Pascal – La scommessa è alla pari

Noi sappiamo che vi è un infinito, e ignoriamo la sua natura.
Poiché sappiamo che è falso che i numeri siano finiti, è vero dunque che vi è un infinito nel numero. Ma non sappiamo ciò che esso sia: è falso che sia pari, è falso che sia dispari; Ernst-fantasmipoiché, aggiungendovi un’unità, esso non cambia di natura; tuttavia è un numero, e ogni numero è pari o dispari.
Così si può ben comprendere che vi è un Dio senza sapere cosa egli sia. […]

Chi biasimerà dunque i cristiani di non poter dare ragione della loro credenza, loro che professano una religione di cui non possono dare ragione? Essi dichiarano, esponendola al mondo, che è una stoltezza, stultitiam (1 Corinzi, 1: 21); e poi, voi vi lamentate del fatto che essi non danno le prove! Se essi ne dessero le prove, mancherebbero di parola; solo mancando di prova essi non mancano di senno.
– Sì, ma anche se questo scusa coloro che la presentano come tale e li assolve dal biasimo di presentarla senza ragione, non scusa coloro che l’accolgono.
– Esaminiamo dunque questo punto e diciamo: «Dio esiste, o non esiste». Ma da quale parte inclineremo? La ragione non vi può determinare nulla; vi è un caos infinito che ci separa. Si gioca un gioco, all’estremità di questa distanza infinita, in cui uscirà testa o croce. Su cosa scommetterete? Con la ragione, voi non potete fare né l’una né l’altra scelta; con la ragione, non potete sostenere nessuna delle due.

Non accusate dunque di errore quelli che hanno una scelta, perché non ne sapete nulla.
– No, ma io li biasimo di aver fatto, non questa scelta, ma una scelta; perché, sebbene tanto chi sceglie croce quanto l’altro commettano lo stesso errore, sono tutt’e due in errore: giusto è non scommettere.
– Sì, ma bisogna scommettere. Questo non è lasciato al libero volere, voi siete imbarcati. Ma cosa sceglierete dunque? Vediamo. Dal momento che bisogna scegliere, guardiamo ciò che vi interessa meno. Avete due cose da perdere: il vero e il bene, e due cose da imparare, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha due cose da fuggire: l’errore e la miseria. La vostra ragione non patisce maggior offesa se sceglie l’una o l’altra, dal momento che bisogna necessariamente scegliere. Ecco un punto risolto. Ma la vostra beatitudine? Pesiamo il guadagno e la perdita, se viene croce, che Dio esiste. Valutiamo questi due casi: se vincete, vincete tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete, dunque, che Dio esiste senza esitare.

– Ciò è ammirevole. Sì, bisogna scommettere, ma forse scommetto troppo.
– Vediamo. Poiché vi è uguale possibilità di guadagno e di perdita, se aveste da guadagnare due vite contro una, potreste scommettere ancora; ma se ce ne fossero da Gramatté-confessioneguadagnare tre, dovreste giocare (dal momento che siete nella necessità di giocare), e sareste imprudenti, poiché siete costretti a giocare, a non rischiare la vostra vita per guadagnarne tre, a un gioco in cui è uguale la possibilità di perdere e di guadagnare. Ma vi è un’eternità di vita e di felicità. Stando così le cose, quand’anche ci fosse una infinità di casi, di cui uno solo favorevole, voi avreste ancora ragione di scommettere uno per avere due; e agireste irragionevolmente se, essendo obbligati a giocare, rifiutaste di giocare una vita contro tre in un gioco in cui fra una infinità di probabilità ve ne fosse una per voi, se ci fosse un’infinità di vita infinitamente felice da guadagnare. Ma qui vi è una infinità di vita infinitamente felice da guadagnare, una probabilità di vincita contro un numero finito di probabilità di perdita, e ciò che rischiate è finito. Ciò toglie ogni incertezza: dovunque ci sia l’infinito e non vi sia una infinità di probabilità di perdita contro quella di vincere, non vi è motivo di esitare, bisogna dar tutto. E così, quando si è costretti a giocare, bisogna rinunciare alla ragione per salvare la vita, piuttosto che rischiarla per il guadagno infinito così facile a venire quanto la perdita del nulla.

Perché non serve a nulla dire che è incerto se si vincerà, e che è certo che si rischia, e che l’infinita distanza che c’è tra la certezza di ciò che si rischia, e l’incertezza di ciò che si vincerà, eguaglia il bene finito, che si rischia con certezza, all’infinito, che è incerto. Non stanno così le cose: ogni giocatore rischia in modo certo per guadagnare in modo incerto; e nondimeno arrischia con certezza il finito per vincere il finito con incertezza, senza peccare contro la ragione. Non vi è una distanza infinita tra questa certezza di ciò che si rischia e l’incertezza della vincita; ciò è falso.

Vi è, in verità, infinità tra la certezza di vincere e la certezza di perdere. Ma l’incertezza della vincita è proporzionale alla certezza di ciò che si rischia, secondo la proporzione delle probabilità di vincita e di perdita. E da qui deriva che, se vi sono eguali possibilità da una parte come dall’altra, la scommessa è giocata alla pari: e allora la certezza del rischio è uguale all’incertezza della vincita: tutt’altro che esserne infinitamente distante.
E così, la nostra proposizione ha una forma infinita, quando c’è da rischiare il finito in un gioco in cui vi è eguale probabilità di vincita come di perdita, e c’è l’infinito da vincere. Ciò è dimostrativo, e se gli uomini sono capaci di qualche verità, questa ne è una.

Schmucker-dubbio

– Lo confesso, lo ammetto. Ma ancora non vi è mezzo di scoprire il segreto del gioco?
– Sì, la Scrittura, il resto, eccetera.
– Sì, ma io ho le mani legate e la bocca chiusa; mi si costringe a scommettere, e non sono libero; non mi si scioglie. E sono fatto in un tal modo, che non posso credere. Che volete dunque che faccia?

– È vero. Ma sappiate almeno che la vostra impotenza a credere, dal momento che la ragione vi ci porta e che nondimeno non lo potete, viene dalle vostre passioni. Adoperatevi, dunque, non a convincervi attraverso l’aumento delle prove di Dio, ma attraverso la diminuzione delle vostre passioni. Volete andare verso la fede e non ne conoscete il cammino. Volete guarire dall’incredulità e chiedete qual è la medicina; imparate da coloro che sono stati legati come voi e che ora scommettono tutto il loro bene. Sono persone che conoscono il cammino che vorreste seguire, sono guarite da un male di cui vorreste guarire; seguite il metodo con cui hanno cominciato. Cioè facendo tutto come se si credesse, prendendo l’acqua benedetta, facendo dire delle messe, ecc. scommessa-PascalCon naturalezza, questo vi porterà a credere, d’istinto.
– Ma è questo che temo.
– E perché? Che avete da perdere? Per dimostrarvi che questa è la via alla fede, sappiate che ciò diminuirà le passioni che sono il vostro grande ostacolo.

Fine di questo discorso.
Ora, agendo così, che male vi può accadere? Sarete fedele, onesto, umile, riconoscente, benefico, amico sincero, veritiero. Certo, non vivrete tra i piaceri impestati, nella gloria, tra le delizie; ma non ne avrete forse altri?
Vi dico che ci guadagnerete a vivere a questo modo, e che, a ogni passo che farete, vedrete tanta certezza del guadagno e tanta nullità in ciò che rischiate, che alla fine vi renderete conto che avete scommesso per una cosa certa, infinita, per la quale non avete dato nulla.
– Oh, questo discorso mi prende, mi incanta, ecc.
– Se questo discorso vi piace e vi sembra ben fondato, sappiate che viene da un uomo che si è messo in ginocchio prima e dopo, per pregare quell’essere infinito e indivisibile, al quale egli sottomette tutto il suo essere, affinché sottometta a sé anche il vostro per il vostro bene e per la sua gloria, e che così la forza si accordi con questo abbassarsi.

(Pascal, Pensieri: 451)

***

Non è dunque solo al racconto di Poe che Lacan attinge. Egli sa bene di connettersi a questo Pensiero di Pascal – non è forse già esso tutto pensato nei termini d’un gioco a pari Schwabe-rimorso-postumoo dispari, a testa o croce? non è qui che perfino la Credenza è passata al vaglio di un calcolo delle probabilità?
Ma non facciamoci distrarre – ecco ciò che di «nuovo» Lacan aggiunge alla scommessa di Pascal – non facciamo attrarre dalla posta in gioco (l’infinito che è nel numero, o addirittura la prova dell’esistenza di Dio), non cadiamo cioè nella trappola di metterci in cerca della dialettica perfetta!

Ciò che conta è che scommettiamo – è che, come già dice Pascal, «bisogna scommettere», e che anche il suo interlocutore immaginario che sostiene che «giusto è non scommettere», sta di fatto scommettendo sulla «giustezza» di ciò che comunque tira a indovinare!
Ogni parola è una scommessa, e perciò solo la intende chi scommette su di essa. Non conta ciò che si gioca. Si tratta di comprendere com’è che si entra in questo gioco, perché da questa comprensione dipende come poi si sta al gioco.

La scommessa è la Soglia, passata la quale entriamo nel Reame del Dialogo, lasciandoci così alle spalle il certo per l’incerto a venire – il Reale «antico» per il Simbolico «prossimo venturo».
Non si diventa scommettitori dopo: al più, una volta imparato a dialogare, si diventa più o meno abili calcolatori di probabilità di vincita. O, come si narra altrove, una volta imparato a pagaiare, si diventa più o meno bravi a risalire il Fiume controcorrente. Se è stato un gioco da ragazzi scendere da monte a valle, bisogna forse sputare sangue per vogare in senso inverso.

Siamo, di natura, scommettitori – accaniti, morbosi, cocciuti, patologici «giocatori d’azzardo» … e perciò impariamo a parlare.
Anche se è solo un «pazzo scatenato» come Heidegger a dirlo, la scommessa è «radicata nell’essere dell’Esserci», è la radice del nostro «essere assieme», del nostro vincerci e/o perderci.
Né l’Esserci, infatti, né l’Infinito che è nel numero, né Dio, né una qualunque altra posta in gioco, potrà mai appagarsi del proprio essere – perché questo suo essere è sempre e soltanto l’«in vista di cui», ovvero il pretesto e, insieme, l’aldilà di ciò che veniamo a giocarci nei segni e nelle parole.