STRANIERO: Inseriremo, per così dire, un gioco nel nostro discorso: il gioco consiste nel servirci dapprima di una parte cospicua di un lungo mito, e poi, per il resto, come abbiamo già fatto prima, distingueremo una parte da un’altra, in modo da giungere al punto decisivo della nostra ricerca. Non è giusto così?
SOCRATE IL GIOVANE: Certamente.
STRANIERO: E allora presta attenzione al mio mito, come fanno i bambini: in fondo, non sono passati molti anni da che hai lasciato l’età dei giochi.
SOCRATE IL GIOVANE: Parla dunque.
STRANIERO: Fra gli antichi racconti era compreso una volta, e lo sarà ancora, assieme a molti altri, anche quello del prodigio avvenuto a proposito della lite sorta, si dice, fra Atreo e Tieste. Tu hai certamente sentito narrare da qualcuno e ricordi quel che dicono che accadde allora.
SOCRATE IL GIOVANE: Alludi forse al segno prodigioso rappresentato dall’agnello dal vello d’oro?
STRANIERO: Nient’affatto. Parlo invece dello scambio avvenuto fra il tramonto e il levar del sole e delle altre stelle; anticamente, si racconta, dove ora si levano, allora invece tramontavano, mentre sorgevano dalla parte opposta, e così fu fino a quando il dio [Zeus], per rendere testimonianza del suo favore ad Atreo, mutò il corso degli astri nella direzione attuale.
SOCRATE IL GIOVANE: In effetti si racconta anche questo.
STRANIERO: E, certo, da molti abbiamo udito parlare del regno che Kronos resse [fino a quel mutamento introdotto dal suo successore Zeus].
SOCRATE IL GIOVANE: Da moltissimi, direi.
STRANIERO: E del fatto che anticamente gli uomini nascevano dalla terra e non si generavano accoppiandosi [sessualmente] l’un l’altro?
SOCRATE IL GIOVANE: Anche questa è una delle antiche narrazioni.
STRANIERO: Tutte queste storie prodigiose [degli antichi Racconti] traggono origine da una stessa Fonte e, oltre a queste, anche innumerevoli altre e ancor più meravigliose di queste, ma per la quantità di tempo trascorsa alcune di esse sono andate perse, altre invece ci sono giunte in ordine sparso e oggi si narrano ciascuna separata da un’altra [= ciascuna dislocata in un diverso «romanzo»]. Ma nessuno finora ha posto in risalto l’evento che è all’origine di tutti questi racconti: cosa che invece noi dobbiamo fare e che ci sarà utile nelle nostre argomentazioni, se vogliamo dimostrare che cos’è il Re [in che cosa, cioè, l’Uomo «regale» si distingue dal comune Uomo «politico»].
SOCRATE IL GIOVANE: Dici benissimo. Parla dunque e non tralasciare nulla.
STRANIERO: Ascolta: questo nostro universo, ora è lo stesso dio che lo guida insieme nel cammino e lo segue nei suoi movimenti, ora invece lo lascia andare da solo, il che avviene quando i periodi di tempo fissati al suo andare ormai hanno avuto compimento ed esso ritorna ruotando indietro in direzione opposta, da solo; esso è infatti un essere vivente dotato d’intelligenza da chi lo ha costituito in principio. Questo ritornare all’indietro gli è necessariamente connaturato per la ragione che ora dirò.
SOCRATE IL GIOVANE: Per quale?
STRANIERO: L’essere sempre nelle identiche condizioni e sempre allo stesso modo, essere cioè sempre identico a se stesso è proprio soltanto della Realtà che più di tutto è divina, mentre la natura del corpo non appartiene a questo ordine. Ora, quello che noi abbiamo chiamato «cielo» e «cosmo» ha ricevuto da chi lo ha generato molti attributi divini, ma partecipa anche della natura del corpo: perciò gli è impossibile essere del tutto immune dal mutamento, anche se, per quanto gli è possibile, stando quanto più può identico a se stesso, si muove seguendo un unico e medesimo movimento, sempre nello stesso luogo. E se assume il moto del Ritorno Circolare, è proprio perché fra gli spostamenti dal suo proprio e primitivo movimento questo è il più piccolo. Solo che volgere da sé se stesso di moto circolare continuo, senza interruzione e mutamento, a nessuno è possibile fuorché a colui che presiede al movimento di tutto ciò che si muove: a costui, d’altra parte, è vietato muoversi ora in un senso, ora nel senso opposto. Da tutto ciò risulta che non dobbiamo affermare che il cosmo muova se stesso con moto circolare e continuo, ma neppure che, nella sua totalità, sia fatto ruotare dal dio in due direzioni opposte alternativamente, né ancora che a volgerlo siano due dèi con intenzioni opposte tra loro. Invece, come abbiamo detto dianzi, ed è l’unica possibilità che rimane, ora esso è guidato da una causa da esso diversa e divina, e allora riacquista così vita e riceve immortalità rinnovata dal suo artefice, ora invece, e cioè quando è abbandonato a se stesso, procede da solo, e allora questo suo abbandono da parte del dio gli permette di percorrere all’indietro un numero di rotazioni pari a molte decine di migliaia dato che, pur essendo il suo volume enorme ed equilibratissimo, esso si muove poggiando su un piede piccolissimo.
SOCRATE IL GIOVANE: Tutto quello che hai detto mi pare assai verosimile.
STRANIERO: Dalle cose che abbiamo appena detto, cerchiamo ora di comprendere l’evento di cui abbiamo affermato che è all’origine di tutti gli eventi prodigiosi [di cui narra il Mito Antico]. Ecco di cosa si tratta.
SOCRATE IL GIOVANE: Di cosa parli?
STRANIERO: Intendo per l’appunto il movimento circolare dell’universo che ora si svolge secondo il movimento attuale, ora nella direzione opposta.
SOCRATE IL GIOVANE: E qual è il nesso allora con quei miti?
STRANIERO: Si deve pensare che questa inversione di rotta [delle stelle] è, fra tutti i movimenti e gli scambi che avvengono nell’universo, quello più imponente e più completo.
SOCRATE IL GIOVANE: Almeno, così pare.
STRANIERO: Bisogna dunque rendersi conto che in tale circostanza [quando cioè le stelle invertono la loro epocale direzione di marcia] si verificano i massimi mutamenti anche in noi che abitiamo all’interno di quest’universo.
SOCRATE IL GIOVANE: Anche questo fatto mi pare verosimile.
STRANIERO: Non sappiamo forse che la natura degli esseri viventi sopporta di malanimo i mutamenti di grande portata, numerosi e della specie più varia?
SOCRATE IL GIOVANE: E come no?
STRANIERO: È allora necessità che in tale circostanza avvengano gli stermini più grandi degli altri animali, e così anche il genere umano sopravvive solo in un piccolo numero di suoi rappresentanti. Questi poi sono oggetto di molti altri nuovi e strani patimenti, ma il più grave e che si accompagna a questo rivolgimento dell’universo, dacché ha invertito la direzione del suo moto e ha preso il corso attuale, è proprio questo.
SOCRATE IL GIOVANE: Quale?
STRANIERO: In quella circostanza avvenne per prima cosa che subito si fermò l’età che ogni animale vivente aveva in quel momento, e ogni essere mortale cessò di avanzare verso la sua vecchiaia e l’acquisizione dei tratti distintivi di questa età, e mutando direzione in senso contrario divenne allora più giovane e più tenero: i capelli bianchi dei vecchi diventavano neri, le guance dei barbuti, rifacendosi lisce, riportavano ciascuno verso la primavera trascorsa, e i corpi dei giovani, diventando ogni giorno e ogni notte più lisci e più piccoli, ritornavano verso l’infanzia, finché divenuti nell’anima e nel corpo simili a bambini appena nati, si estinguevano fino a scomparire del tutto. D’altro canto, i cadaveri di chi in quel tempo moriva di morte violenta, essendo oggetto di questi stessi mutamenti, rapidamente scomparivano e in pochi giorni venivano annientati.
(Platone, Politico, 268d-271a)
***
Platone ci introduce così sul bordo del Mito del Vello d’oro.
Lo Straniero si raccomanda: qui la questione non verte espressamente, non subito perlomeno, non direttamente sul quod «prodigioso»: il Vello d’oro; ma concerne, per così dire, un altro «prodigio» ad esso abbinato.
Come a dire: caro navigante che ti aggiri per questi rebus, la questione è difficile, perciò non prenderla di petto, ché così non ne verrai a capo. Prova semmai a «lavorare» sulla cornice dell’enigma del Vello d’oro. Su una di quelle «stranezze» che di solito passano in secondo piano, offuscate come sono dalla folgorante maestà dell’Oggetto Misterioso.
Sulla cornice, dice Platone per bocca dello Straniero, troverai notizia di un altro «prodigio», non meno enigmatico: notizia di quell’inversione del corso degli astri, che il Mito racconta essere avvenuta per raddrizzare il torto patito da Atreo allorché Ermes gli fece dono di un agnello dal vello d’oro.
Accadde infatti che la di lui consorte, una tale Erope, che al caro Atreo faceva amabilmente le corna col di lui fratello, nonché suo cognato, Tieste (siamo pregati di non trascurare questo dettaglio), trafugò il Vello d’oro per farne dono all’amante. Il tradimento dell’adultera era, per così dire, irreversibile: il Vello sarebbe rimasto da allora e per sempre nelle mani di Tieste se Zeus, per testimoniare il suo favore ad Atreo, non avesse escogitato di mutare il corso degli astri, di modo che il Vello tornasse in mano al suo legittimo proprietario.
Quella seguita qui da Platone non è la versione più nota del Mito, quella cioè che fa capo alla tormentata storia delle peregrinazioni di Frisso ed Elle, e che dalla Micene di Atreo e Tieste ci porta dritto in Colchide. Qualcuno ha ipotizzato che Platone abbia adottato questa «variante» piuttosto rara, proprio e solo perché essa, a differenza dell’altra, serba ancora memoria della «catastrofe» celeste con cui Zeus mutò il corso degli astri. Memoria cioè di quell’«evento» che per Platone è la chiave per aprire lo scrigno del Mito.
Non si potrà però fare a meno di ricordare che anche nella versione, diciamo così, ufficiale, se ne può trovare una sia pur vaga traccia – là dove per inciso narra che una volta Eeta e sua sorella Circe si scambiarono il «regno»: lei dalla Aia di Colchide passò a quella d’Occidente, e viceversa Eeta andò a occupare il trono d’Oriente.
Ma, per favore, non attardiamoci su una simile questione, dal momento che della Fonte Antica di cui parla qui Platone si possono trovare molteplici resti – e li troveremo, seguendo la rotta tracciata dalla sapienza di Lévi-Strauss. Li troveremo, eccome se li troveremo, niente poco di meno che, in Sudamerica – altro che Micene e la Colchide del Vicino Oriente.
La Fonte è assai più antica di quello che lo stesso Platone poteva immaginare.
Per l’intanto, sarà bene soffermarsi su alcune dichiarazioni che non dovettero certo sfuggire alla lettura «lenta» di Nietzsche, allorché elaborò la sua idea dell’Eterno Ritorno.
Penso, per es., all’insistenza con cui Platone allude al «ritornare» periodico della Realtà (divina) sui suoi stessi passi, ma soprattutto penso a quell’«essere identico sempre a se stesso», a quel «tornare» sempre a se stesso, che lui dice qui essere proprio ed esclusivo della Realtà (divina), e della cui «freschezza» il nostro universo «partecipa» solo quando ha esaurito il suo libero andare per conto suo.
Allora, il nostro universo (non solo le stelle, ma anche noi che – come dice Platone – abitiamo sotto questo «cielo») ritorna là. Ritorna là dove la Realtà (divina) torna a imporgli la sua direzione, là dove torna ad assoggettarlo al suo dominio. Al diktat, direbbe qui Deleuze, della sua Differenza.
Solo allora, stando a quel che dice Platone, il nostro mondo (esteriore ed interiore) riacquista vita reale. Solo allora esso si «realizza»: quando il dio gli inietta una «rinnovata immortalità». Quando gli rinnova la sua dimensione «eterna» sottraendolo (grande è l’oblio!) a tutte le sue illusioni «temporali».
Fino ad allora perciò – fino alla prossima catastrofe – ci toccherà fare, peggio dei dervisci, mille e mille rotazioni su noi stessi. Fino alle vertigini.
Lo so, immagino, mio caro compagno di viaggio, cosa stai pensando: che queste sono tutte sciocchezze.
Ma, vedi, lo Straniero l’ha detto in anticipo a Socrate il Giovane e vale, credo, anche per noi. Gli ha detto: fammi la cortesia, presta al mio racconto la stessa ingenuità d’ascolto che alle favole presta un bambino.
E io mi permetto di aggiungere solo questa postilla: che eravamo bambini, piccoli e ingenui, allorché passammo le Simplegadi, e dalla Colchide venimmo a pascolare sotto questo «cielo», qui – nell’esilio, come dice il Poeta, dell’Estremo Occidente. Perciò solo rimbambendo – alla lettera – possiamo avere qualche chance di ripassare per la Soglia – di introdurci, come dice il Filosofo, di nuovo nel nostro Inizio.
Conosci forse una scorciatoia?