Il motivo della testa che rotola occupa un posto importante nella mitologia andina, e possiamo seguire la sua diffusione meridionale dai Tacana della Bolivia orientale fino alla Terra del Fuoco. Tuttavia, a partire dai Tacana la triplice connessione che ci interessa comincia a confondersi.
Il motivo della testa tagliata si separa dagli altri due, che riguardano l’origine della luna e un atteggiamento smodato nei confronti del matrimonio: atteggiamento che si traduce positivamente nell’incesto o negativamente nel celibato.
I Tacana invece preferiscono credere che esista un intero popolo di teste cannibali /tijui/ nelle quali si trasformano i cacciatori che hanno trovato la morte cadendo dall’alto di un albero, o come vittime delle scimmie. Talvolta le teste tagliate danno origine alla palma o chonta, i cui frutti somigliano a teste chiomate e servono da nutrimento ai pesci; poi, gettate «all’estremità del mondo», esse diventano una stella visibile al mattino.
Tale disgiunzione stella // pesci rinvia all’America settentrionale, nei cui racconti il marito della donna decapitata diviene una stella, mentre la testa tagliata, dapprima cannibale, si trasforma in seguito o in una delle Pleiadi, o in storione, in beluga, in white fish, oppure anche nelle uova di questi pesci.
D’altra parte, una versione cavina (i Cavina sono vicini ai Tacana) attribuisce l’origine della testa che rotola, diventata più tardi una meteora, a un auto-smembramento – forma, questa, documentata anche nel nord-ovest dell’America settentrionale, dalla California al corso superiore del fiume Columbia.
Un’area ancora più vasta, che include la precedente, fa derivare la storia della testa che rotola da quella dell’animale seduttore. Qui la donna che prende per amante un animale presenta un’immagine simmetrica a quella di Monmaneki, ovvero di un uomo che prende per sposa un animale femmina.
Noteremo infine che un mito Arawak della Guayana appartenente al ciclo mitico panamericano dell’orco ucciso col pretesto di farlo diventare più bello, fa nascere i nottoloni dal cervello schizzato da una testa scoppiata.
Ora, gli Algonchini centrali e occidentali e parecchi dei loro vicini verso sud conoscono un mito in cui il nottolone fa scoppiare con la violenza dei suoi peti un masso che rotola, omologo sia della testa che rotola sia della donna-rampone.
Ciò non deve sorprendere, perché in America il nottolone è un simbolo dell’avidità orale e può dunque assumere qui il comportamento inverso rispetto alla ritenzione anale. Parimenti, la testa che rotola, trasformazione di una donna coureuse [che corre appresso ai maschi] nei miti nordamericani, inverte il personaggio della donna-rampone: essa stessa trasformazione della sposa di un uomo che, secondo i casi e le regioni, si mostra o troppo o non abbastanza coureur [donnaiolo].
Di conseguenza, è fuor di dubbio che un periplo intorno all’America, dal Circolo Polare alla Terra del Fuoco, ci permetterebbe di offrire, relativamente a tutti i miti sulla «testa che rotola», una interpretazione generalizzata in cui prenderebbero posto senza difficoltà i miti da noi scelti per la nostra indagine e provenienti da un’area molto più ristretta, che va dai Tembé ai Cashinawa.
Forse un giorno inizieremo questo lungo viaggio. Per il momento, preferiamo isolare il sottogruppo in cui i tre motivi della testa che rotola, dell’unione riprovevole (o del rifiuto, non meno riprovevole, di qualsiasi unione) e dell’origine della luna sono chiaramente associati.
I due miti Cashinawa sull’origine della luna, invece di un uomo che, come Monmaneki nel mito Tukuna, cerca il matrimonio o troppo lontano [nozze esogamiche] o troppo vicino [nozze endogamiche], mettono in scena un uomo oppure una donna: l’uomo si comporta da viaggiatore troppo fiducioso, che tratta i nemici come se fossero suoi alleati [accetta addirittura l’invito ad entrare nella loro casa], mentre la donna si mostra casalinga e troppo diffidente: si dispera per essere stata cacciata di casa ma, rifiutando il matrimonio (che, presso i Cashinawa, unisce normalmente cugini incrociati), essa tratta da nemici i congiunti che potrebbero diventare suoi alleati.
Interpretate così, le due principali versioni Cashinawa vengono a situarsi alle estremità rispettivamente maschile e femminile di un asse (che per convenzione tracceremo orizzontale) il quale, pur opponendoli, unisce il comportamento troppo fiducioso di un uomo che possiamo supporre sposato (infatti prende delle vettovaglie per portarle ai suoi) e quello, troppo scontroso, di una ragazza che rifiuta di sposarsi. Dunque, su quest’asse, l’opposizione dei sessi è pertinente.
Ugualmente pertinente, quella del comportamento si definisce per difetto: per sfuggire a una sorte identica, la vergine scontrosa avrebbe dovuto mostrarsi più fiduciosa, mentre il visitatore fiducioso avrebbe dovuto mostrarsi più scontroso.
Ora, fra i Tukuna esiste un mito che si oppone a quello di Monmaneki allo stesso modo in cui le due versioni Cashinawa si oppongono tra loro: i due miti Tukuna si situano dunque alle estremità di un asse perpendicolare al precedente.
Questo mito ha come eroe un fratello incestuoso: appartenente allo stesso sesso del marito avventuroso, Monmaneki, ma diverso da lui per un comportamento il cui carattere abusivo si manifesta in senso opposto: infatti assegna alle sue imprese amorose un obiettivo unico e situato troppo vicino (la propria sorella, al di qua del gruppo sociale), mentre Monmaneki ha di mira obiettivi molteplici e troppo lontani (spose animali, al di là dell’umanità stessa).
Su questo nuovo asse, l’opposizione dei sessi non è più pertinente. Quello degli atteggiamenti rimane invece pertinente, benché essi si definiscano ora per eccesso e non per difetto. […]
Definiti secondo un numero ristretto di opposizioni (maschio o femmina), relazioni (vicina o lontana), atteggiamenti (scontroso o fiducioso) intesi per difetto o per eccesso, vari miti si organizzano quindi in gruppo chiuso.
Questo però non ci deve far trascurare il fatto che, considerati sotto altre prospettive, essi rimangono dispiegati in un iper-spazio [il Racconto, il Mito] nel quale figurano anche altri miti e, inoltre, che l’analisi precedente non esaurisce le loro proprietà.
Se i miti Cashinawa rientrano nello stesso paradigma sociologico di quelli Tukuna, entrambi rientrano al tempo stesso nel paradigma anatomico del corpo dimezzato.
Questi miti attribuiscono l’origine di certe costellazioni – Orione, Iadi e Pleiadi – a uno smembramento corporeo. I miti Cashinawa spiegano in maniera analoga l’origine della luna, dell’arcobaleno e delle stelle in generale, invece di limitarsi a costellazioni particolari. Ecco perché cambia anche la formula dello smembramento.
Vediamo dunque persistere un significativo parallelismo fra tre suddivisioni: quella sociologica che definisce e delimita le categorie del vicino e del lontano; quella astronomica che isola o raggruppa fenomeni diurni e notturni; e infine quella anatomica che opera una scelta fra diverse maniere di smembrare il corpo umano.
L’insieme mitico col quale abbiamo a che fare illustra dunque, con altrettanti esempi, diverse modalità di una triplice trasformazione che possiamo analizzare secondo due prospettive: una binaria, l’altra analogica.
Dal punto di vista binario, stabiliremo che gli occhi sono una variante metonimica della testa (che li contiene) e la gamba lo è dell’arto inferiore (di cui fa parte). Questa semplificazione ci permetterà di trascurare provvisoriamente la trasformazione che interessa gli occhi (che sono come la testa in piccolo) e, nel gruppo di miti sull’origine di Orione, di non tener conto del fatto che una stessa trasformazione interessa ora un arto inferiore fino all’anca (talvolta compresa), ora la sola gamba (che è come l’arto inferiore, ma in piccolo). Appoggiandoci sui miti Cashinawa, classificheremo la lunga scia di sangue sparso in cielo [da cui sorge l’arcobaleno] nella categoria dei «corpi allungati».
Rispetto alla prima disgiunzione: (coscia + gamba) // viscere, che interessa la parte inferiore del corpo, e alla seconda disgiunzione (testa + occhi) // sangue, che interessa la parte superiore, quella da cui risulta la Chioma di Berenice illustra una formula mista: divide in due il personaggio all’altezza della vita, cioè nel mezzo.
Da questa osservazione appare evidente che il ciclo delle trasformazioni può essere interpretato anche in maniera analogica, spostando progressivamente il piano del taglio dal basso fino all’alto.
A un polo del gruppo, la gamba (o la coscia) tagliata e le viscere sparse genereranno allora Orione e le Pleiadi, costellazioni annunciatrici [della stagione] dei pesci. Il personaggio diviso in due all’altezza della vita diventerà, quanto alla metà inferiore: pesci, nutrimento dei pesci, o neutro sotto il profilo della pesca. La metà superiore diventerà mezzo negativo o positivo di questa stessa pesca.
Continuiamo verso l’alto: la testa tagliata (vorace o cannibale) riesce oppure non riesce ad aderire. In caso affermativo [la donna appiccicosa], essa costituisce una forma limite della donna-tronco e riveste, come quest’ultima, la funzione di rampone. In caso negativo, la testa tagliata e il sangue sparso, definitivamente isolati dal loro supporto, genereranno la luna e l’arcobaleno – due esseri «celesti», di cui il primo provoca le mestruazioni e la procreazione (vita), il secondo eventi non meno sanguinosi ma di tutt’altro tipo (morte); infatti i Cashinawa, che sono qui in causa, chiamano l’arcobaleno «sentiero dei nemici» [o, come diciamo noi, «sentiero di guerra»]. […]
Un gruppo sociale in cui si trasgrediscono le regoli normali dell’imparentamento per praticare l’incesto o le unioni bestiali, e in cui le ragazze o i ragazzi insistono nel rimanere nubili o scapoli, non può far ricorso altro che alla guerra per regolare i suoi rapporti con gli stranieri. Anche i suoi rapporti con la natura si manifesteranno attraverso eccessi nella caccia o nella pesca paragonabili a quelli della guerra.
Trattando la selvaggina come se fosse un nemico e abusando dunque delle risorse naturali, i cacciatori si renderanno colpevoli di un rifiuto della periodicità: quella periodicità stagionale che, a condizione che non la si ignori, assicura il ritorno autunnale del pesce o della selvaggina.
Certo, essa implica già una privazione, perché non sarebbe inconcepibile, anzi sarebbe auspicabile, che il cibo fosse disponibile in abbondanza da un capo all’altro dell’anno. Si capisce dunque perché i miti vedano in essa la conseguenza di una colpa, ossia l’abuso dell’imparentamento, che però presuppone l’imparentamento stesso e presenta perciò un inconveniente meno grave del suo rifiuto.
Nei miti, le costellazioni nascono o risultano da unioni matrimoniali umane, ottenute con l’inganno o sovvertite da un atto di tradimento: furto o adulterio spesso imputabili a un personaggio in soprannumero, fratello del marito, sorella o madre della moglie.
Quanto al sole e alla luna, essi sono nati da unioni inumane o giudicate tali: si tratti dell’incesto, che è «contro cultura», o dall’unione con un animale, che è contro natura; ma i miti sudamericani mettono generalmente queste unioni all’origine dei pesci o del veleno da pesca, mezzo per la cattura dei pesci di cui il sole e la luna sono i signori, e di cui le costellazioni di Orione e delle Pleiadi annunciano l’arrivo. È per questa via, quindi, che il gruppo si richiude.
Risulta che l’unione matrimoniale fra la luna e un essere umano, o fra la luna e il sole per inversione della formula incestuosa, si situa, per i miti, all’estremo limite del possibile: questa congiunzione richiede infatti un allungamento smisurato del pene dell’uomo se la luna è femmina, oppure, se la luna è maschio, fa nascere un bambino miracoloso, di cui però si potrebbe quasi dire che, per il suo temperamento acceso e incline all’esplorazione, personifica un lungo pene.
Affrontando lo studio dei miti lunari del nord-ovest dell’America settentrionale e della regione guayano-amazzonica, si potrebbe parimenti dimostrare che la luna femmina è una rapitrice di bambini (trasformazione della donna-rampone), mentre la luna maschio è un bambino rapito dalle «ragazze-uova-di-pesce» (milt-girls).
Queste ultime trasformano il «marito di legno» di certi miti guayanesi: padre di un bambino rubato da una rana, il ruolo della quale, nelle versioni Salish, è svolto appunto dalle milt-girls.
Spesso ermafrodito, quando addirittura non cambia sesso, la luna serve così da cattivo conduttore a una mitologia dell’ambiguità. Il sole le è troppo vicino perché i due astri si possano unire senza commettere una colpa, ma l’uomo è troppo lontano perché la sua unione a distanza non lo esponga egualmente a dei pericoli.
L’astro notturno oscilla perpetuamente fra le due formule di un’inerzia sociale o di una curiosità avida di esotismo. Ma queste due formule, considerate secondo l’angolo visuale dei rapporti fra i sessi, non lasciano altra scelta che l’incesto o la dissolutezza.
Ognuna di queste colpe, diversamente gravi, corrisponde dunque a un accorciamento del ciclo della periodicità. Ciò sarebbe incomprensibile se l’unione pervertita non alterasse una periodicità spaziale che, sul piano sociologico, costituisce l’equivalente della periodicità temporale propria dei fenomeni astronomici.
Nella sua ricerca di un coniuge, un essere umano può andare troppo vicino o troppo lontano. E il ritorno periodico di questo o quel corpo celeste, a seconda che si produca ogni anno, ogni mese o ogni giorno, permette di rappresentare i valori fluttuanti dell’endogamia e dell’esogamia secondo un modello appropriato.
L’abuso dell’unione matrimoniale si oppone al suo rifiuto, così come le costellazioni stagionali si oppongono alla luna: le fasi di quest’ultima sono infatti mensili, mentre la sua presenza o assenza, che si alternano con quelle del sole, riflettono la forma più breve di periodicità (in questo senso «incestuosa») che sia dato osservare: quella del giorno e della notte.
I miti Cashinawa avvicinano espressamente questi due modi brevi della periodicità: quando fa la sua prima apparizione, la luna provoca nelle donne perdite mensili di sangue; e, a seconda che sia nuova o piena al momento del concepimento, lo sperma maschile o il sangue femminile si coaguleranno nella matrice e i bambini nasceranno con la pelle chiara come il giorno, o scura come la notte.
(Lévi-Strauss, L’origine delle buone maniere a tavola)