Lacan – È la verità che è nascosta, e non la lettera

Ciò che costituisce il fondo di ogni dramma umano, di ogni dramma di teatro in particolare, è che ci sono dei legami, dei nomi, dei patti stabiliti. Gli esseri umani sono già legati fra loro da impegni che ne hanno determinato il posto, il nome, l’essenza. Poi arrivano un altro discorso, altri impegni, altre parole.
È certo che vi sono dei punti in cui bisogna decidere. I trattati non sono tutti costituiti simultaneamente. Alcuni sono contraddittori. Se si fa la guerra, è appunto per sapere Isakov-scacchieraquale trattato sarà valido. Grazie a Dio, molte volte non la si fa, la guerra, ma i trattati continuano a funzionare, l’anello continua a circolare di mano in mano in più sensi, e a volte l’oggetto di un gioco dell’anello incontra quello di un altro gioco dell’anello. C’è suddivisione, riconversione, sostituzione. Chi è impegnato nel gioco dell’anello in un certo cerchio deve dissimulare che gioca anche in un altro.

Non a caso vediamo apparire dei personaggi regali. Essi diventano simbolici del carattere fondamentale dell’impegno costituito in partenza. Il rispetto del patto che unisce l’uomo alla donna ha un valore essenziale per la società intera, e questo valore è incarnato da sempre al massimo grado nelle persone della coppia regale, interprete della sua parte.
Questa coppia è il simbolo del patto principale, che accorda l’elemento maschile con l’elemento femminile, e ricopre tradizionalmente un ruolo di mediazione fra tutto ciò che non conosciamo, il cosmo, e l’ordine sociale. A ragione, nulla sarà considerato più scandaloso e reprensibile di ciò che gli porta oltraggio. Certamente, allo stato attuale delle relazioni interumane, la tradizione è messa in secondo piano, o almeno velata. Ricordate le parole di re Farouk, secondo cui ci sono ormai solo cinque re sulla Terra: o quattro re di carte e il re d’Inghilterra.

Insomma, che cos’è una lettera? Come può essere rubata? A chi appartiene? A chi l’ha inviata, o a chi è destinata? Se dite che appartiene a chi l’ha inviata, in che cosa consiste il dono di una lettera? Perché si invia una lettera? E se pensate che appartiene al destinatario, com’è che in certe circostanze si restituiscono le lettere al personaggio che ve ne ha bombardato per tutta una parte della vostra esistenza?

Si può esser certi, quando si prende uno di quei proverbi attribuiti alla saggezza delle nazioni – saggezza cosiddetta per antifrasi – di cadere su una stupidaggine. Verba volant, scripta manent. Avete mai riflettuto che una lettera è appunto una parola che vola? Volée, rubata, una lettera può esserlo, perché una lettera è un foglio che vola. Sono gli scripta che volant, mentre le parole, ahimé, restano. Restano anche quando nessuno se ne ricorda più. Esattamente come dopo cinquecentomila segni nella serie dei più e dei meno, l’apparizione di α, β, γ, δ, resterà determinata dalle medesime leggi.

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Le parole restano. Al gioco dei simboli non potete farci nulla, ecco perché bisogna fare molta attenzione a ciò che dite. Ma la lettera, quanto a lei, se ne va. Va a spasso da sola.
Ho spesso insistito per fare capire a Guiraud che potrebbero benissimo esserci due chili di linguaggio sul tavolo. Non c’è bisogno che ce ne sia tanto – un foglietto di carta velina è già un linguaggio che è lì. È lì, e non esiste che in quanto linguaggio, è il foglio volante. Ma è anche un’altra cosa, con una funzione particolare, assolutamente inassimilabile ad alcun oggetto umano.

I personaggi fanno dunque la loro parte. C’è un personaggio che trema, la regina. La sua funzione è di non poter tremare oltre un certo limite. Se tremasse un po’ di più, se il riflesso del lago che rappresenta – poiché è la sola ad avere piena coscienza della scena – si intorbidisse un po’ di più, non sarebbe più la regina, sarebbe del tutto ridicola, e non potremmo neanche più sopportare la crudeltà terminale di Dupin. Ma non fiata. C’è un personaggio che non vede nulla, il re. C’è il ministro. C’è la lettera.

La lettera, che è una parola indirizzata alla regina da qualcuno, il duca di S., a chi è veramente indirizzata? Dal momento che è una parola, può avere più funzioni. Ha la funzione di un certo patto, di una certa confidenza. Poco importa che si tratti dell’amore del duca o di un complotto contro la sicurezza dello Stato, o persino di una banalità. È lì, dissimulata in una specie di presenza-assenza. È lì, ma non è lì, è lì nel valore che le è regina-scacchi-paintproprio solo in rapporto a tutto ciò che minaccia, a tutto ciò che viola, a tutto ciò che schernisce, a tutto ciò che mette in pericolo o in sospeso.

È una verità non buona da divulgare, questa lettera che non ha ovunque il medesimo senso. Appena passa nella tasca del ministro, non è più ciò che era prima, qualsiasi cosa fosse stata. Non è più una lettera d’amore, una lettera di confidenza, l’annuncio di un avvenimento, ma è una prova, all’occorrenza un corpo del reato.
Se immaginiamo questo povero re morso da una tarantola che ne farebbe un re di più alta grazia, non uno di quei re bonaccioni capaci di lasciar correre e di spedire poi la degna sposa davanti a un’Alta Corte, come si è visto in certi momenti della storia d’Inghilterra – ancora l’Inghilterra! –, ci rendiamo conto che l’identità del destinatario di una lettera è altrettanto problematica quanto la questione di sapere a chi appartiene. Ad ogni modo, dal momento che è nelle mani del ministro, è diventata un’altra cosa.

Il ministro allora mette in atto un trucco ben singolare. Mi direte che è la necessità delle cose. Ma perché noialtri, analisti, dovremmo arrestarci alle grossolane apparenze delle motivazioni?
Volevo tirar fuori di tasca una lettera dell’epoca per mostrarvi come si piegava, e naturalmente l’ho dimenticata a casa. Era un’epoca in cui le lettere erano ben graziose. Le si piegava press’a poco così – e le si sigillava con ceralacca o altro materiale.

Il ministro che, nella sua astuzia, vuole che la lettera passi inosservata, la ripiega dall’altra parte e la sgualcisce. È molto facile, ripiegandola, fare apparire una piccola superficie nuda e piana su cui si può mettere un’altra soprascritta e un altro sigillo, nero anziché rosso.
Al posto della scrittura allungata del nobile signore, viene una scrittura femminile che indirizza la lettera allo stesso ministro. Ed è sotto questa forma che la lettera giace nel portacarte del ministro dove l’occhio di lince di Dupin non la mancherà perché ha, come noi, meditato su che cos’è una lettera.sigillo-rosso

Questa trasformazione non è sufficientemente spiegata, per noi analisti, dal fatto che il ministro vuole che non la si riconosca. Non è indifferente il modo in cui l’ha trasformata. La lettera di cui non sappiamo cosa fosse, se la fa in qualche modo inviare sotto la sua nuova e falsa apparenza, anzi si precisa da chi – da una persona femminile del suo casato, dalla scrittura femminile e minuta – e se le fa inviare con il suo stesso sigillo.

Eccoci a un curioso rapporto con se stesso. C’è una subitanea femminilizzazione della lettera, e nello stesso tempo essa entra in un rapporto narcisistico – poiché gli è ora indirizzata con questa scrittura femminile raffinata e porta il suo stesso sigillo. È una specie di lettera d’amore che manda a se stesso. C’è qualcosa di oscuro, indefinibile, non voglio forzare nulla, e a dire il vero se parlo di questa trasformazione, è perché è correlativa di qualcosa di più importante, che concerne il comportamento soggettivo dello stesso ministro.
Fermiamoci su questo dramma, vediamo ciò che lo annoda.

Perché è tanto doloroso che la lettera sia in possesso del ministro fino al punto che tutto nasce dal bisogno assolutamente urgente della regina di recuperarla?
Come nota un interlocutore intelligente, il narratore, che è anche testimone, questa vicenda ha valore solo se la regina sa che il documento è in possesso del ministro. Lei sa, mentre il re non sa nulla.
Supponiamo che il ministro si comporti allora con una sfrontatezza intollerabile. Sa di essere potente e si comporta come tale. E la regina – bisogna credere che abbia la sua da dire negli affari – interviene in suo favore. I desideri che si suppongono al potente ministro sono soddisfatti, gli si permette di formare davanti alla Camera monarchica, fin troppo costituzionale, delle maggioranze. Ma nulla fa supporre che il ministro abbia mai detto, domandato nulla alla regina. Al contrario, ha la lettera e tace.

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Tace, mentre è portatore di una lettera che minaccia il fondamento del patto. È portatore della minaccia di un disordine profondo, misconosciuto, rimosso, e tace. Potrebbe avere un atteggiamento che qualificheremmo come altamente morale. Potrebbe andar a fare delle rimostranze alla regina. Sarebbe un ipocrita, naturalmente, ma potrebbe porsi come difensore dell’onore del suo padrone, come vigile custode dell’ordine. E forse l’intrigo stretto con il duca di S. è pericoloso per la politica che egli suppone quella buona. Ma non fa nulla di tutto questo.

Ci viene rappresentato come un personaggio essenzialmente romantico, e non manca di farci pensare a Chateaubriand, che non ricorderemmo come un personaggio tanto nobile se non fosse stato cristiano. Infatti, se leggiamo il senso vero delle sue Memorie, non dichiara forse di essere legato alla monarchia con giuramento di fedeltà solo per poter dire nel modo più chiaro che, a parte questo, pensa che è tutta una porcheria? Così che può figurare come quel monstrum horrendum di cui si parla per giustificare il rancore finale di Dupin. C’è un modo di difendere i princìpi, come si vede alla lettura di Chateaubriand, che è il modo migliore per annientarli.

Perché il ministro ci viene presentato come un simile mostro, come un uomo senza princìpi? Se guardate le cose da vicino, vuol dire che non dà alcun senso dell’ordine di una compensazione o di una sanzione qualsiasi a ciò che detiene in suo potere. Non ne fa nulla della conoscenza che ha di questa verità sul patto. Non muove alcun rimprovero alla regina, non la incita a rientrare nell’ordine ponendosi sul piano del confessore o del Yeats-letteradirettore di coscienza, non più di quanto vada a dirle a buon rendere.
Il potere che la lettera può conferirgli, lo sospende nell’indeterminatezza, non gli dà alcun senso simbolico, e gioca unicamente sul fatto che si stabilisce, tra lui e la regina, quel miraggio, quella fascinazione reciproca, che è ciò che vi annunciavo poco fa, parlando di rapporto narcisistico. Rapporto duale tra servo e padrone, fondato sulla minaccia indeterminata della morte come ultimo termine, e in questo caso sui timori della regina.

I timori della regina, a ben vedere, sono esagerati. In effetti, come si fa notare nel racconto, questa lettera è forse un’arma terribile, ma basterebbe che fosse messa in gioco per essere annientata. È un’arma a doppio taglio. Non si sa che seguito potrebbe dare alla rivelazione della lettera la giustizia retributiva, non solo quella di un re, ma di tutto un consiglio, di tutta l’organizzazione interessata da una simile esplosione.

In fin dei conti, il carattere insopportabile della pressione costituita dalla lettera dipende dal fatto che il ministro ha, verso la lettera, lo stesso atteggiamento della regina – non ne parla. E non ne parla perché, come lei, non può parlarne. E per il solo fatto che non può parlarne, si trova, nel corso della seconda scena, nella stessa posizione della regina, e non potrà fare altrimenti che farsi sottrarre la lettera. Il che non è dovuto all’astuzia di Dupin, ma alla struttura delle cose.

La lettera rubata è diventata una lettera nascosta. Perché i poliziotti non la trovano? Non la trovano perché non sanno che cosa sia una lettera. Non lo sanno perché sono la polizia.
Ogni potere legittimo, come ogni specie di potere, riposa sempre sul simbolo. E la polizia, come tutti gli altri poteri, riposa anche lei su un simbolo. Come avete potuto notare in periodi caldi, ci si lascia arrestare come agnellini se un tipo, mostrato un documento, vi dice Polizia!, altrimenti gli spacchereste il muso appena vi mette le mani addosso.
Solamente, la piccola differenza che passa tra la polizia e il potere, è che hanno persuaso la polizia che la sua efficacia riposi sulla forza – questo non per darle fiducia, ma al contrario per limitarla nelle sue funzioni. E grazie al fatto che la polizia crede di esercitare la sua funzione per mezzo della forza, è così impotente quanto lo si possa desiderare.

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Quando le si insegnano altre cose, come accade da un po’ di tempo in alcune parti del mondo, si vede come va a finire. Si ottiene l’adesione universale a ciò che chiameremo semplicemente la dottrina. Si può far mettere in riga chiunque in una posizione press’a poco indifferente rispetto al sistema dei simboli, e si ottengono così tutte le confessioni del mondo, e si fa portare a chiunque l’uno o l’altro elemento della catena simbolica a discrezione del potere spogliato del simbolo là dove una certa meditazione personale fa difetto.

La polizia, credendo alla forza, e quindi al reale, cerca la lettera. Come dicono – Si è cercato dappertutto. E non hanno trovato, perché si tratta di una lettera, e una lettera appunto non è da nessuna parte.
Non è una battuta. Riflettete – perché non la trovano. È lì. L’hanno vista. Che hanno visto? Una lettera. Forse l’hanno anche aperta. Ma non l’hanno riconosciuta. Perché? Ne avevano una descrizione – Ha un sigillo rosso e una certa soprascritta. Ora, ha un altro sigillo e non ha quella soprascritta.
Mi direte – E il testo? Ma appunto, il testo non gliel’hanno dato. Infatti, delle due una, o il testo è importante oppure no. Se è importante e anche se nessuno tranne il re lo può comprendere, è meglio che non sia di dominio pubblico.occultamento-drawing

Vedete bene che non può esserci qualcosa di nascosto se non nella dimensione della verità. Nel reale, l’idea stessa di un nascondiglio è delirante – per quanto uno scenda nelle viscere della terra a portare qualcosa, non lo nasconde, poiché se c’è andato lui potete andarci anche voi.
Non può essere nascosto che ciò che appartiene all’ordine della verità. È la verità che è nascosta, e non la lettera. Per i poliziotti, la verità non è importante, per loro c’è solo realtà, ed è per questa ragione che non la trovano.

Al contrario, oltre alle osservazioni sul gioco del pari o dispari, Dupin fa considerazioni linguistiche, matematiche, religiose, specula costantemente sul simbolo, fino a parlare del non-senso delle matematiche – del che porgo le mie scuse ai matematici presenti.
Provate a dire, dice, un bel giorno a un matematico che forse x2 + px non è proprio uguale a q – vi accopperà immediatamente. Ma no, poiché mi capita spesso di intrattenere Riguet con i miei sospetti su questo argomento, e non mi è mai successo nulla di simile. Al contrario, il nostro amico mi esorta a portare avanti le mie speculazioni. Insomma, è per il fatto che Dupin ha un po’ riflettuto sul simbolo e sulla verità che arriverà a vedere quel che c’è da vedere.

Nella scena descritta Dupin si trova di fronte a una curiosa esibizione. Il ministro fa mostra di una bella indolenza che non inganna l’abile uomo, che sa che sotto c’è l’estrema vigilanza, l’audacia terribile del personaggio romantico capace di tutto, per il quale sembra essere stato inventato il termine di sangue freddo, vedete Stendhal.
Eccolo allora disteso ad annoiarsi, a sognare – Nulla in un’epoca decadente basta a occupare i pensieri di uno spirito elevato. Che fare quando tutto va a rotoli?
Ecco il tema. Durante questo tempo, Dupin, con degli occhiali verdi, guarda dappertutto e cerca di farci credere che è il suo genio a permettergli di vedere la lettera. Ma no.

Come la regina aveva di fatto indicato al ministro la lettera, così è il ministro a svelare il suo segreto a Dupin. Non c’è forse come un’eco tra la lettera a sovrascritta femminile, e Biegas-effeminatoquesto Paride illanguidito?
Dupin legge letteralmente ciò che è divenuta la lettera nell’atteggiamento molle di questo personaggio di cui nessuno sa ciò che vuole, salvo spingere il più oltre possibile l’esercizio gratuito della sua attività di giocatore. È lì a sfidare il mondo come ha sfidato la coppia regale col ratto della lettera.
Che cosa significa? – se non che, essendo rispetto alla lettera nella medesima posizione in cui era la regina, in una posizione essenzialmente femminile, il ministro cade sotto il medesimo effetto occorso a quest’ultima?

Mi direte che non ci sono come prima i tre personaggi e la lettera. La lettera è lì, ci sono due personaggi, ma dov’è il re?
Ebbene, evidentemente, è la polizia. Se il ministro si sente così tranquillo, è perché la polizia fa parte della sua sicurezza, come il re faceva parte della sicurezza della regina. Protezione ambigua – è la protezione che le deve nel senso in cui lo sposo deve aiuto e protezione alla sposa, e anche la protezione che ella deve all’accecamento di lui.
Ma basta un nonnulla, un piccolo cambiamento di equilibrio, perché nell’interstizio la lettera sia sgraffignata. È quanto capita al ministro.

È un errore da parte sua credere che, poiché la polizia che fruga la sua dimora da mesi non l’ha trovata, può stare tranquillo. Questo non prova nulla, non più di quanto per la regina la presenza del re incapace di vedere la lettera costituisse un’efficace protezione. Dov’è il suo sbaglio?
È di aver dimenticato che se la polizia non ha trovato la lettera, non è perché non possa essere trovata, ma perché la polizia cercava qualcosa d’altro. Lo struzzo si crede al sicuro perché tiene la testa sotto la sabbia – e lui è uno struzzo perfezionato che si crede al riparo perché è un altro struzzo – autruche autruiche – ad aver la testa nella sabbia. E si lascia spennare il didietro da un terzo che s’impossessa delle sue penne e se ne fa un pennacchio.

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Il ministro è nella posizione che è stata della regina, la polizia in quella del re, di questo re degenerato che non crede che al reale, e che non vede nulla.
Lo scarto dei personaggi è perfetto. E per il fatto di essersi interposto nella sequenza del discorso, e di essere caduto in possesso di questa letteruccia da nulla che basta a far devastazione, questo furbo dei furbi, questo ambizioso degli ambiziosi, questo intrigante degli intriganti, questo dilettante dei dilettanti non vede che gli si soffierà il segreto sotto il naso.

Basta un niente, un segnaletico della polizia, a distogliere per un istante la sua attenzione. Infatti, se l’incidente di strada attira la sua attenzione, è perché si sa sorvegliato dalla polizia – Com’è che succede qualcosa davanti a casa mia quando ho tre pulotti per l’angolo?
Non solo si è femminilizzato col possesso della lettera, ma per di più questa, di cui vi ho detto il rapporto con l’inconscio, gli fa dimenticare l’essenziale.
Conoscete la storiella di quel tipo trovato in un’isola deserta dove si è ritirato per dimenticare – Per dimenticare cosa?Ho dimenticato. Bene, anche lui ha dimenticato che, sebbene sotto sorveglianza della polizia, non deve credere che nessuno farà di meglio.

La tappa seguente è curiosa assai. Come si comporta Dupin? Notate che passa un lungo intervallo tra le due visite del prefetto di polizia. Appena ha la lettera, Dupin non spiccica re-regina-scacchipiù parola con nessuno. Insomma, avere questa lettera – sta qui il significato della verità che va a spasso – vi chiude il becco. E in effetti, a chi avrebbe potuto parlarne? Deve essersi trovato in un bell’imbarazzo.
Grazie a Dio, siccome un prefetto di polizia torna sempre sul luogo dei suoi misfatti, il prefetto arriva e lo interroga. L’altro gli racconta una storia di un consulto gratuito assolutamente sublime. Si tratta di un medico inglese cui si cercava di carpire l’indicazione di una ricetta – Che cosa prendere in questo caso, dottore?Prendere consiglio. Così Dupin fa notare al prefetto di polizia che un qualche onorario non sarebbe di troppo. Il buonuomo scuce immediatamente, e l’altro gli dice – Eccola, è nel cassetto.

Vuol forse dire che Dupin, che fin qui era un meraviglioso personaggio, di una lucidità quasi eccessiva, sia diventato d’un tratto un trafficante di mezza tacca? Non esito a vedere qui il riscatto di quello che si potrebbe chiamare il cattivo mana legato alla lettera.
E infatti, a partire dal momento in cui riceve l’onorario, si tira fuori dal gioco. Non è solo perché ha passato la lettera a un altro, ma perché, per tutti, i suoi motivi sono chiari – ha preso i quattrini, non c’entra più per niente. Il valore sacrale della retribuzione tipo onorario è manifestamente indicato dallo sfondo della storiella medica.

Non voglio insistere, ma forse mi farete gentilmente notare che anche noi, che passiamo il tempo a essere i latori di tutte le lettere rubate del paziente, ci facciamo pagare più o meno caro. Riflettete bene a questo – se non ci facessimo pagare, entreremmo nel dramma di Atreo e Tieste, che è quello di tutti i soggetti che vengono a confidarci la loro verità. Ci raccontano le loro sacrosante storie, e per questo non siamo affatto nell’ordine del sacro e del sacrificio. Ognuno sa che il denaro non serve solo per acquistare oggetti, ma che i prezzi che, nella nostra civiltà, sono calcolati con più precisione possibile, hanno la funzione di smorzare qualcosa di infinitamente più pericoloso del pagare in moneta, che il dovere qualcosa a qualcuno.

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Si tratta proprio di questo. Chiunque ha questa lettera entra nel cono d’ombra necessitato dal fatto che è destinata, a chi? se non a colui che la cosa interessa – al re. E finirà per giungergli, ma non proprio come Dupin racconta nella sua storiella immaginaria, in cui il ministro, in seguito a qualche vessazione della regina, è tanto sciocco da lasciar esplodere la storia. Essa giunge veramente al re, ed è sempre un re che non sa nulla.
Ma nell’intervallo il personaggio del re è cambiato. Il ministro che, fatto un gradino, era diventato la regina, è lui ora il re. Alla terza tappa ha preso il posto del re, e ha la lettera.

Che naturalmente non è più la lettera che è passata da Dupin al prefetto di polizia – e di qui al posto buio, non ci si venga a raccontare infatti che l’odissea della lettera è finita –, ma è una nuova forma della lettera, conferitole da Dupin, ben più strumento del destino di quanto Poe non ce lo faccia intravvedere, forma provocante che conferisce a questa piccola storia il suo lato incisivo e crudele a uso delle sartine.
Quando il ministro aprirà la lettera, leggerà questi versi che lo schiaffeggiano:

… mire sì funeste
se non d’Atreo son degne di Tieste.

E, di fatto, se mai aprirà questa lettera, non gli resterà che subire le conseguenze dei Christensen-espiazionepropri atti, mangiare come Tieste i propri figli.
Proprio con questo abbiamo a che fare ogni giorno, ogni volta che la linea dei simboli giunge al suo punto terminale – sono i nostri atti che vengono a ritrovarci.
D’un tratto, bisogna pagare in contanti. Si tratta, come si dice, di render conto dei vostri crimini – il che significa d’altra parte che se sapete renderne conto non sarete puniti. Se fa davvero la follia di tirar fuori la lettera, e soprattutto di non guardare prima se è proprio quella, allora al ministro non resterà che seguire la parola d’ordine che avevo lanciato ironicamente a Zurigo, in risposta a Leclaire – Mangia il tuo Dasein! È il pasto di Tieste per eccellenza.

Bisogna veramente che questo ministro spinga alla follia il paradosso del giocatore, per arrivare a tirar fuori la lettera. Bisogna che sia davvero, fino in fondo, un uomo senza princìpi, senza neanche questo principio, l’ultimo, quello che resta alla maggior parte di noi, che è semplicemente un’ombra di stupidità.
Se cade nella passione, troverà la regina generosa, degna di rispetto e d’amore – ciò è completamente idiota, ma lo salverà. Se cade nell’odio puro e semplice, cercherà di sferrare il suo colpo in modo efficace. Veramente, solo nel caso che il suo Dasein sia completamente avulso da ogni iscrizione in un ordine qualsiasi, ivi compreso un ordine intimo, quello del suo ufficio, della sua tavola, è veramente solo in questo caso che dovrà bere il calice fino alla feccia.

Tutto questo, potremmo arrivare a scriverlo con dei piccoli alfa, beta, gamma. Tutto ciò che può servire a definire i personaggi come reali – qualità, temperamento, eredità, nobiltà – non c’entra nulla.
A ogni istante ognuno è definito, fin nel suo atteggiamento sessuale, dal fatto che una lettera arriva sempre a destinazione.

(Lacan, Il Seminario: 2)