Pavel Kutzko – Fanno pari e dispari

Adolf Wölfli - 1924 - untitled

Fanno pari e dispari ma sono sempre argomenti logici.
E io che dal centro della stanza mi vedevo
appeso a un chiodo sulla parete di fronte
avevo tutt’altro a cui pensare: saranno,
mi chiedevo, sempre così spettinate
le trecce del mio desiderio?

Non c’erano più tori nelle stalle di Augia
né una sola delle sette porte di Tebe era più aperta.
Mi domandavo: da che parte dunque entrerò
se non dal numero di una smorfia che indovini
la nostalgia del lato mancino di Ulisse?

Il tempo, come vedi, dopo tanto tempo
ancora non mi ha dispensato.
Mille e ottocento anni sono passati eppure il tempo
ancora non mi ha disobbligato dal dono che ti devo
dacché ti ho dato quel nome.

Ti ho chiamata. Ma devo chiamarti ancora
e l’eco del tuo nome distorcere
ogni volta che mi ritorna dalla strofa
di quell’antica pazzia (Didì, dimmi)
ogni volta a ripetermi la stessa litania
pari e dispari torti e ragioni colpe e perdoni –
ma, dimmi, dov’è più tra noi la logica
se io ancora mi perdo in un antico intreccio
fatto di sabbie roventi e di cammelle assetate
della tua bocca?

Non era quello, no – un argomento logico:
il tuo era il nome dell’universo che davanti a noi si aprì
quando ponesti me per caso
come assioma del tuo destino.
Era un argomento erotico e come i gesti erotici
come per esempio i baci e le carezze
poteva funzionare solo tra sconosciuti.

L’universo che davanti a noi il tuo assioma aprì
era un insieme di giocattoli ignoti
che chiedevano solo d’essere scoperti e manipolati.
Era un insieme di terre da esplorare, una foresta
d’orchi e di fate, una giostra di scimmie e di tapiri
che giocavano a eccitarsi sotto i nostri inguini.
Era un nido d’api, e bisognava liberare i prigionieri!
Al più presto! sennò quei due cateti, quei due
gemelli ermafroditi – l’uno dell’altro incuriositi
non potevano più incontrarsi
se non passando per il teorema di Pitagora.

Te, sulla sabbia rovente, nuda porta
che davi sull’universo dei miei Quadrati Magici,
te lontana, da Samo alla Calabria ho fatto una corsa
per giungere qui a sederti di fronte:
usami e gettami dopo che ti avrò guardata.
Non potevo chiederti altro.
Non ero che un istinto ad amarti in giro tra i fili
degli infiniti intrecci di storie umane.
Ero in vacanza.
Ero un insieme vacante ai tuoi occhi di Sconosciuta.
Come mai non mi hai riempito?

Se sono una cammella, è perché ho sete ancora
della tua bocca – anche ora che al di là
delle sabbie roventi di questa solitudine
più non mi aspetta nessuna carovana.
Il futuro è già avvenuto
e la mia ora è già passata:
lo era ieri e lo sarà pure domani –
appesa a un chiodo sulla parete resta
di fronte a me, nuda porta,
la solita domanda: saranno sempre così spettinate
le trecce del mio desiderio?

Adolf Wölfli - serpente

(Pavel Kutzko, Delle piraterie quelle poche che ci restano)