Una volta c’era marito e moglie, gran signori. Avrebbero voluto un figliolo, e non ne avevano. Un giorno, quel signore era per via e incontra un Mago.
«Signor Mago, m’insegni un po’ – gli dice – come posso fare ad avere un figlio?».
Il Mago gli dà una mela e dice: «La faccia mangiare a sua moglie e in capo a nove mesi le nascerà un bel bambino».
Il marito torna a casa con la mela e la dà a sua moglie: «Mangia questa mela e avremo un bel bambino: me l’ha detto un Mago».
La moglie tutta contenta chiamò la fantesca e le disse che le sbucciasse la mela. La fantesca gliela sbucciò e si tenne le scorze: e poi se le mangiò.
Nacque un figlio alla padrona e lo stesso giorno nacque un figlio alla fantesca: quello della fantesca bianco e rosso come una buccia di mela, e quello della padrona bianco bianco come una polpa di mela. Il padrone li tenne tutt’e due come suoi figli, li fece allevare insieme e andare a scuola.
Pomo e Scorzo, diventati grandi, si volevano bene come fratelli. Un giorno, andando a spasso, sentono dire della figlia d’un Mago, bella, bella come il sole; ma che nessuno l’aveva mai vista perché non usciva mai e non s’affacciava neanche alla finestra.
Pomo e Scorzo, allora, si fecero fare un gran cavallo di bronzo con la pancia vuota e ci si nascosero dentro con una tromba e un violino. Il cavallo camminava da solo perché loro muovevano le ruote, e così andarono sotto il palazzo del Mago e si misero a suonare.
Il Mago s’affaccia, vede quel cavallo di bronzo che suona da solo e lo fa entrare in caso perché sua figlia si diverta.
La figlia si divertì molto, ma quando, rimasta sola col cavallo di bronzo, ne vide uscire fuori Pomo e Scorzo, fu tutta spaventata.
«Non abbia paura – dissero Pomo e Scorzo – siamo venuti per vedere quant’è bella, e se lei vuole che ce n’andiamo subito, andiamo. Se invece la nostra musica le piace e vuole che restiamo un po’ a suonare, poi rientreremo nel nostro cavallo e lo faremo uscire senza che nessuno s’accorga che ci siamo dentro».
Così restarono a suonare e a divertirsi, e alla fine la figlia del Mago non voleva più lasciarli andare.
«Se vuole venire via con me – le disse Pomo – sarà la mia sposa».
La figlia del Mago rispose di sì; si nascosero tutt’e tre nella pancia del cavallo, e via.
Appena erano usciti, rincasa il Mago, chiama la figlia, la cerca, domanda al guardaportone: niente. Allora comprese che c’era stato un tradimento, s’infuriò, s’invelenì, s’affacciò al balcone e lanciò contro sua figlia tre sentenze: «Che abbia da trovare tre cavalli, uno bianco uno rosso uno nero, e lei che le piacciono i cavalli bianchi, abbia da saltare sul bianco e questo sia il cavallo che la tradirà. Se no: che abbia da trovare tre cagnolini, uno bianco uno rosso uno nero, e lei che le piacciono i cagnolini neri, abbia a prendere in braccio il nero, e questo sia il cane che la tradirà. Se no: che quella notte che andrà a dormire col suo sposo, un biscione abbia da entrare dalla finestra, e questo sia il biscione che la tradirà».
Mentre il Mago lanciava queste tre sentenze dal balcone, per la via lì sotto passavano tre vecchie Fate, e sentirono tutto quanto.
La sera, le Fate, stanche dal lungo viaggio, si fermarono a un’osteria, e appena entrare una di loro disse: «Guarda dov’è la figlia del Mago! Se sapesse le tre sentenze che le ha mandato il padre, non dormirebbe così tranquilla!».
Infatti, addormentati su una panca dell’osteria c’erano Pomo, Scorzo e la figlia del Mago. A dire la verità, Scorzo non era proprio addormentato, sia perché non riusciva a prendere sonno, sia perché sapeva che è sempre meglio dormire con un occhio solo. E sentiva tutto.
Così sentì una Fata dire: «Il Mago le ha augurato che abbia da incontrare tre cavalli, uno bianco uno rosso e uno nero, e lei abbia da saltare in groppa al bianco, che sarà quello che la tradirà».
«Però – aggiunse l’altra Fata – se ci fosse qualcuno accorto, taglierebbe subito la testa al cavallo, e non succederebbe niente».
E la terza Fata aggiunse: «E se qualcuno lo racconterà, pietra di marmo diventerà».
«Poi il Mago le ha augurato – disse la prima Fata – che abbia da trovare tre cagnolini, e lei vorrà prenderne uno in braccio e questo sarà quello che la dovrà tradire».
«Ma – disse la seconda Fata – se ci fosse qualcuno accorto, taglierebbe subito la testa al cagnolino, e non succederebbe niente».
«E se qualcuno lo racconterà, pietra di marmo diventerà», disse la terza.
«Poi le ha augurato che la prima notte che dormirà col suo sposo, dalla finestra entrerà un biscione, e questo sarà il biscione che la tradirà».
«Ma se ci fosse qualcuno accorto, taglierebbe la testa del biscione, e non succederebbe niente», disse la seconda Fata.
«E se qualcuno lo racconterà, pietra di marmo diventerà».
Scorzo si trovò così con quei tre terribili segreti, che non poteva dire, se non voleva diventare di marmo.
L’indomani ripartirono e arrivarono a una stazione di posta, dove il padre di Pomo aveva fatto mandare loro incontro tre cavalli: uno bianco, uno rosso e uno nero.
La figlia del Mago saltò subito in sella al bianco, ma Scorzo sguainò pronto la spada e tagliò la testa al cavallo.
«Che fai? sei pazzo?».
«Perdonatemi, non ve lo posso dire».
«Pomo, questo Scorzo è un giovane di cuore cattivo! – disse la figlia del Mago. – Non voglio continuare più il viaggio con lui».
Ma Scorzo le disse d’aver tagliato la testa al cavallo in un momento in cui aveva perso la ragione, e le chiese perdono, e lei finì per perdonarlo.
Arrivano a casa dei genitori di Pomo e le corrono incontro tre cagnolini: uno bianco, uno rosso e uno nero. Lei fa per prendere il braccio quello nero, ma Scorzo trae la spada e gli taglia la testa.
«Che vada subito via da noi, quest’uomo matto e crudele!», grida la sposa.
In quella arrivano i genitori di Pomo e fecero tante feste al figlio e alla sposa, e saputo della lite con Scorzo, tanto dissero che la persuadettero a perdonargli ancora.
Ma a pranzo, nell’allegria generale, solo Scorzo se ne stava pensieroso in disparte e nessuno riusciva a fargli dire quale pensiero l’opprimesse: «Non ho niente, non ho niente», diceva, però si ritirò prima degli altri, dicendo d’aver sonno. Ma invece di andare in camera sua, entrò nella camera degli sposi e si nascose sotto il letto.
Gli sposi vanno a letto e s’addormentano. Scorzo veglia, sente rompere i vetri e vede entrare in camera un biscione enorme, allora salta fuori, snuda la spada e gli taglia la testa.
La sposa a quel fracasso si sveglia, vede Scorzo davanti al letto con la spada sguainata, non vede il biscione che è già sparito, e grida: «All’assassino! All’assassino! Scorzo ci vuole ammazzare! Già due volte l’ho perdonato, che questa volta la paghi con la morte».
Scorzo vien preso, imprigionato, e dopo tre giorni lo vestono per l’impiccagione. Morto per morto, domanda la grazia di poter dire tre parole alla sposa di Pomo prima di morire. La sposa va a trovarlo in prigione.
«Si ricorda – dice Scorzo – quando ci siamo fermati a un’osteria?».
«Sì che mi ricordo».
«Ebbene, mentre lei e il suo sposo dormivano, sono entrate tre Fate e hanno detto che il Mago aveva dato tre maledizioni a sua figlia: di trovare tre cavalli e salire sul cavallo bianco, e che il cavallo bianco l’avrebbe tradita. Ma, hanno detto, se ci fosse stato uno pronto a tagliare la testa al cavallo, non sarebbe successo niente; e che chi la racconterà, pietra di marmo diventerà».
Dicendo queste parole, al povero Scorzo erano venuti i piedi e le gambe di marmo.
La giovane capì: «Basta, basta per carità! – gridò. – Non raccontarmi altro!».
E lui: «Morto per morto, voglio che si sappia. Le tre Fate hanno anche detto ce la figlia del Mago avrebbe trovato tre cagnolini …».
Le disse la maledizione dei cagnolini, e diventò di pietra fino al collo.
«Ho capito! Povero Scorzo, perdonami! Non raccontare più!», diceva la sposa.
Ma lui con un fil di voce perché aveva già la gola di marmo, e balbettando perché gli diventano di marmo le mascelle, le disse della maledizione del biscione.
«Ma … chi lo racconterà … di marmo diventerà …».
E tacque, di marmo dalla testa ai piedi.
«Cos’ho mai fatto! – si disperava la sposa. – Quest’anima fedele è condannata … a meno che … certo, chi può salvarlo è solo mio padre», e presa carta penna e calamaio, scrisse una lettera a suo padre, chiedendogli perdono e scongiurandolo di venire a trovarla.
Il Mago, che non vedeva che per gli occhi della figlia, arriva coi cavalli al galoppo.
«Papà mio – gli dice la figlia abbracciandolo – ti domando una grazia! Guarda questo povero giovane di marmo! Per salvarmi la vita dalle tue tre maledizioni è diventato di marmo dalla testa ai piedi».
E il Mago, sospirando: «Per l’amore che ho per te – disse – farò anche questo».
Trasse di tasca una boccetta di balsamo, diede una spennellata a Scorzo e Scorzo saltò su di carne e ossa come prima.
Così, invece d’accompagnarlo alla forca, l’accompagnarono a casa in trionfo, con musiche e canti, in mezzo a tutto un gran popolo che gridava: viva Scorzo! viva Scorzo!
(Calvino, Fiabe italiane: 33)