Eliot – Gli uomini vuoti

Un penny per il vecchio Guy

Siamo gli uomini vuoti
siamo gli uomini impagliati
che appoggiano l’un l’altro
la testa piena di paglia. Ahimé!
Le nostre voci secche, quando
noi insieme mormoriamo
sono quiete e senza senso
come vento nell’erba rinsecchita
o come zampe di topo sopra vetri infranti
nella nostra arida cantina.

Figure senza forma, ombra senza colore,
forza paralizzata, gesto privo di moto;

quelli che hanno traghettato
con occhi diritti, all’altro regno della morte
ci ricordano – se pure lo fanno – non come scomparse
anime violente, ma solo
come gli uomini vuoti,
gli uomini impagliati.

**

Cascone-spaventapasseri-innamorato

Occhi che in sogno non oso incontrare
nel regno di sogno della morte
questi occhi non appaiono:
laggiù gli occhi sono
luce di sole su una colonna infranta
laggiù un albero ondeggia
e voci vi sono
nel cantare del vento
più distanti e più solenni
di una stella che si spegne.

Non lasciate che sia più vicino
nel regno di sogno della morte
lasciate anche che porti
travestimenti così deliberati
pelliccia di topo, pelliccia di cornacchia, doghe incrociate
in un campo
comportandomi come si comporta il vento
non più vicino –

non quel finale incontro
nel regno del crepuscolo.

**

Strzalkowski-rovine

Questa è la terra morta
questa è la terra dei cactus
qui le immagini di pietra
sorgono, e qui ricevono
la supplica della mano di un morto
sotto lo scintillio di una stella che si va spegnendo.

È proprio così
nell’altro regno della morte
svegliandoci soli
nell’ora in cui tremiamo
di tenerezza
le labbra che vorrebbero baciare
innalzano preghiere a quella pietra infranta.

**

Gli occhi non sono qui
qui non vi sono occhi
in questa valle di stelle morenti
in questa valle vuota
questa mascella spezzata dei nostri regni perduti

in quest’ultimo dei luoghi d’incontro
noi brancoliamo insieme
evitiamo di parlare
ammassati su questa riva del tumido fiume

privati della vista, a meno che
gli occhi non ricompaiano
come la stella perpetua
rosa di molte foglie
del regno di tramonto della morte
la sola speranza
degli uomini vuoti.

**

fichi-india

Qui noi giriamo attorno al fico d’India
fico d’India fico d’India
qui noi giriamo attorno al fico d’India
alle cinque del mattino.

Fra l’idea
e la realtà
fra il gesto
e l’atto
cade l’Ombra

Perché Tuo è il Regno

Fra il concepimento
e la creazione
fra l’emozione
e la risposta
cade d’Ombra

La vita è molto lunga

Fra il desiderio
e lo spasimo
fra la potenza
e l’esistenza
fra l’essenza
e la discendenza
cade l’Ombra

Perché Tuo è il Regno

Perché Tuo è
la vita è
perché Tuo è il

il modo in cui il mondo finisce è questo
il modo in cui il mondo finisce è questo
il modo in cui il mondo finisce è questo
non già con uno schianto ma con un piagnisteo.

(Eliot, Gli uomini vuoti)

***

… a un’altra schiera di «morti» appartiene l’anima di Eliot – appartiene alla schiera degli «uomini (che sanno d’essere fantocci di paglia) svuotati» del midollo del loro essere – alla Stradano-Stige-Inferno-canto-8schiera di coloro che non hanno «nulla da dire», null’altro che il «reciproco mormorio» con cui sostenersi l’uno poggiando sul vuoto dell’altro – alla schiera dei Silenti, fedeli al loro essere «senza storia» e «senza tempo», e perciò tutta la vita passata a sentirsi dispersi altrove – mummificati in una distanza /forza paralizzata, gesto immobilizzato/ in un tempo, l’istante stesso della loro Origine «umana».

La schiera si affolla sulla riva del «tumido fiume». (Una volta si chiamava Acheronte nell’immaginario dei Narratori, ma va bene lo stesso.)
L’anima di Eliot è ancora là – sospesa nell’istante del trapasso, come incantata nello stupore catastrofico del suo Inizio: nell’incantesimo primo, acerbo, precoce della sua iniziazione alla vita e alla morte «da uomo».
Anima, dunque, morta allora – quando fu tratta fuori dal suo Reame senza tempo e senza storia. Anima che sa e può morire solo come morì allora – nell’informe disordine che gli spuntò fra il concepimento /d’un desiderio/ e la creazione /d’una risposta – da dare alla Sfinge del suo Nulla.

La schiera a cui appartiene l’anima di Eliot, quasi non risulta nel promemoria che certi Nocchieri hanno lasciato dei loro viaggi in Piroga.
Pochi, tra quei Poeti «che hanno traghettato» l’immaginazione del lettore «all’altro mondo della morte», pochissimi di loro si sono ricordati di questi «uomini vuoti», ammutoliti dalla [coscienza della propria] insignificanza.
Perlopiù, hanno narrato di una folla d’«anime violente», di anime blasfeme, dannate a urlare di rabbia per ribellarsi alla propria estinzione.

Quivi sospiri pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle,
facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
(Dante, Inferno, 3: 22-30)

Ma anche:

… vidi genti alla riva d’un gran fiume
(3: 71)

e, più avanti:

… bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ‘l luogo e ‘l tempo e ‘l seme
di lor semenza e di lor nascimenti
(3: 103-105)

Molto più sintetico, Virgilio:

… qui una folla sparsa si precipitava turbolenta sulla riva
(Virgilio, Eneide, 6: 305)

Dante e Virgilio – due Maestri, due Guide «che hanno traghettato con occhi diritti, all’altro regno della morte», non hanno degnato d’un accenno le anime di quegli «uomini vuoti» (di storia) che trapassano da una morte all’altra senza «dire nulla», senza strapparsi i capelli o battersi il petto per la tragedia, senza il «fragore» di uno schianto infernale o d’un grido di «rivolta».
Niente di tutto questo. Agli «uomini vuoti» non tocca nessuna citazione – niente che somigli, sia pure vagamente, a una fine gloriosa quale comunque spetta, mitologicamente, alla dannazione eterna.

No, gli «uomini vuoti» muoiono così come nati – insignificanti. Ma proprio per questo, essi non possono morire che dove hanno vissuto la loro vita «insensata».
Muoiono cantando una filastrocca dell’infanzia… il fico d’India, il fico d’India. Muoiono senza una Daênâ, un angelo o un barcaiolo: per loro non c’è nessun «incontro finale /nell’ora del crepuscolo». Muoiono sospesi nell’attesa, così come hanno vissuto, della più improbabile «stella perpetua». Muoiono supplicando ancora le proprie «immagini di pietra», i propri aneliti «pietrificati» allora al Valico dello Scorpione: nel «trapasso» /dall’idea alle cose reali/ perdendo il filo dei propri pensieri, finendo per balbettare quel poco che aveva ancora a mente d’una vecchia filastrocca.
Poi anche il balbettio cessa… s’ode, appena, in sottofondo, una lagna.