È giunta l’ora di congedarci da monsignor Galvano, il Racconto a quest’ora lo dà per morto, e noi siamo ancora qui a interrogarci sul suo «ruolo» nelle leggende bretoni. Abbiamo però un indizio: Galvano, o Gawain che dir si voglia, è l’eroe del bacio – il «casto» eroe il cui bacio scioglie Colei che glielo «strappa» da una vecchia maledizione.
Così è, per es., nella storia del Cavaliere Verde, la cui (supponiamo altrettanto verde) Sposa per tre volte mette alla prova la lealtà del nostro Eroe, ospite a casa sua. Ma così è ancor più chiaramente nel racconto delle Nozze di sir Gawain e della dama Ragnell (XV secolo), dove la Dama da baciare è più che verde: è, come dice il suo nome, una «Raganella».
Sissignori, stiamo facendo il giro del mondo, ed ecco c’imbattiamo nell’ennesimo «matrimonio di un uomo con una rana»: come se non bastassero le trecento e passa versioni europee della fiaba della Principessa Ranocchia, nonché le centinaia di miti analoghi raccolti in Sudamerica – ecco venire a noi anche dal tardo «romanzo» arturiano quest’antica reliquia del Racconto.
La storia è sempre quella: c’è una Donna-Rana, perlopiù una Vecchia Strega, in cui si nasconde una Bellezza stregata, ma che a prima vista è una bestia dall’aspetto orribile, una Dama Laida, una Figura ripugnante, che ha bisogno del bacio di uno «sposo» (di un casto sposo, ignaro di sesso) per assumere le fattezze umane.
Raganella è dunque una Donna animalesca; suo fratello, Gromer Somer Joure, è un gigante, nemico giurato di re Artù, reo ai suoi occhi d’aver donato le terre a Galvano anziché a lui.
Un giorno che re Artù è a caccia sulle tracce di una cerva nella foresta, Gromer gli tende un agguato e lo fa prigioniero, per poi rilasciarlo a patto che entro un anno torni da lui avendo sciolto questo enigma: cos’è che desidera di più al mondo la donna?
Per un anno intero, re Artù si mette insieme col nipote Galvano in cerca della soluzione dell’enigma, consulta tutti i libri del mondo, da ciascuno trascrivendo la tale o talaltra risposta, nessuna delle quali però sembra loro soddisfacente. La soluzione, essi ancora non lo sanno, non è scritta in nessun libro. La soluzione è orale: passa di bocca in bocca, ed è al massimo una parola «tronca».
Il caso però vuole che, un giorno, re Artù incontri Raganella, la sorella laida del gigante, la quale dice di conoscere la Risposta che il fratello s’attende, ma che la rivelerà al Re solo a condizione che Galvano diventi suo sposo.
Galvano accetta. Galvano, per fedeltà a suo zio il Re, accetta. Galvano, il casto che nulla sa dei desideri delle donne – proprio lui, accetta. E allora Raganella confessa: sopra ogni altra cosa la donna desidera la sovranità sugli uomini.
Lo dice la parola: la Donna «domina». E lo si capisce dal Racconto, quella di Raganella è una «dominazione» animalesca – non culturale, ma bestiale – e tuttavia la sola a conoscenza di quel «segreto della sovranità» che suo fratello, il Grande Esaminatore (in Sudamerica è il ruolo di Giaguaro, altrove del Drago o del Minotauro tradito dalla sorella, Medea o Arianna), esercita in attesa che ne sia risolto l’indovinello.
Raganella possiede la chiave della Sapienza del Maschio. Ma bisogna «sposarla», per entrarne in possesso. Bisogna insaporirsi del suo desiderio animalesco, per sapere la Dominante «naturale» d’ogni Simbolismo «culturale».
La Donna domina, e chi la sposa – animale qual è – comprende a volo, senza la mediazione di nessun simbolo culturale, qual è e dov’è il fondamento di ogni «sovranità». Il Re non regna che di potere riflesso.
È la Risposa giusta. E quando Gromer viene a sapere che Raganella l’ha tradito, va su tutte le furie, ma deve comunque arrendersi: d’accordo, re Artù sarà libero di riprendere la sua (interrotta sul più bello) caccia alla cerva.
Ora re Artù sa cosa desidera di più al mondo, la sua Cerva dalle corna d’oro.
Però, c’è un però tutt’altro che trascurabile: l’ignaro, l’innocente Galvano, a questo punto, deve sposare la donna ripugnante, la Verde schifosa Raganella: ci vuole uno stomaco! ma Galvano è troppo ligio al Re per venir meno alla parola data.
Solo che Raganella non s’accontenta d’essere portata all’altare. No, Lei, la «sovranità» la rilascia, ma solo a nozze consumate: solo se Galvano la bacia.
Come nella storia della Sposa (verde) del Cavaliere Verde, sia pure controvoglia, Galvano cede, s’arrende – chiude gli occhi, raccoglie tutto il suo coraggio, e, voilà, vada come vada, bacia la Strega, la Dama Laida. Ed ecco che per incanto quella all’istante si trasforma nella «più bella» delle forme umane, o forse angeliche – come a qualche stilnovista parve.
La storia è sempre quella. La «via» che traccia a beneficio degli ignari che si trovano a brancolare nel Paese dei Simboli, e che si dannano l’anima a sfogliare tutti i libri del mondo nella speranza di apprendere dov’è nascosta la chiave segreta di tutte le sapienze umane – la via porta sempre là, dritto a bussare alla porta animale del desiderio di sapere: alla radice animale di ogni sapienza morale.
La «sovranità» che il Grande Inquisitore – che si chiami Gromer o Giaguaro o Minotauro – esercita a parole e che l’autorizza a imporre, a chi si candida al rango di Re, di trovare la soluzione verbale a suoi indovinelli, non è sua, ma della sua «parente» più stretta. È la Donna che la elargisce: dapprima a suo fratello, e poi a chi la sposa, e soprattutto se la bacia.
Come dire: la chiave del Sapere simbolico, non è il Simbolo a possederla, ma la sua «compagna» l’Immaginazione, a cui spetta l’onore di mettere al mondo il primo «segno». Il segno della prima «ambiguità» immaginale. Del primo miraggio in cui il Maschio ha creduto di avvistare la sua propria «regalità», il primo nucleo della sua propria mitologia, il germe del suo magnifico prestigio.
Perché il linguaggio simbolico è il Grande Gioco di Prestigio.
Ciò che è animalesco, bestiale, naturale, addirittura sudicio, maleodorante, disgustoso, diviene per un gioco di prestigio simbolico l’angelico, il divino, il numinoso, il maestoso, se non addirittura l’ineffabile.
L’immorale, o più propriamente ciò che è al di là della morale – e che in origine non è che fame, desiderio e libido – assurge a fondamento (sempre nascosto) della moralità.
Ma, come testimonia il Racconto, questa prodigiosa metamorfosi non si compie una volta per tutte, ma ogni candidato al rango di re se la deve sudare punto e a capo.
Non basta baciarla una, due o addirittura tre volte – perché la Raganella si lasci «umanizzare» definitivamente.
Tanto per dire, essa può conservare il suo aspetto «umano» solo per la metà del giorno: vedi la Sposa di Hæmyts. Il bacio dell’Eroe non la riscatta che a metà dall’incantesimo di cui è vittima.
Raganella lascia a Gawain di decidere se la preferisce umana di giorno e animale la notte, o viceversa. Ma Galvano non sa prendere una decisione, e rimette a lei la scelta, dal momento che è lei la Padrona, lei la Sovrana del suo corpo, del suo cuore e di tutto il resto.
Erano queste le parole: oltre al bacio, erano necessarie queste parole di Galvano perché infine si sciogliesse del tutto l’incantesimo, e Raganella fosse tutta quanta «umanizzata». Lei, che la maledizione della sua malvagia matrigna aveva condannata a un aspetto ripugnante fino a che il miglior cavaliere d’Inghilterra non l’avesse sposata e baciata (nell’immaginazione) e insieme le avesse riconosciuta (a parole, nel linguaggio simbolico) anche la sovranità sul suo corpo, d’ora in poi sarà tutta «umana».
La bocca dell’Eroe non deve dunque solo baciare la Donna. Sebbene col bacio le restituisca già in parte la sua «forma umana», la bocca la deve anche «angelicare», riconoscerne cioè anche a parole la sovranità sulle «forme» della sua immaginazione.