Ci sono cose che meritano di essere sapute

Ci sono cose che meritano di essere sapute, di essere perlomeno prese in considerazione, ma solo da chi ne ha un disperato bisogno. Agli altri non servono. Agli altri fanno solo confusione nella testa.

… la Natura «crea» istante per istante, non cessa mai di «creare».
La Natura non «crea» l’Uomo, né il Cane, né la Stella. La Natura, in nessun caso, ha un Bruegel-sacra-famigliamodello ideale in mente, né si cura di replicare sempre lo stesso esemplare umano, canino o astrale. La Natura non prende l’«omino», il «cagnolino» o l’«astro nascente», per farne all’infinito la copia conforme. No: tra l’uno e l’altro, perfino tra due gemelli, la Natura «crea» una differenza, interpone sempre lo scarto d’un pelo. Bisogna mettersi a una distanza – a un’astrazione – tale da non vedere la variazione, per poter dire: sì, la Natura riproduce sempre lo stesso «coso».

È vero, si vede un uomo, un altro uomo, e un altro ancora, e così all’infinito – ma mai da nessuna parte si trova l’Uomo, se non nel trompe-l’oeil con cui gli «omini», dipingendosi agli occhi dell’Altro, sono capaci di occultarsi alla loro stessa differenza «naturale».
E come? come se la nascondono? come e a quale prezzo la barattano in cambio di una «identità»?

Vedi l’Artista, ci suggerisce a questo punto Deleuze: osservalo mentre affresca la parete, e guarda con quanta cura dipinge il motivo ornamentale che fa da cornice all’affresco! Guardalo attentamente perché, nell’ornamento che corona l’affresco, puoi vederlo «creare» allo stesso modo, quasi si potrebbe dire con la stessa tecnica, della Natura.
Neanche lui infatti riproduce una stessa «figura» predefinita: ne ha una vaga idea, una mezza idea, ma ogni volta la dipinge leggermente diversa. E come la Natura, anche lui non ha da far altro che «congiungere» soltanto un lato, appena un elemento della «figura» precedente con un altro di quella successiva.

Visto da lontano, il motivo ornamentale della Cornice – visto da qui, da fuori, dall’esterno dell’affresco che vi è racchiuso – dà all’occhio l’impressione che tutte le «figure» siano tra loro identiche: non si vedono più gli scarti, non più le differenze «artigianali», e tanto più se l’occhio è distratto, se l’occhio cioè si lascia attrarre solo dall’affresco.
L’affresco, dice Deleuze, ovvero ciò che è all’interno della Cornice – celebra il trionfo della Differenza, della Singolarità più o meno geniale dell’Artista. Ma là, sul bordo, il pittore s’è preoccupato di un dare un linguaggio a ciò che ha dipinto: un linguaggio uniforme che sdoganasse la deformità che portava in grembo.

Calori-cornice

Noi, siamo fatti così – il nostro io è l’Affresco di cui non vi è uguale, il non-conforme, il Differente … e i nostri ego sono le «figurine» della Cornice.
La Cornice è la nostra pelle, la nostra Forma apparente: facciamo di tutto per farla assomigliare alle Forme più vicine – perché sembri, vista da fuori, un «omino» come tutti gli altri. Ma, se qualcuno ci guarda un po’ più da vicino, scopre che nessuno di noi è la copia conforme del modello «Uomo». Scopre l’assurdità della domanda: «che cos’è l’Uomo?», scopre un’apologia di reato in ogni appello alla Normalità, scopre il circolo vizioso in cui, ubriaco delle sue stesse voci, danza il nostro linguaggio simbolico, scopre l’infondatezza di ogni sillogismo – e proprio perciò è bene che si tenga alla larga da questa scoperta, a meno che non ne abbia un disperato bisogno. Non una curiosità, non un prurito passeggero, e neanche un fermo desiderio di proseguire sulla via della conoscenza – ma un bisogno, un disperato bisogno di trovare una via d’uscita dal suo inguaribile narcisismo.

Deleuze, a modo suo, ci sta suggerendo di non fissare sempre e soltanto l’affresco che è «dentro» la nostra Cornice, sotto la nostra Pelle, dietro la nostra Forma, al di là della nostra Superficie. Ci sta suggerendo di non fissarci su quello che crediamo o pensiamo di essere «dentro», ma di volgere lo sguardo alle molte Figure, ai molti Personaggi, agli Uno Nessuno e Centomila, che si affacciano sul mondo: ai molteplici ego, di cui è costellato il madonna-cornice-florealenostro «io».
Ognuno di essi è dipinto su un bordo dell’altro, attaccato alla sequenza di «questo sono io», e «pure questo», e «quest’altro ancora», e via dicendo – per tutta la corona del (santo) rosario in cui ci avvolgiamo per apparire a noi stessi, quando ci guardiamo allo specchio, una sola Persona. Un solo «io».

E invece siamo, ciascuno, una folla di «omini»: contigui, simili, associabili, imparentati tra loro, a volti incastrati a forza l’uno nell’altro – siamo tanti ego quante sono le voci della Folla «là fuori» che, per diritto o per traverso, danno credito e supportano la nostra sedicente «identità» umana.
Quelle voci ci chiedono di «identificare», di «omologare», di «incorniciare» le nostre singole differenze – di uniformarci agli occhi di chi ci vede da fuori, e di scaricare, tutto dentro di noi, l’inconscio della nostra innominabile difformità.

Ci chiede cioè di mettere mano alla nostra creatività, di diventare Artisti del nostro destino, provvedendo a «connettere» tra loro i nostri molteplici ego – in modo da sembrare, là fuori, come tutti gli altri e confermare, che lo sappiamo o no, quell’occhio così distratto che, come l’occhio della Folla, prende per reale l’Uomo, lo Stesso, l’Identico – e non il singolare, il nuovo, il differente.
Nulla è più profondo del superficiale, dice Gide nei Falsari. È la Cornice che all’occhio della Folla dà la garanzia di trovarsi al cospetto di un altro Affresco come tutti gli altri. È l’Esteriore, la Maschera – la chiave del mistero profondo che si chiama Uomo.

Dobbiamo mascherarci da Artisti, e solo a questa condizione – solo cioè se produciamo linguisticamente questa Cornice di conformismo (fino a parlare le voci della Folla, fino a usare i colori del suo Arcobaleno di gusti e di passioni, fino a interessarci alla sua Storia) – solo allora possiamo affrescarci dentro la nostra diversità.
La nostra «differenza» per scatenarsi in tutta la sua geniale originalità, ha bisogno d’essere «detta» alla Folla nella Lingua della Folla. A volte, ne ha un disperato bisogno. Ed Martinez-affrescoè allora che, per non distruggere se stessa, per salvare il proprio destino da un così tragico epilogo, per preservarsi dalle Erinni di chissà quale colpa, e rimanere in attesa della sua Ora, essa ha bisogno di un Ornamento che recinga i suoi folli affreschi.

Affrescare se stessi senza incorniciarsi nella Lingua di una Folla – è una follia.
È sulla Cornice, sul Bordo, sulla Pelle, in Superficie – che si gioca il destino di ogni nostra Singolarità e Differenza.
Si gioca là dove la Nostra Differenza è tangente alla Folla, là dove essa s’è messa a parlare la Lingua della Gente. Là dove si è auto-incoronata di questa o quella Figura leggendaria, mitica, fiabesca, eroica o addirittura divina – ogni figura un suo ego – è là che la Nostra Differenza ha un disperato bisogno di sapere il segreto dell’Arte.
Perché – o la voce della Folla l’accoglie, o la respinge e la condanna.
O la Folla – o la Follia. O la Lingua della Folla la trova leggibile, o la Differenza rimane chiusa per sempre nella sua singolarissima Follia.