima accedere senza difficoltà allo stato di cultura, mentre la seconda resta nella pura indistinzione e nel caos.

Non ci può d’altra parte sorprendere il fatto che questa femmina refrattaria all’educazione sia una rana, visto che in lei ritorna il prototipo della ragazza maleducata sotto l’aspetto di una donna folle di miele – ossia schiava della natura – e perché, passando dal Chaco alla Guayana, abbiamo visto questa donna trasformarsi in rana.
Pertanto, la rana sudamericana, trasformazione di una femmina umana maleducata, si oppone in Nordamerica a una femmina umana ben educata. Ma, in entrambi i casi, si svela a poco a poco un vasto sistema mitologico comune alle due Americhe, in cui l’ordine sociale è fondato sulla soggezione delle donne.

Ne comprendiamo ora la ragione. I suoceri della sposa umana non si accontentano di fornirle gli utensili domestici e di insegnarle il modo di usarli opportunamente, ma, come racconta una variante del mito Arapaho, il vecchio procede anche ad una vera e propria modellatura fisiologica della propria nuora. Nella sua innocenza primitiva, costei non aveva le indisposizioni mensili e partoriva in maniera improvvisa e non prevedibile.
Il passaggio dalla natura alla cultura esige che l’organismo femminile diventi periodico, perché l’ordine sociale, così come l’ordine cosmico, sarebbe compromesso da un regime anarchico sotto il regno del quale l’alternanza regolare del giorno e della notte, le fasi lunari, le indisposizioni femminili, la durata fissa della gravidanza e il corso delle stagioni non si sostenessero vicendevolmente.

donne-mestruazioni

Le donne, in quanto esseri periodici, rischiano dunque di minacciare l’ordine dell’universo. La loro insubordinazione sociale, spesso richiamata dai miti, presenta l’immagine anticipata, sotto la forma di «regno delle donne», di un pericolo che sarebbe infinitamente più grave: quello della loro insubordinazione fisiologica.
È quindi necessario che le donne siano sottoposte a regole. E quelle che vengono inculcate dalla loro educazione, come quelle imposte da un ordine sociale voluto e concepito dagli uomini, fosse anche a prezzo del loro asservimento, forniscono la garanzia e il simbolo di altre regole, la cui natura fisiologica dimostra l’intima connessione che unisce i ritmi sociali e quelli cosmici.

In questo senso, lo scarto temporale di quattro giorni fra il primo e l’ultimo quarto di luna riveste la stessa funzione dello scarto spaziale intercorrente tra i passeggeri della piroga, che sono il sole e la luna [rispettivamente a poppa e a prua].
Il primo determina la durata delle regole femminili, campione temporale che si sposta lungo i vari mesi e ne misura la successione. I vecchi informatori Arapaho dicono di aver osservato le epoche in cui la luna cresceva o decresceva, ma non di non aver sentito il bisogno di dare dei nomi ai mesi, come fanno gli altri Indiani. Anch’essa anonima, la successione del giorno e della notte, si misura invece [in Sudamerica] per mezzo di un campione spaziale: la piroga che si sposta lungo un certo tragitto.

L’illusione di una coincidenza teorica fra i mutamenti della luna e le indisposizioni femminili risulta, oltre che dal mito, dalla testimonianza di un informatore: «La data leonor-fini-tessitrice-rossagiusta per la danza del sole era situata fra il settimo e il decimo giorno dopo la luna nuova, dunque dopo il periodo mestruale».
Se non proprio gli Arapaho, diverse tribù delle Pianure includevano nella danza del sole un rito durante il quale le giovani donne sfidavano gli uomini ad accusarle di cattiva condotta. Anche per questa via, appare evidente la connessione tra la moralità femminile e la cerimonia che aveva come scopo di regolare la corsa del sole.

Il fatto che ogni violazione, da parte delle donne, di una stretta periodicità comprometterebbe l’ordine del mondo, e in maniera assai più grave di quanto farebbe una sospensione dell’alternanza del giorno e della notte o il disordine delle stagioni, appare anche dal modo con cui procedono i miti e i riti per fondare un’equivalenza fra i diversi tipi di periodicità del calendario.
Oltre al palo centrale, il chiosco cerimoniale comprende sedici pali disposti in cerchio per sostenere l’impalcatura. Due pali dipinti di nero vengono posti rispettivamente agli angoli nord-orientale e nord-occidentale di un quadrilatero ideale inscritto nel piano circolare, e due pali dipinti di rosso agli angoli sud-orientale e sud-occidentale. Questi quattro pali simboleggiano i Quattro Vegliardi del pantheon Arapaho, signori dei venti, i quali incarnano rispettivamente l’estate, l’inverno, il giorno e la notte.

Il pensiero indigeno concepisce dunque un’analogia fra i due tipi di alternanza, una «solstiziale» [estate e inverno] e una «equinoziale» [giorno e notte]. Un unico dispositivo garantisce dunque la successione regolare del giorno e della notte, come pure quella dei miti e delle stagioni:

SUD NORD
ESTATE INVERNO
SOLE LUNA
GIORNO NOTTE

Nel mito Arapaho, Sole e Luna sono entrambi di sesso maschile. Mooney però accenna ad altre tradizioni Arapaho in cui la luna e il sole sarebbero rispettivamente fratello e sorella. Altre volte sono addirittura coniugi.
I riti della danza del sole confermano questa instabilità del sesso e della parentela degli astri. Così, il coito cerimoniale del «nonno» o «concessore» della festa con la moglie del «nipote» si presta a tre interpretazioni.

luna-sangue-rosso

Quando si spoglia e si sdraia sul dorso, la donna si offre simbolicamente alla luna che brilla al di sopra di lei. L’astro è dunque qui un personaggio maschile.
Ma lo stesso coito avviene tra il «nonno» che rappresenta il sole, e la donna, che è allora la luna [al femminile].
Infine, si dice pure che, quando il pezzo di radice viene trasferito in modo emblematico dalla bocca del nonno a quella della donna, poi a quella del marito, il vero e proprio coito unisce il nonno e il nipote: in tal caso è quest’ultimo a personificare la luna:

MASCHIO FEMMINA MASCHIO
LUNA sposa umana figlio
SOLE (nonno) LUNA umana marito umano
SOLE (nonno) coppia umana LUNA nipote

in altre parole, e con la riserva del cambiamento di sesso, la luna è commutabile nelle tre posizioni che costituiscono l’aspetto invariante del sistema.
Se si aggiunge che il sole può essere anche sorella di luna maschio, e la luna femmina sposa del sole maschio; che talvolta i miti chiamano «sole» il padre della luna; e infine che la vecchia che raccoglie il figlio di Luna dopo la morte della madre è essa stessa signora della notte, talvolta identificata con la luna, si ammetterà che i miti e i riti non luna-surreal-redattribuiscono valenze semantiche agli esseri e alle cose in assoluto, ma che il significato di ogni termine risulta dalla posizione che esso occupa in sistemi che si trasformano, perché corrispondono ad altrettanti tagli sincronici praticati in un discorso mitico che va dispiegandosi.

Certo, l’ambiguità caratteristica della luna – marito celeste di una sposa umana secondo il mito, sposa terrestre del sole secondo il rito, e inoltre ispiratrice di azioni malvagie – si spiega pensando alla sua natura ermafrodita, di cui abbiamo stabilito la necessità da un punto di vista formale.
Di questa natura i miti Arapaho rendono conto anche in termini concreti. Luna è dapprima un uomo che litiga con la cognata, la rana. Quest’ultima, per la rabbia, si getta su di lui e aderisce al suo corpo conferendogli così una duplice natura: quella che gli era propria, più le macchie dell’astro; queste ultime sono la rana con il secchio, ma simboleggiano il flusso mestruale.
La rana presenta da parte sua l’aspetto di una donna incinta. Di conseguenza, per il fatto stesso di tenersi addosso la rana, la luna maschio acquista sembianze femminili.

(Lévi-Strauss, Le origini delle buone maniere a tavola)

***

So come andrà a finire. Lo so per certo che andrà a finire che dovremo richiamare in vita un vecchio Saggio Arapaho per farci rispiegare che non dipende dai genitali se uno è maschio o femmina. E che dipende unicamente dalla posizione che ciascun essere – umano, animale e perfino astrale – si trova ad occupare provvisoriamente nello Spazio narrativo del Sistema, ovvero nel Discorso della sua Tribù linguistica.
La «lettera», l’essere in questo nostro caso maschio e/o femmina, si sposta continuamente da una posizione all’altra: il suo «mittente» (e dunque il suo reale «destinatario») in una donna-arancioTribù la cui «civiltà» è stata tutta concepita e realizzata al maschile, a prescindere se egli è Luna o Sole, è sempre Maschio. E la mediazione tra «mittente» e «destinatario» è necessariamente Femmina, quali che siano i suoi genitali. La «posta in giacenza», ovvero la «lettera in cammino» (per terra o per mare, a piedi o in bordo a una piroga), è la Regina del Gioco. La Domina degli Scacchi. La Donna «assoggettata» al Re-sole del Racconto. Colei che per lui suona la chitarra.

Altro che «identità sessuale», «identità di genere», o non so quale altra stupidaggine!
Il vecchio Saggio potrebbe insegnarci, daccapo, che la Società – qualunque società umana, niente sconti a nessuna! – si fonda sull’assoggettamento della Donna, sul divenire cioè «soggetto di tabù» del corpo di Colei che è la Domina, la Signora della Vita. Ecco perché, quanto più la Società si regge su questa Dominazione asservita moralmente agli usi e ai costumi del Maschio, tanto più dipende dalla puntualità delle «regole» mestruali. Cioè, dalla «carnalità» di un corpo, quello coi genitali femminili, ridotto a tenere in piedi unicamente la relazione omosessuale che il Mittente, il Nonno, il Passato, tramite la mediazione femminile, intrattiene col Nipote, il suo Destinatario a venire.