Lewis Carroll – La Casa dello Specchio

«Ora, se stai attento, Frufrù, e non parli tanto, ti dirò tutta la mia idea intorno alla Casa dello Specchio.
Prima di tutto, v’è la stanza che si vede attraverso lo Specchio: è precisa come il salotto dove stiamo; però tutte le cose son messe alla rovescia. Salendo su una sedia la vedo alice-caminettotutta… tutta tranne la parte dietro il caminetto. Quanto mi piacerebbe veder quella parte! Chi sa se nell’inverno c’è il fuoco: se il nostro focolare non fa fumo, non s’indovina mai; ma se c’è fumo di qua, c’è fumo anche di là. Ma chi sa, può essere una finzione, per dare a credere che ci sia il fuoco anche di là. I libri, poi, somigliano ai nostri libri; ma le parole sono stampate a rovescio. Questo lo so; perché ho tenuto un libro contro lo specchio, e nell’altra stanza ne hanno pigliato un altro.

Ti piacerebbe stare nella Casa dello Specchio, Frufrù? Chi sa, se ti darebbero il latte là dentro? Forse il latte della Casa dello Specchio non è buono da bere… E ora, Frufrù, arriviamo al corridoio. Se si lascia aperta la porta del nostro salotto si vede un pezzettino del corridoio della Casa dello Specchio: somiglia molto al corridoio nostro, ma chi sa se più in là non è diverso.
Oh, Frufrù, che bellezza se potessimo entrare nella Casa dello Specchio! Sono certa che ci sono tante belle cose. Fingiamo di poterci entrare, Frufrù, fingiamo che lo specchio sia morbido come un velo, e che si possa attraversare.
To’, adesso sta diventando come una specie di nebbia… Entrarci è la cosa più facile del mondo».

Alice stava sulla mensola del caminetto mentre parlava così al micio, sebbene non sapesse spiegarsi come fosse arrivata lassù. E certo il cristallo cominciava a svanire, come una nebbia lucente.
L’istante dopo Alice attraversava lo specchio e saltava agilmente nella stanza di dietro. La prima cosa che fece fu di guardare se ci fosse il fuoco nel caminetto, e fu tanto contenta di vedere che ce n’era uno vero, pieno di fiamme vive, come quello che aveva lasciato nel salotto.
«Così, qui starò calda come nell’altra stanza – pensò Alice, – più calda, veramente, perché qui non ci sarà nessuno che mi farà allontanare dal caminetto. Che bellezza, quando mi vedranno attraverso lo specchio e non potranno toccarmi!».

alice-pink

Poi cominciò a guardare intorno intorno, e si accorse che ciò che poteva essere veduto dalla vecchia stanza era comune e poco interessante, ma che tutto il resto era assolutamente diverso. Per esempio, i ritratti appesi al muro sembravano tutti vivi e lo stesso orologio sul caminetto (come comprendete, nello specchio si vedeva solo la parte di dietro) aveva la faccia di un vecchietto e sogghignava.
«Questa stanza non è tenuta pulita come l’altra», diceva Alice a se stessa, vedendo alcuni pezzi della scacchiera fra la cenere del focolare; ma un istante dopo con un piccolo “oh” di sorpresa s’inginocchiò per guardarli. Innanzi ai suoi occhi i pezzi della scacchiera sfilavano per due.
«Ecco il Re Rosso e la Regina Rossa, – disse Alice (sottovoce, per tema di spaventarli) – ed ecco il Re Bianco e la Regina Bianca che si seggono sull’orlo della paletta; ed ecco i due Castelli che camminano a braccetto… Non credo che possano sentirmi, – essa continuò, chinando un po’ di più la testa; – e son sicura che neanche possono vedermi. Mi par quasi di diventare invisibile…».

Allora qualche cosa cominciò a squittire sul tavolo dietro Alice, e le fece volger la testa appena in tempo per vedere una delle Pedine Bianche rotolare e cominciare a dar calci: ella la guardò con molta curiosità per vedere il seguito.
«È la voce di mia figlia! – gridò la Regina Bianca, passando accanto al Re e urtandolo con tanta violenza che lo fece stramazzare fra la cenere. – Mia preziosissima Lilla!… Mio scacchi-surrealregale tesoro», e cominciò ad arrampicarsi selvaggiamente sull’alare.
«Tua regale sventataccia!», disse il Re sfregandosi il naso che aveva battuto cadendo. Egli aveva diritto di essere un po’ irritato con la Regina, perché era coperto di cenere dalla testa ai piedi.

Alice era ansiosissima di rendersi utile. La povera Lilla intanto smaniava e strillava disperatamente; ed allora ella raccolse in fretta la Regina e la mise sul tavolo accanto alla sua rumorosa figlioletta.
La Regina si sedette ansando: il rapido viaggio per l’aria le aveva tolto il respiro, e per un minuto o due non poté far altro che abbracciare silenziosamente la piccola Lilla. Ripreso fiato, gridò al Re Bianco che sedeva imbronciato nella cenere: «Bada al vulcano!».
«Che vulcano?», disse il Re, guardando ansiosamente nel fuoco, come se credesse più che probabile scoprirne uno.
«M’ha soffiato! – balbettò la Regina, che non respirava ancora bene. – Bada di tornare qui… in modo regolare… non farti soffiare!».

Alice osservava il Re, mentre egli si sforzava pianamente d’arrampicarsi d’asse in asse, e finalmente gli disse: «A quella velocità ci metterai un secolo ad arrivare al tavolo. Sarà meglio che io ti aiuti, non è vero?».
Ma il Re parve non accorgersi di quelle parole: era assolutamente evidente ch’egli non poteva né udirla né vederla.
Così Alice lo prese molto cortesemente, e lo sollevò più adagio della Regina, in modo da non togliergli il respiro; ma prima di metterlo sul tavolo, pensò bene, vedendolo con tanta cenere addosso, di spolverarlo un poco.
Essa narrò dopo di non aver mai visto in tutta la sua vita una faccia come quella fatta dal Re, nel momento ch’egli si trovò in aria tenuto da una mano invisibile e diligentemente spolverato: ne parve così stupito che non fiatò, ma gli occhi e la bocca andarono man mano diventando più grandi e più rotondi, finché la mano di lei lo scosse fra tante risate che ci mancò poco non lo lasciasse ricadere sul pavimento.

«Oh! non far quelle smorfie, caro! – esclamò a un tratto dimenticando che il Re non poteva udirla. – Mi fai ridere tanto che appena posso tenerti! E non spalancar tanto la alice-specchiobocca! Si riempirà di cenere… Ecco, mi pare che ora sei abbastanza pulito!», ella aggiunse, lisciandogli i capelli e mettendolo sul tavolo accanto alla Regina.
A un tratto il Re stramazzò supino, e rimase perfettamente calmo; e Alice ebbe un po’ paura per ciò che aveva fatto, e girò un po’ per la stanza per trovare un po’ d’acqua e gettargliela in faccia. Ma non poté trovare che una boccetta d’inchiostro, e quando ritornò con la boccetta, vide che il Re s’era riavuto e che parlava con la Regina in un timido bisbiglio… così basso, che Alice poté con difficoltà udire ciò che si dicevano.

Il Re diceva: «Ti assicuro, mia cara, che ero diventato freddo fino alla punta dei baffi».
E la Regina rispondeva: «Tu non hai baffi».
«La paura di quell’istante, – continuò il Re, – non la dimenticherò mai».
«La dimenticherai, – disse la Regina, – se tu non l’annoti nel taccuino».
Alice osservò con grande curiosità che il Re traeva di tasca un taccuino enorme, e cominciava a scrivere. Improvvisamente le saltò in mente una idea, e afferrò l’estremità della matita che sorpassava la spalla del Re e cominciò a scrivere per lui.

Il povero Re apparve imbarazzato e dolente, e lottò per qualche tempo con la matita senza dir nulla; ma Alice era più forte di lui.
Finalmente egli balbettò: «Cara mia, debbo procurarmi una matita più sottile. Questa non la so adoperare. Scrive cose che io non capisco».
«Che cosa? – disse la Regina guardando nel libro (in cui Alice aveva scritto: “Il Cavaliere Bianco scivola dall’alare. Egli non sa stare in equilibrio”) – Questa non è un’annotazione che ti riguarda».

C’era un libro sul tavolo accanto, e Alice, mentre se ne stava seduta a guardare il Re Bianco (perché ancora si sentiva un po’ in ansia per lui e aveva l’inchiostro pronto per gettarglielo sul viso, in caso dovesse svenire di nuovo) si mise a voltare le pagine per trovar qualche parte che potesse leggere, «perché è stampato tutto in una lingua che io non conosco», diceva fra sé.
Era scritto così:

irrat ilgil i e eccoc a are’S
,ottehcsip len navallertrig
irranicnec i icsol ittut
.ottets egnol navaigguffus

Essa guardò impacciata per qualche tempo; ma finalmente le venne un lampo di luce: contro uno specchio, le parole si raddrizzeranno.
Questa era la poesia che Alice lesse:

S’era a cocce e i ligli tarri
girtrellavan nel pischetto,
tutti losci i cencinarri
suffuggiavan longe stetto.
“Figlio attento al Giabervocco:
ha gli artigli ed ha le zanne,
ed attento, attento aI Tocco,
e disprezza il frumio Stranne!”
Egli prese in man la spada —
da gran tempo la cercava —
e sull’albero di nada
in pensiero riposava.
Mentre stava sì in pensiero
ecco il Giabervocco appare
per il bosco artugio e fiero
tutte alunche fiamme pare.
Uno e due! Ecco che fa
l’itra spada zacche, zacche.
L’erpa testa ei lascia, e va
galonfando pel pirracche.
“Hai ucciso il Giabervocco!
Vieni, figlio, che t’abbracci,
vieni, figlio, al bardelocco
dei dì lieti di limacci!”
S’era a cocce e i ligli tarri
girtrellavan nel pischetto,
tutti losci i cencinarri
suffuggiavan longe stetto.

«Sembra bella, – essa disse, quando l’ebbe finita, – ma è piuttosto difficile a capire! (Come vedete, non confessava neanche a se stessa che non poteva comprenderla.) Però mi pare regina-scacchi-surrealche mi riempia la testa d’idee… Soltanto non so di che si tratti. Certo qualcuno uccise qualche cosa: comunque sia questo è chiarissimo…».
«Ma, ohi! – pensò Alice, levandosi immediatamente, – se non faccio in fretta, dovrò ritornare oltre lo specchio, prima d’aver visitato il resto della casa. Vado prima a dare un’occhiata al giardino».

In un istante era fuori della stanza e correva giù per le scale… Veramente correre non è la parola esatta. La sua era una nuova invenzione per far le scale rapidamente e facilmente, come diceva Alice a se stessa.
Essa poggiava la punta delle dita sulla ringhiera, e andava leggermente giù senza neanche toccare i gradini coi piedi; poi volò giù per l’atrio, e sarebbe andata dritta alla porta nello stesso modo, se non si fosse afferrata al pilastro. Sentiva un po’ di vertigine passando così per aria e fu lieta quando si accorse che camminava di nuovo nel modo solito.

(Lewis Carroll, Attraverso lo specchio)