L’enorme difficoltà a tradurre il Segreto del fiore d’oro o altri testi simili nello spirito europeo risiede nel fatto che il loro autore cinese inizia sempre dalla parte centrale, cioè da quello che noi chiameremmo il culmine, il traguardo o il giudizio conclusivo e più profondo; si tratta quindi di un’impresa così difficile che una persona di mente critica, che dovesse arrischiare un discorso intellettuale sulla sottile esperienza psichica delle menti più eccelse d’Oriente, avrebbe l’impressione o di parlare con ridicola presunzione, o addirittura di dire cose senza senso.
Così inizia il nostro testo: «Ciò che esiste per se stesso è detto Tao», e il Hiu Ming Ching si apre con queste parole: «Il più sottile segreto del Tao sono l’essere e la vita».
È caratteristico dello spirito occidentale non possedere nessun concetto corrispondente a quello di Tao. L’ideogramma cinese è composto dai segni «testa» e «andare». Wilhelm traduce Tao con «senso», altri traducono con «via», «providence» e perfino, come fanno i gesuiti, con «Dio». Questo ci dà già un’idea della nostra confusione.
La «testa» potrebbe alludere alla coscienza, l’«andare» al «percorrere una via» e il concetto significherebbe quindi «attuare consapevolmente», o «via cosciente». Con ciò concorda il fatto che come sinonimo di Tao s’impieghi la «luce del cielo», che «dimora tra gli occhi» come «cuore celeste».
L’essere e la vita sono contenuti nella luce del cielo, e Liu Hua Yang li considera i segreti più importanti del Tao. Ora, la «luce» è l’equivalente simbolico della coscienza, e la natura della coscienza viene espressa da analogie con la luce. […]
Se consideriamo il Tao come un metodo o una via consapevole, che deve riunire ciò che era diviso [coscienza e vita], ci avviciniamo probabilmente al contenuto psicologico del concetto. Ad ogni modo con separazione tra coscienza e vita non si può intendere null’altro che la conseguenza di una deviazione o di uno sradicamento della coscienza. Non c’è dubbio neppure che la presa di coscienza dell’opposto, ossia il processo del «rovesciamento», significhi un ricongiungimento con le leggi inconsce della vita, e che questo congiungimento miri al conseguimento di una vita consapevole o, per dirlo in termini cinesi, alla realizzazione del Tao. […]
Il nostro testo promette di «svelare il segreto del fiore d’oro del grande Uno». Il fiore d’oro è la luce, e la luce del cielo è il Tao. Il fiore d’oro è un simbolo-mandala che viene disegnato o dall’alto, cioè come un regolare ornamento geometrico, oppure anche in prospettiva come fiore che cresce da una pianta.
La pianta è di frequente un’immagine dai colori rutilanti e infuocati che emerge da uno sfondo oscuro, e reca in cima un fiore di luce (un simbolo simile all’albero di Natale). In tale disegno è espressa allo stesso tempo l’origine del fiore d’oro, in quanto – secondo il Hui Ming Ching – la «vescica germinale» altro non è che il «castello giallo», il «cuore celeste», la «terrazza della vitalità», il «campo grande un pollice della casa grande un piede», la «sala purpurea della città di giada», il «passo oscuro», lo «spazio dell’antico cielo» e il «castello del drago sul fondo del mare». Essa è anche chiamata la «frontiera dei monti nevosi», il «passo originario», il «regno della suprema gioia», il «paese senza confini», e l’«altare su cui si formano coscienza e vita».
«Chi muore senza conoscere questo punto germinale – dice il Hui Ming Ching – non troverà l’unità di coscienza e vita neppure in mille nascite, né in diecimila eoni».
L’inizio in cui tutto è ancora Uno, e che perciò appare anche come la meta più alta, riposa sul fondo del mare, nell’oscurità dell’inconscio.
Nella vescica germinale [del fiore] coscienza e vita (o «essere» e «vita»: hsing-ming) costituiscono ancora un’unità, «inseparabilmente fuse come la scintilla del fuoco nel crogiuolo della purificazione».
«All’interno della vescica germinale c’è il fuoco del sovrano … tutti i saggi hanno cominciato la loro opera dalla vescica germinale». […]
L’unità di coscienza e vita è il Tao, il cui simbolo sarebbe la luce bianca del centro (analoga a quella del Bardo Tödöl). Questa luce dimora nel «pollice quadrato», o nel «volto», cioè tra gli occhi.
È una visualizzazione del «punto creativo», di un’intensità senza estensione, pensata in unione con lo spazio del «pollice quadrato», simbolo dell’estensione. I due insieme costituiscono il Tao.
Essere (hsing) e coscienza (hui) sono espressi col simbolismo della luce, e possiedono quindi intensità, mentre la vita (ming) coinciderebbe con l’estensione. Il primo ha carattere yang, la seconda yin. […]
Quando la ruota inizia a girare, quando cioè il sole si mette in movimento e inizia il suo corso, il Tao inizia ad agire e ad assumere la guida. L’agire si tramuta in non-agire, cioè tutto ciò che è periferico [inscritto nella cornice dei petali del fiore d’oro] deve sottostare all’ordine del centro. [Tutto ciò che si estende al di fuori del germe deve assecondare la tensione verso l’interno del germe stesso]. Perciò si dice: «movimento è solo un altro nome per governo».
Dal punto di vista psicologico questa «circolazione» consisterebbe in un «girare in cerchio attorno a se stessi», così da coinvolgere tutti i lati della propria personalità. «I poli della luce e dell’oscurità di pongono in movimento circolare», nasce cioè l’alternanza di giorno e notte: «si muta lume di paradiso in tetra notte profondissima». [La notte sarà nera e bianca].
Il movimento circolare ha quindi anche il significato morale di animazione di tutte le forze chiare e oscure dell’umana natura, e di conseguenza, di tutti gli opposti archetipici, di qualsiasi natura possano essere.
Questo non significa altro che autoconoscenza mediante un’incubazione di se stessi (l’indiano tapas).
Un’analoga rappresentazione archetipica dell’essere umano perfetto è quella dell’uomo platonico completamente sferico, che unifica in sé anche i due sessi. […]
La volontà cosciente non può raggiungere una tale unità simbolica, poiché la coscienza diventa in questo caso parte in causa. Il suo avversario è l’inconscio collettivo, che non comprende il linguaggio della coscienza.
Perciò è necessario il simbolo, che agisce «magicamente» e che contiene quel primitivo analogismo che parla all’inconscio. Solo attraverso il simbolo è possibile raggiungere ed esprimere l’inconscio; per questo anche il processo di individuazione non può mai fare a meno del simbolo.
Il simbolo è, da un lato, l’espressione primitiva dell’inconscio, ma dall’altro è un’idea che corrisponde all’intuizione più profonda della coscienza.
Il più antico mandala a me noto è una cosiddetta «ruota solare» paleolitica, scoperta di recente in Rhodesia. Cose che hanno radici così lontane nella storia dell’umanità, toccano naturalmente gli strati più profondi dell’inconscio e hanno la capacità di fare presa su di esso, là dove il linguaggio cosciente si rivela completamente impotente.
Tali cose non devono essere inventate, ma riemergere nuovamente dall’oscura profondità dell’oblio per esprimere il massimo presentimento della coscienza e la suprema intuizione dello spirito, e così fondere l’unicità della coscienza del presente col più remoto passato della vita.
(Jung, Commento al «Segreto del fiore d’oro»)
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Voglio solo aggiungere un petalo, macché solo un devoto piè di pagina alle spiegazioni del Maestro.
Voglio dire solo questo: che i due segni (testa e andare) che insieme formano l’ideogramma detto Tao, ammettono anche un’altra interpretazione, poco dotta e molto popolare (la ritroviamo nei mille racconti della «testa che rotola» per il mondo).
Il Tao è chiuso nel suo «essere per Sé», nel suo avere a che fare solo con se stesso, e a disporre solo di se stesso – finché la Testa non si scoppia dal resto del corpo per «andare» all’avventura nel mondo e, se il caso lo richiede, ben volentieri finanche sulla luna.
In quanto chiuso in Sé, il Tao è sconosciuto. E per significarlo, non abbiamo che questo solo ideogramma, quest’unico segno.
Tutti gli altri (Jung ne dà qui un elenco) sono sinonimi, ai quali ricorriamo per significare i petali del fiore d’oro. Il Tao, però, è il «germe». E i petali sono i segni e i concetti di cui ci serviamo per «sviluppare» in estensione una conoscenza dello Sconosciuto che intanto continua a essere «avviluppato» nella unicità del suo mistero.
I sinonimi (fiore d’oro, castello giallo, sala purpurea e quant’altro) fanno cornice al «germe», costruiscono sapienza intorno a un’ignoranza. Fanno di tutto per circuirla. Ci girano attorno … ma non toccano mai il cuore della questione.
Dunque: l’ideogramma «testa rotolante» se in cinese si legge Tao, in francese è Roland, in lingua pellerossa Ragazzo di Pietra, in arabo Sindbad. E questo è quanto ho sentito dire in giro per il mondo dei racconti.
Perciò quando, tra un sigaro e l’altro, filosofeggiando dalla cattedra il Maestro ha suggerito di tradurlo «vita cosciente» a beneficio dei suoi alunni in camice bianco, è stato più forte di me: mi sono dovuto alzare in piedi e fare la mia figuraccia d’intruso.
«No – ho detto – in italiano c’è già la traduzione, e non capisco perché vi accanite a non prenderla in considerazione. In italiano Collodi l’ha tradotta, e l’ideogramma si legge Volpe Paralitica».
Hanno capito che stavo pazziando, e mi hanno cacciato fuori dall’aula.