Misuriamo il Tempo con il tempo – e misuriamo la Parola con le parole, e la Pazzia con le pazzie: siamo animali «doppiatori» della propria animalità.
Come la farfalla dal bruco, così la nostra umanità nasce «una seconda volta» da un cucciolo che non miagola, che non ruggisce, che non bela tutta la vita, ma che dal proprio balbettio estrae addirittura la Logica di un logos.
Ma per quale via «linguistica», questo è il problema: per quale via il cucciolo passa prima di giungere sulla soglia della Parola Simbolica? Qual è insomma il suo travaglio, quali le doglie di questa partorizione dal cucciolo di un uomo?
La metrica, la misura, la scansione… del Tempo con le sue Stagioni – è da qui, dice Mastro Aristotele, che il cucciolo s’incammina verso la nuova Lingua. Il suo primo passo in direzione del linguaggio umano, dice, lo fa prendendo al laccio il sole, la luna e le stelle. Lo dice in greco, e non in un qualche dialetto pellerossa – e forse per questo ci rimane difficile comprenderlo: perché è troppo vicino a noi, troppo «europeo» per tirarci fuori dalle angustie e dalle strettoie della nostra parola «occidentale».
È necessario, consiglia il Saggio, che ciascuno di noi «catturi» in una lingua trascendentale la Stella del suo destino, per non perdere la bussola mentre naviga su e giù per questo Ramo Occidentale del Racconto. Ma tant’è…
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Numero minimo in senso assoluto è la diade; ma, in senso relativo, in relazione cioè a un oggetto, un numero in un senso è minimo, ma in un altro non lo è. Ad esempio: il minimo di una linea per quantità sono l’1 e il 2, ma questi due numeri non sono il minimo per grandezza, perché ogni linea si divide sempre [sicché ½ è minore di 1].
Allo stesso modo si deve considerare anche il tempo: il minimo per numero sono l’1 e il 2, ma per grandezza no. Il che è evidente anche per il fatto che del tempo non si dice che è veloce o lento, ma molto o poco, lungo o breve. Difatti, in quanto il tempo è continuo, è molto o poco. Ma veloce e lento esso non è, perché non vi è nessun numero veloce o lento col quale numeriamo.
E il tempo è lo stesso, simultaneamente, in ogni luogo; ma come anteriore e posteriore non è più lo stesso, perché anche il mutamento in quanto presente è uno, ma in quanto passato e futuro è diverso.
Il tempo, poi, è sì un numero, ma non un numero mediante cui noi numeriamo, ma che è esso stesso numerato [che si numera, fa conto solo su se stesso]; ed esso, come anteriore e posteriore, è per accidente sempre diverso, perché gli istanti sono diversi.
Il numero, invece, è uno e medesimo, sia quello di cento cavalli sia quello di cento uomini; ma le cose di cui esso è numero, sono diverse: i cavalli sono diversi dagli uomini.
Ora c’è che, come è possibile che un movimento sia uno e medesimo mediante ripetizioni periodiche, così avviene anche per il Tempo, come si può vedere nel ripetersi dell’anno o della primavera o dell’autunno.
D’altronde, noi non solo misuriamo il movimento col tempo, ma misuriamo anche il tempo col movimento – e ciò grazie alla loro reciproca determinazione; il tempo, infatti, determina [permette alla nostra mente di determinare] il movimento, essendo il suo numero [1], e il movimento [2] a sua volta determina il tempo.
È misurandolo col movimento che noi diciamo del tempo che è molto o poco, come anche misuriamo il numero [l’innumerabile 1] col numerabile [2]: ad esempio, con [la determinazione di] un solo cavallo il numero dei cavalli.
Col numero, infatti, noi conosciamo la moltitudine dei cavalli e, per converso, con un solo cavallo il numero stesso dei cavalli. Similmente, anche riguardo al tempo e al movimento: col tempo misuriamo il movimento e col movimento il tempo.
E ciò è conforme a ragione: infatti il movimento si adegua alla grandezza [il Tempo] e il tempo si adegua al movimento, per il fatto che sono entrambi cose quantitativamente determinate e continue e divisibili. Pertanto, poiché tale è l’essenza della grandezza [Tempo: ossia quella di muoversi e mutare], il movimento patisce le sue variazioni; e di riflesso le subisce anche il tempo a causa del movimento. E noi, eccoci, a misurare la grandezza col movimento e il movimento con la grandezza.
Molta, diciamo infatti, è la strada, se molto è il cammino; e diciamo che molto è il cammino, se molta è la strada. E così pure diciamo tale il tempo se tale è il movimento, e tale il movimento se tale è il tempo.
Poiché il tempo è misura del movimento e del suo attuarsi, e poiché esso misura il movimento determinando un certo movimento che misurerà l’intero (come, ad esempio, il cubito misura la lunghezza determinando una grandezza che, poi, a sua volta misurerà l’intero), e poiché anche per il movimento il suo «essere nel tempo» significa «essere misurato col tempo», sia per quel che riguarda l’essenza del movimento, sia per quel che riguarda la sua esistenza (infatti, il tempo misura insieme il «movimento in sé» e l’esistenza del movimento, e per il movimento stesso l’«essere in un tempo» consiste nel fatto che il tempo ne misura l’esistenza) – dato, insomma, tutto questo, risulta chiaro che anche per le altre cose l’«essere nel tempo» vuol dire appunto che la loro esistenza è misurata dal tempo.
(Aristotele, Fisica, IV, 12, 220a-221a)
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Il Tempo è uno (1): a differenza della linea dell’esempio o di qualunque altro oggetto, la cui quantità può essere più di 1 (due linee, due cose, ecc.), il Tempo è uno solo, lo Stesso in ogni luogo. Il Tempo può essere soltanto «frazionato»: è la Diade in senso assoluto. Per quante frazioni produrremo, avremo sempre un Tempo diviso per anni, mesi e giorni. Non ne possiamo prendere al laccio un altro che non sia l’Unico Sole del nostro universo. L’unico astro che ci illumina la mente, e ci introduce nella metrica del linguaggio umano.
Il Tempo è un solo Fiume che scorre, e sempre nella stessa direzione – da monte a valle. L’altro fiume, l’equivalente che risale la corrente (quello che potrebbe fungere da «seconda linea»), non c’è. Il suo Numero è sempre Uno. Il numero che indica la sua Quantità è irrevocabilmente 1.
Il Tempo è lo Stesso – continuo indifferenziato indeterminato senza inizio né fine. E tuttavia, nello stesso tempo, esso non è mai lo Stesso, ma sempre cangiante, mutevole, variante. Perciò, il Tempo è la Diade: insieme lo Stesso (1) e l’Altro (2).
Il Tempo è l’Immobile Movente dell’essere – il Paralitico Veggente che, nei suoi propri movimenti e mutamenti, «vede» una ripetizione, percepisce un «ritorno periodico» su Se Stesso, giungendo così a scrivere quell’anagramma alterato dello Stesso che è la Diade Assoluta (1, 2), dove 1 è sempre 1 – il Tempo «presente», quello nelle cui onde al presente tutto scorre – e tuttavia ogni volta si presenta che è diverso (2), altro dal passato e dal futuro. Il Tempo non è il numero col quale numeriamo tutto il resto: è piuttosto il Numerato Primo – è l’1 numerato dal 2 della Diade, numerato cioè dalla sua stessa ripetizione nel differente. La sua Diade (prima) differisce da tutte le altre (che gli sono seconde): il Tempo è la Differenza, la sola, l’Unica, in cui è possibile che «ritorni» sempre e solo lo Stesso – sempre lo stesso insondabile Enigma: l’Uno che divenne Due.
Lo divenne realmente? – questa è la domanda: o lo divenne linguisticamente, e quindi tale che potesse «realizzarsi» solo in un mondo aperto da una metrica linguistica? In virtù solo di un suo «doppiaggio», di una sua minima «numerazione»?
Mastro Aristotele sa che molta è la strada che abbiamo da fare, perché lungo è il cammino per il quale il Numero ci ha incamminati, lungo questo tratto di Fiume che è il Ramo del Dire Occidentale.
Sì, proprio così: del «dire». Hai notato quante volte il Maestro esplicitamente attinge a ciò che del tempo si dice o non si dice? di esso si dice che è veloce o lento…, noi diciamo del tempo che è molto o poco…, diciamo che molta è la strada…, e diciamo tale il tempo se tale è il movimento, e tale il movimento se tale è il tempo.
Il Tempo è nel «dire» dell’Uomo – e perciò per molti «detti» bisogna che ogni cucciolo si avventuri, se vuole giungere fino a «dire» la Stella della sua differenza, del suo tempo, e soprattutto dei suoi «ritornelli».
È necessario che egli «prenda al laccio» l’esistenza che gli è possibile nel Dire Umano. Non gli manca, certo, l’«essere». Ma bisogna che, lui, questo suo «essere» lo scommetta sulla parola, per diventare «uomo». Bisogna che se lo giochi – perché una è la Pazziella, anche se vi sono infinite pazzie «umane».
La Pazzia è mettersi a giocare a questo folle Girotondo (il tempo è misura del movimento e il movimento misura del tempo), da cui più non si esce – Girotondo tanto più folle se si pensa che il Tempo è l’Unico Determinato che, essendo senza inizio né fine, non restituirà mai un Intero, mai un Tutto senza omissioni né mancanze, mai neanche una Molteplicità, ma sempre e solo del molteplice.
La Pazzia è misurarsi sull’incommensurabile – è rimettere, cioè, il proprio destino (e la sua Stella) a questo nuovo «modo d’essere», a questo «essere nel tempo» che si misura con se stesso e che non è più lo scorrere nell’oblio del nostro Passato Animale.
La Pazzia è questo prestarsi a «essere misurato col tempo» così come il «dire umano» se lo scandisce nelle sue rappresentazioni. Solo nel «dire» che è il linguaggio proprio dell’uomo il Tempo Reale (1) si doppia, grazie a un gioco di prestigio (la Diade Assoluta), in quest’altro Tempo che è quello del nostro «verbo» (2).
Solo nel nostro «dire»… infatti, il tempo misura insieme il «movimento in sé» e l’esistenza del movimento, e per il movimento stesso l’«essere in un tempo» consiste nel fatto che il tempo ne misura l’esistenza.
Che dire? Di un tale imbroglio solo il più patafisico dei Sapienti, il dottor Faustroll, saprebbe calcolare la Superficie. Vasta, quanto è vasto il Pascolo del Racconto Umano.