Lacan – La polizia ha cercato dappertutto

… la polizia ha cercato dappertutto, il che era da intendere: riguardo al campo in cui la polizia presumeva, non senza ragione, dovesse trovarsi la lettera, nel senso di un esaurimento dello spazio, teorico certo, prendere il quale alla lettera è il succo della storia, dato che la quadrettatura che regola l’operazione ci è data come tanto esatta da Arroyo-perquisizionenon permettere, com’è detto, che all’esplorazione meticolosa dei perquisitori «sfuggisse una sola frazione di millimetro».
Non siamo allora in diritto di chiederci com’è che la lettera non è stata trovata da nessuna parte, o piuttosto di osservare che tutto quel che ci si dice di una più alta concezione dell’occultamento non ci spiega a stretto rigore che la lettera sia sfuggita alle ricerche, dato che il campo che esse hanno esaurito la conteneva di fatto, come da ultimo la scoperta di Dupin ha provato?

Occorre che la lettera, in mezzo a tutti gli altri oggetti, sia stata dotata della proprietà della nullibilità: per servirci di quel termine che il vocabolario ben noto sotto il titolo di Riget riprende dall’utopia semiologica del vescovo Wilkins – quella stessa di cui Jorge Louis Borges, nella sua opera così armonica col phylum del nostro discorso, fa giustizia in un modo che altri riconducono alle sue giuste proporzioni.

È evidente (a little too self evident) che la lettera ha di fatto con il luogo rapporti tali per cui nessuna parola francese ha tutta la portata del qualificativo inglese: odd. Bizzarro, come Baudelaire regolarmente lo traduce, non è che approssimativo. Diciamo che questi rapporti sono singolari, perché sono gli stessi che il significante intrattiene con il luogo.

Voi sapete che il nostro disegno non è di farne dei rapporti «sottili», che il nostro proposito non è di confondere la lettera con lo spirito, anche quando la riceviamo pneumaticamente, e che ammettiamo molto bene che l’una uccide se l’altro vivifica, nella misura in cui il significante, forse cominciate a intenderlo, materializza l’istanza della morte.
Ma se inizialmente è sulla materialità del significante che abbiamo insistito, questa materialità è singolare in più di un punto, il primo dei quali è di non supportare né sopportare punto la partizione.
Fate una lettera a pezzettini, resta la lettera che è, e in tutt’altro senso da ciò di cui il gestaltismo può render conto con il larvato vitalismo della sua nozione di tutto.

love-letter

Il linguaggio pronuncia la sua sentenza per chi sa intenderla: con l’uso della preposizione articolata impiegata come particella partitiva. È proprio e anche qui che lo spirito, se lo spirito è la vivente significazione, appare, non meno singolarmente, offerto alla quantificazione più della lettera. A cominciare dalla significazione stessa che soffre che si dica: questo discorso pieno di significazione, allo stesso modo che si riconosce dell‘intenzione in un atto, che si deplora che di amore non ce ne sia più, che si accumula dell‘odio e che si prodiga della devozione e che un tale eccesso di infatuazione si concilia col fatto che ci sarà sempre della coscia da vendere e del rififi tra gli uomini.

Ma per la lettera, che la si prenda nel senso dell’elemento tipografico, dell’epistola o di quel che costituisce il letterato, si dirà sempre che ciò che si dice è da intendere alla lettera, che dall’ufficiale postale vi aspetta una lettera, o che avete delle lettere – e mai da nessuna parte che c’è della lettera, quale che sia il titolo per cui vi concerne, fosse pure per indicare della posta in ritardo.

Il fatto è che il significante è unità [non ammette partizioni] per il fatto di essere unico, non essendo per sua natura simbolo che di una assenza.
Ed è così che della lettera rubata non si può dire che bisogna che, al pari degli altri Grosz-pilastri-socialioggetti, sia o non sia da qualche parte, ma piuttosto che, a differenza di quelli, sarà e non sarà là dove è, dovunque vada.

Guardiamo infatti più da vicino quel che avviene ai poliziotti. Non ci viene risparmiato niente dei procedimenti con cui perquisiscono lo spazio votato alla loro investigazione, dalla ripartizione di tale spazio in volumi che non lasciano che sfugga uno spessore, all’ago che sonda nel mobile, e, in difetto della ripercussione che sonda nel duro, al microscopio che denuncia gli escrementi del succhiello all’uscita dal suo foro, fino all’infimo sbadiglio di meschini abissi.
Man mano anzi che la rete si chiude fino ad arrivare, non contenti di scuotere le pagine dei libri, addirittura a contarle, non vediamo lo spazio sfogliarsi a somiglianza della lettera?

Ma i ricercatori hanno una nozione del reale talmente immutabile che non notano che la loro ricerca va trasformandolo nel suo oggetto. Tratto da cui forse potrebbero distinguere quest’oggetto da tutti gli altri.
Senza dubbio sarebbe domandar loro troppo, non in ragione della loro mancanza di vedute, ma piuttosto della nostra. Giacché la loro imbecillità non è di specie individuale, né corporativa: è di fonte soggettiva. È l’imbecillità realista che non si ferma a dirsi che non c’è niente, per quanto lungi una mano lo possa sprofondare nelle viscere del mondo, che vi sarà mai nascosto, perché un’altra mano ve lo può raggiungere, e che ciò che è nascosto altro non è mai che ciò che manca al suo posto, come si esprime la scheda di ricerca di un volume quando è smarrito nella biblioteca.

Ed infatti, in tal caso, esso si sarebbe nascosto proprio sul ripiano o nello scomparto lì di lato, per quanto visibile vi potesse apparire. Il fatto è che non si può dire, alla lettera, che esso manchi al suo posto, se non in forza di ciò che può apportare un cambiamento, cioè del simbolico.
Giacché per il reale, qualsiasi sconvolgimento vi si possa apportare, il libro c’è sempre, e in ogni caso al suo posto, lo porta incollato alle proprie suole, senza conoscere nulla che lo possa esiliare.

surreal-biblioteca

E infatti, per tornare ai nostri poliziotti, come avrebbero potuto cogliere la lettera coloro che pure l’hanno presa nel posto in cui era nascosta? In quello che si facevano girare tra le dita, che altro tenevano se non ciò che non rispondeva alla segnalazione che ne avevano?
A letter, a litter, una lettera, una lordura. Si è equivocato nel cenacolo di Joyce sull’omofonia di queste due parole in inglese. Quella sorta di rifiuto che i poliziotti in questo momento manipolano, non rivela loro di più la sua altra natura per il fatto di essere strappata solo a metà. Una sigla diversa su un sigillo di un altro colore, un’altra impronta nella grafia dell’indirizzo sono qui i nascondigli più infrangibili. E se si fermano al rovescio della lettera dove, come si sa, all’epoca si scriveva l’indirizzo del destinatario, è perché per loro la lettera non ha altra faccia che questo rovescio.

Infatti, che cosa potrebbero scoprire dal suo diritto? – Il suo messaggio, come ci si esprime per la gioia delle nostre domeniche cibernetiche?…
Ma non ci viene in mente che questo messaggio è già pervenuto alla sua destinataria, e che esso anzi le è rimasto lì con il pezzo di carta insignificante, che ora lo rappresenta non meno bene del biglietto originale?
Se si potesse dire che una lettera ha compiuto il suo destino dopo aver adempiuto alla sua funzione, la cerimonia della restituzione delle lettere sarebbe meno ammessa a servire da chiusura quando si spengono le luci delle feste dell’amore.

Il significante non è funzionale. Così pure la mobilitazione del bel mondo di cui stiamo seguendo le avventure, non avrebbe senso se la lettera, quanto a essa, si contentasse di McGuan-stregoneriaaverne uno. Giacché per mantenerlo segreto il modo più adeguato non sarebbe quello di metterne a parte una squadra di polli.
Si potrebbe anche ammettere che la lettera abbia per la Regina tutt’altro senso, se non più scottante, di quello che essa offre all’intelligenza del ministro. L’andamento delle cose non ne sarebbe sensibilmente modificato, neppure se fosse strettamente incomprensibile per ogni lettore non avvertito.

Giacché certamente esso non lo è per tutti, perché, come assicura enfaticamente il Capo della Polizia perché tutti siano beffati, «questo documento, rivelato ad un terzo personaggio di cui tacerà il nome – (nome che salta all’occhio come la coda del porco tra i denti del padre Ubu) – metterebbe in questione, ci dice, l’onore di una persona del più alto rango», o che «la sicurezza dell’augusta persona sarebbe in tal modo messa in pericolo».

Quindi, non è solo il senso ma il testo del messaggio che è pericoloso mettere in circolazione, e questo tanto più quanto più sembrasse anodino, giacché sarebbero accresciuti i rischi dell’indiscrezione che uno dei suoi depositari potrebbe commettere a sua insaputa.
Nulla dunque può salvare la posizione della polizia, e non si cambierebbe niente migliorando la «sua cultura». Scripta manent, invano essa apprenderebbe da un umanesimo – edizione di lusso, la lezione proverbiale terminata da verba volant.

Volesse il cielo che gli scritti restassero, come è invece il caso delle parole: giacché il debito incancellabile di queste ultime feconda almeno i nostri atti con i suoi transfert.
Gli scritti gettano al vento le tratte in bianco di una cavalletta folle. E, se non fossero fogli volanti, non ci sarebbero lettere involate.

(Lacan, La lettera rubata, in La cosa freudiana)