Coomaraswamy – La Porta tra i due mondi

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Nelle leggende popolari eschimesi le Montagne Cozzanti sono, significativamente, collegate alle migrazioni degli uccelli. «Tutti gli uccelli che volano al sud devono passare in mezzo ad esse. A piccoli intervalli esse sbattono l’una contro l’altra, così come si battono le mani, e chiunque si trovi in mezzo a loro muore stritolato».
Questo pericoloso passaggio è un’ordalia stabilita dal Grande Spirito, e «le oche incapaci di volare veloci resteranno stritolate». Noi però non abbiamo alcun modo di sapere se il narratore comprendesse o meno il suo materiale; ma è impossibile dubitare che le oche parlanti rappresentassero in origine le anime, o che quelle fra loro incapaci di volare veloci rappresentassero quelle «imperfette», «non iniziate» [alla Parola].

Gli «Scogli che si ricongiungono» sono ben noti in tutta l’America. Nel Dizionario etnologico dei Padri Francescani sono menzionati come «rupi che saltano l’una contro l’altra [schiacciando]». I Navajo narrano di «due scogli che sbattono l’uno contro l’altro», in mezzo ai quali deve passare l’Eroe.
In una saga sudamericana tupi che narra l’Ascensione Celeste di due fratelli, l’uno umano e l’altro divino, la via passa fra due scogli cozzanti, da cui il fratello mortale viene stritolato.
In una versione nordamericana, la porta del re dei cieli è costituita dalle due metà del becco dell’Aquila, oppure dalla vagina dentata di sua figlia: guai dunque a chi vi si due-fratelli-neriavventura, perché rischia, come dall’altra parte del mondo accade a Maui, di rimanere stretto fra le cosce della dea della Notte.

Boas cita la storia degli indiani nordamericani che narra l’Ascensione Celeste di due fratelli, i quali lungo il loro cammino si trovano a dover estrarre dei cunei dalle fessure di certi tronchi d’albero, da cui rischiano di essere schiacciati quando di scatto i lati della fessura si chiudono.
Waitz nota che il morto messicano «doveva attraversare delle montagne cozzanti», e nel Codex Vindobonensis (foglio 21) troviamo raffigurati due individui che scalano una serie di montagne, due delle quali hanno nel mezzo una fenditura e sono senza dubbio da considerare come «cozzanti». […]

Un tratto molto caratteristico della «Porta Attiva» è che chiunque o qualunque cosa passi attraverso di essa deve farlo a tutta velocità e all’improvviso, e anche così talvolta perde la «coda»; la quale cosa può essere la poppa di una barca, oppure uno dei due fratelli, oppure, se si tratta di uno stormo di uccelli (colombe di Zeus o oche eschimesi), l’ultimo della fila; oppure, se l’Eroe riesce a passare, è l’inseguitore a rimanere intrappolato.
Possiamo trovare illustrazioni evidenti di tale caratteristica nel motivo della «lepre e i cani», diffusissimo nell’arte e nelle leggende popolari. Non occorre che ricordiamo che la lepre è una delle molte creature («uccelli», uomini, o animali) che ricoprono il ruolo dell’Eroe nella ricerca della vita, o che il cane è una delle molte incarnazioni del difensore dell’Albero della Vita; tutti i dettagli che ben si armonizzano col simbolismo del furto da un «giardino chiuso» o da un «castello» proibito si trovano fra le varianti del nostro motivo.

Un indovinello di origine greca, ma molto diffuso anche in Europa, dice: «Una chiave di legno, una serratura d’acqua: la lepre passa, il cane resta intrappolato». Una delle soluzioni moderne è: il secchio e il mare. Ma in origine esso alludeva alla traversata del Mar Rosso, Mosè essendo la lepre e il Faraone il cane. Si noterà subito che il mare diviso è un tipo di Porta Attiva, che in questo caso si chiude sull’inseguitore.

Ma non sempre la lepre riesce a salvarsi senza danno. Allora, per adoperare le parole di von Spiess, «la situazione è questa: la lepre è corsa in un altro mondo a prendere cane-leprequalcosa – l’Erba dell’Immortalità. Il cane guardiano insegue la lepre, e le è alle calcagna. Ma giunto al punto in cui i due mondi s’incontrano, e dove ha fine il suo dominio, il cane riesce soltanto a staccare con un morso la coda della lepre, cosicché la lepre fa ritorno al suo mondo priva della coda. In questo caso gli Scogli Cozzanti sono le fauci del cane».
Nell’altro caso, più tipico, in cui l’Eroe è un «uccello», e il Difensore un arciere, la «pena minore» è rappresentata dalla perdita di una penna o di una foglia dell’erba, che cade a terra e vi mette le radici, e cresce fino a diventare un albero terrestre della vita e della conoscenza; in questo caso l’Eroe è ferito al piede, e la sua vulnerabilità in questo rispetto è ricollegabile al motivo del «tallone d’Achille».

Chiunque cerchi d’interpretare i miti in modo puramente razionalistico, potrebbe, considerando la storia della lepre per se stessa, sostenere che essa non è altro che un mito eziologico d’origine popolare. In realtà, il fatto che tali miti siano stati tramandati, forse per migliaia di anni, dal popolo a cui sono stati affidati, non è una prova della loro origine popolare. La lepre dev’essere considerata uguale non soltanto all’«uccello» eroico, ma anche agli eroi umani e cavallereschi delle avventure nell’altro mondo. […]

Chiunque voglia trasferirsi da questo all’Altro mondo, o farvi ritorno, deve farlo attraverso l’intervallo adimensionale e atemporale che separa forze correlate eppure contrarie, fra le quali è necessario passare, perché ciò sia possibile, «istantaneamente». Tale passaggio è ovviamente la stessa cosa della «porta stretta» e della «cruna dell’ago».
Cosa sono questi contrari, che operano in modo «automatico»?
Le antitesi possono essere la paura o la speranza, il nord e il sud, oppure ancora la notte e il giorno. Questi non sono che casi particolari di quella polarità che necessariamente caratterizza qualunque mondo «condizionato».

Matta-opposizione

Un «mondo» senza coppie di opposti – bene e male, piacere e dolore, amore e odio, vicinanza e lontananza, grandezza e piccolezza, maschio e femmina, positivo e negativo – un mondo senza «tutte queste coppie» sarebbe un mondo «incondizionato», un mondo senza accidenti, senza cambiamento né divenire, logicamente inconcepibile e di cui sarebbe impossibile avere esperienza.
È dunque proprio da queste «coppie» che si deve ottenere la liberazione, è al loro conflitto che dobbiamo sfuggire, se vogliamo liberarci della nostra condizione mortale ed essere come e quando vogliamo: se, in altri termini, vogliamo raggiungere l’Altra Sponda e l’Altro mondo, «là ‘ve s’appunta ogni ubi e ogni quando» (Paradiso, 29: 12 e 22: 67).

Quaggiù, sotto il Sole, noi siamo sopraffatti dalle coppie: quaggiù «tutti gli esseri nel mondo emanato si muovono illusi dal miraggio delle coppie di contrari, le quali hanno origine dalle nostre simpatie e antipatie … ma coloro che si sono liberati dall’illusione delle coppie … liberati dalle coppie che vanno sotto il nome di bene e male, raggiungono il luogo dell’invariabilità» (Bhagavad Gîtâ, 7: 27-28, e 15: 5), vale a dire raggiungono il Picasso-donna-arancioluogo del ricongiungimento e della coincidenza dei contrari, passando fra o in mezzo a essi.

È quindi profondamente significativo che nella saga groenlandese, l’Eroe, nel suo cammino verso l’Altro mondo in cui troverà «vivo» il figlio «morto», non possa aggirare la coppia di iceberg (che sono «i leoni sul suo cammino»), perché «se li ritrova sempre davanti» per quanto lontano egli si spinga nelle altre direzioni.
Ed è inevitabile che sia così, perché i contrari hanno un’estensione indefinita, e quando anche potessimo ipotizzare un viaggio altrettanto indefinito fino al punto in cui «gli estremi s’incontrano», si tratterebbe sempre del punto d’incontro di entrambi gli estremi, e non sarebbe comunque possibile passare al di là o dentro per un punto che non sia quello in cui s’incontrano: un «punto» cardinale che non ha una posizione fissa, perché il limite fra i membri correlati di qualunque coppia di qualità opposte (per es. lungo e corto) si trova soltanto là dove noi lo poniamo; ed è privo di estensione, dato che è sempre lo stesso «limite» a unire e simultaneamente separare i contrari, a cui peraltro non appartiene.

Stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano.
(Matteo, 7: 14)

È per le stesse ragioni che il passaggio va compiuto «istantaneamente»: si tratta di passare dal mondo del tempo (cioè del passato e del futuro) a un Ora Eterno; e fra questi due mondi, temporale e atemporale, non vi è alcun contatto possibile se non nell’«istante senza durata» che per noi separa il passato dal futuro, ma che per gli Immortali abbraccia il tempo nella sua totalità.

È giunto finalmente il “momento” d’intendere le penetranti parole di Nicola Cusano nel De visione Dei (cap. 9): «Il muro del Paradiso in cui Tu, Signore, abiti, è costituito di proposizioni contraddittorie, né vi è modo alcuno di penetrarvi salvo per colui che ha vinto il sommo Spirito della Ragione che ne custodisce l’entrata», e di rammentare la promessa: «Al vincitore darò da mangiare dell’Albero della Vita, che sta nel mezzo del Paradiso di Dio» (Apocalisse di Giovanni, 2: 7).
In questa dottrina e in questa promessa viene riaffermato quel che da sempre è stato il significato delle Simplegadi e della Ricerca dell’Eroe: «Io sono la Porta» e «nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me».

(Coomaraswamy, Il grande brivido)