Gli eroi stavano nascosti in mezzo ai folti canneti,
ma li videro Era ed Atena e, in disparte
da Zeus stesso e dagli altri immortali, andarono
in una stanza e ivi tennero consiglio.
Era per prima tentò in questo modo il cuore di Atena:
«Figlia di Zeus, dimmi tu per prima qual è il tuo pensiero.
Che fare? Mediti forse un inganno per prendere
il vello d’oro ad Eeta e riportarlo
in terra di Grecia? Giacché persuaderlo con dolci
parole non possono: è terribilmente superbo;
eppure nulla si deve lasciare intentato».
Così disse, e subito Atena le diede questa risposta:
«Era, anch’io tra me e me volgevo questi pensieri,
quando mi hai interrogata. Ma ancora purtroppo
non possiedo l’inganno che aiuti il loro coraggio:
e su tanti disegni ho già dubitato».
Disse e fissarono gli occhi a terra ai loro piedi,
assorte nei pensieri, poi Era per prima
disse il suo proposito: «Andiamo dunque da Cipride;
chiediamole di parlare a suo figlio
e di persuaderlo a colpire con le sue frecce
la figlia di Eeta, la maga, e ammaliarla
d’amore per Giasone. Credo che con le astuzie di lei
Giasone riporterà il vello in terra di Grecia».
Così parlò, e l’astuto progetto piacque ad Atena,
e allora di nuovo rispose ad Era con dolci parole:
«Era, mio padre mi ha generata ignara dei dardi d’amore,
non conosco il bisogno, l’incanto del desiderio.
Se a te piace questo disegno, ti verrò dietro,
ma sarai tu a parlare, quando andremo da lei».
Disse, e alzatesi andarono alla grande casa di Cipride,
costruita per lei dallo zoppo Efesto, suo sposo,
quando un tempo la ricevette in moglie da Zeus.
Entrarono nel cortile e si fermarono sotto il portico
della stanza dove la dea preparava il letto di Efesto.
Questi era andato di buon mattino nell’officina,
nel vasto recesso segreto dell’isola errante,
dove alla fiamma del fuoco forgiava le opere splendide,
e lei sola in casa sedeva su un trono adorno, davanti alla porta.
Lasciando cadere da ambo le parti i capelli
sopra le candide spalle, li ravviava col pettine d’oro,
e ne faceva lunghissime trecce. Vedendole,
smise e le chiamò dentro, e si levò dal suo trono,
le fece sedere e sedette di nuovo anche lei,
raccogliendo con le mani le chiome ancora spettinate.
Poi sorridendo rivolse loro queste sottili parole:
«Mie care, quale pensiero, quale necessità vi guida
da me dopo tanto tempo? Perché venite? Non certo spesso in passato
siete venute da me, voi due che siete le dee più grandi».
Ed in risposta Era le disse queste parole:
«Tu ci schernisci, ma il nostro cuore è sconvolto d’affanno.
Già sul fiume Fasi il figlio di Esone ferma
la nave, e con lui gli eroi venuti alla conquista del vello.
Per tutti loro, adesso che incombe vicina l’impresa,
grande è il nostro timore, ma più di tutti per Giasone.
Quest’uomo, anche se dovesse navigare laggiù nel regno dei morti,
per sciogliere Issione dalle catene di bronzo,
io lo proteggerò sempre con ogni mia forza,
perché non rida di me, sfuggendo alla morte funesta,
Pelia, che con arroganza mi tolse l’onore dei sacrifici.
E inoltre già prima mi era carissimo Giasone,
dal giorno che, presso le acque in piena del fiume Anauro,
l’ho incontrato, quando volevo provare la giustizia degli uomini;
lui tornava dalla sua caccia: le cime dei monti erano piene di neve,
e da esse i torrenti rotolavano giù rimbombando.
Io m’ero trasformata in una povera vecchia, e il figlio di Esone
ebbe pietà di me, mi prese sulle sue spalle
e mi portò al di là dell’acqua impetuosa.
Perciò io non cesserò di stimarlo; del resto neppure il re Pelia
potrà scontare la pena, se tu non gli doni il ritorno».
Così disse; e Afrodite fu presa da muto stupore,
turbata a vedersi davanti Era che la supplicava,
e finalmente rispose con dolci parole:
«Dea veneranda, che nulla al mondo sia cosa più vile di Cipride
se non mi prendo cura del tuo desiderio
con parole o atti che possano compiere le mie deboli mani.
E da te non vorrò ricompensa in cambio di questo».
Così disse, ed Era le diede questa accorta risposta:
«Non di forza o di braccia abbiamo bisogno, non per questo siamo venute:
resta tranquilla e chiedi soltanto a tuo figlio
che ammalii la giovane figlia di Eeta di desiderio per Giasone.
Se, benigna verso di lui, gli farà dono dei suoi consigli,
credo che facilmente conquisterà il vello d’oro
e tornerà a Iolco: essa ha grandissima astuzia».
Così parlò e ad entrambe Afrodite rispose:
«Era ed Atena, mio figlio ubbidirebbe piuttosto
a voi, non a me, giacché, per quanto sfrontato,
un qualche ritegno per voi lo avrà pure negli occhi,
ma di me non si cura, non ha riguardo e mi provoca sempre.
Ho pensato addirittura, non potendone più della sua cattiveria,
di fargli a pezzi, in sua presenza, l’arco e le frecce,
tali minacce mi ha scagliato nella sua collera:
se non tenevo ferme le mani, quando era ancora capace
di dominare la rabbia, poi avrei avuto a pentirmene».
Così disse, e le due dee sorrisero, guardandosi l’una con l’altra,
ed Afrodite, afflitta, così riprese a parlare:
«I miei dolori fanno ridere gli altri; e io non devo
più raccontarli a tutti: basta che sia io a saperli.
Ora, poiché questa cosa a voi due sta tanto a cuore,
proverò a persuaderlo, e non si tirerà indietro».
Così disse, ed Era le prese la mano gentile,
e le sorrise soavemente e a sua volta le disse:
«Questo che dici, Afrodite, compilo subito,
e non arrabbiarti: non vale la pena di litigare
con tuo figlio; la smetterà, prima o poi».
Così disse, e lasciò il suo seggio, accompagnata da Atena,
e tornarono indietro mentre Afrodite andava
per le valli d’Olimpo in cerca del figlio.
(Apollonio Rodio, Argonautiche, 3: 6-113)
***
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.
(Cecco Angiolieri, S’i’ fosse foco)
Qualcuno se le dovrà pur prendere «le vecchie e laide». Il codice sociologico lo pretende: tutte le donne hanno diritto a un marito. L’istituzione sociale per eccellenza, il matrimonio, si fonda su questa teorica parità di diritti. Non ci vuole Cecco però per capire che il desiderio è tutt’altro che un diritto, e segue ben altri sentieri che quelli «legali». Il desiderio – non un capriccio, ma il desiderio come Mamma Natura l’ha fatto, lo fa e lo farà – è desiderio di Bellezza. Il desiderio è, perciò, sempre fuorilegge, sempre una minaccia per l’Ordine Sociale. E la Legge è sempre in guardia contro il desiderio. Tra Legge e Desiderio non vige che una sola relazione – quella tra Censore e Censurato. Per informazioni, rivolgersi a Freud. E se Freud per un motivo qualunque non basta, chiedere lumi ai propri sogni.
Nessuno sogna il «legale», eppure vedi quanta fatica fa il «desiderato» a farsi strada nella censura della tua testa! E quanti giri e quante circonlocuzioni immaginarie ti servono per lasciarlo andare dove vuolsi così colà dove si puote!
È facile dire: «torrei le donne giovani e leggiadre». A parole, che ci vuole?
Eppure, se ci pensi bene, è proprio la Parola, la tua né più né meno della mia, che s’incarica di censurare il desiderio che enuncia, di censurarlo nel sogno stesso, prima ancora che nella sua interpretazione desta.
Via «le vecchie e laide»! il desiderio volentieri le lascerebbe altrui … se solo potesse, così in due parole, buonanotte addio, lasciarle. Le lascerebbe, se l’Altro glielo consentisse. Perciò, forse, solo i desideri «allucinati» hanno la forza di dissentire e di fare oltraggio alla Parola dell’Altro, alla Parola che è Legge. La forza di oltraggiarla, insultarla, ma senza negarla: anzi, imbarcandola nel loro viaggio agli inferi.
Forse solo se i desideri sono abbaglianti, al punto da accecare le Vecchie Guardiane dello *ius, forse solo a questa condizione Perseo può perseguire il suo desiderio di andare a tagliare la testa alla Vecchia Medusa.
Vecchia laida e ripugnante, viscida e appiccicosa – ecco com’è la Medusa. Se oggi è ridotta a essere nient’altro che un volto di apparizione, un mostruoso volto che ci guarda dalle stelle della Chioma di Berenice, è perché Perseo ha resistito in illo tempore alla tentazione di guardarla negli occhi!
Spero che tu l’abbia riconosciuta se pure travestita nei panni della donna-rampone di cui favoleggiano i miti di tutt’e due le Americhe, ovvero in quella «principessa» Ranocchia che di mestiere fa la Strega, e che al suo marito stregato, e solo ai suoi occhi, si manifesta magicamente nella «più bella» (ma insieme anche nella «più perturbante») delle Forme.
Ma tu, pure mentre te la sogni, non guardarla in faccia! – ripete Ermes a Perseo. – Se la guardi una sola volta, rimani fregato per sempre. Passa l’Angelo e dice amen. Perché quella, poi, dal tuo sguardo non se ne va più così facilmente. Non accetta il «divorzio», ma ti rimane appiccicata alla pelle degli occhi.
Se vuoi stare sicuro, ti tocca portarla dietro, sulle spalle, e non importa se, da lassù, ti strappa perfino il cibo dalla bocca. Tu, fa’ come Giasone: portala sull’altra sponda del fiume senza farti tante questioni …
E già che ci sei, porta pure il racconto di Apollonio Rodio sull’altra sponda dell’Oceano dei racconti. Vedrai, se lo leggi alla luce dei miti americani, prende tutta un’altra luce.
Vediamo.
Ci sono Tre Dee sulla scena del dotto Apollonio. Giasone sta dormendo. Giasone, supponi, sta sognando di traghettare il suo desiderio fino al «vello d’oro», ma c’è più di un ostacolo a ostruirgli il cammino. Più di una censura legale, tra cui deve destreggiarsi: letteralmente, tenersi sulla destra ed evitare attentamente il lato mancino del viaggio! Dante docet. Più di un pelo nell’uovo – a sinistra i peli, le unghie, dice sant’Antonino Artaud.
Ci sono Tre Dee sulla scena: Era, Atena e Venere – in ordine di apparizione!
Era, la Vecchia, viene e dice: Io, a questo Giasone qui, a questo Terapeuta dei suoi stessi sogni, a questo pazzo scatenato che s’è messo in testa di esaudire il suo folle desiderio del «vello d’oro», io devo molto. Non posso dimenticare il favore che mi ha fatto prendendomi in carico – imbarcando pure me che sono vecchia e brutta – nella sua cerca di Bellezza.
Dunque, dice, gli darò una mano … in cambio del sandalo che gli è scivolato via dal piede nelle acque dell’Anauro durante la traversata.
Dice così, Era. Ma Era chi era nell’antica mitologia greca?
Era la Donna Vecchia, la Donna che ha già vissuto la Stagione della Bellezza, quella che si è già maritata, e che è gelosa monogama fedele al suo Signore, malgrado il suo Signore la tradisca continuamente. Detto in due parole: Era è tanta cultura, e tanto poca natura rimasta … nei suoi gesti e nelle sue parole.
Giasone cerca Bellezza, Faust vuole il vello d’oro – volontà di potenza, disse qualcuno. Come può, dunque, Era (per quanto mefistofelica sia capace di essere nella sua «bruttezza») dargli una mano, se non bussando alla porta di Bellezza in persona, di Afrodite, la Divina Elena, «la più bella delle forme» del Troiame? Non può, è certo, aiutarlo la Vecchia direttamente, brutta e ripugnante qual è, ma può almeno per lui intercedere – mettere cioè una buona parola, lei che è la Parola della Legge – presso Afrodite, la sua nemica immortale.
Giasone sogna il «vello d’oro», ma ancora non ha la minima idea di cosa sta inseguendo nel sogno. Sa che, se c’è un posto al mondo in cui cercarlo, questo è la Colchide, il regno di Eeta. Ne ha sentito dire dalle vecchie parole di certi racconti. Sa dunque dove andare a cercare, ma ancora non sa cosa precisamente cercare. Giasone non è stato ancora sedotto da Bellezza. Cerca il «vello d’oro», cerca Bellezza, ma i suoi occhi non sono stati ancora stregati dalla Donna.
Lo sa bene Era, e perciò pensa: qui ci vuole l’aiuto di Afrodite e di suo figlio. Qui ci vuole una presenza seducente. Qui non può bastare una memoria. Ci vuole viva e in carne e ossa una Medea, o una Beatrice – fa’ tu, mia cara Venere. Purché il mio viandante «veda», il viandante che è sotto mia tutela, il Poeta che s’è caricato sulle spalle la mia croce, il pesante fardello della Parola Antica, della Parola Invecchiata, il fardello dei racconti più remoti e rimossi, giunga infine a vedere la Bellezza al di là delle Forme, la Bellezza dell’Informe. La Bellezza che è nel Deforme. La Bellezza che è nella trasformazione dei suoi stessi desideri. Che non è nessuna delle Forme, passate o presenti, per cui si diffonde il Richiamo della Seduzione.
E già, c’è pure una terza Dea sulla scena. Non ne parliamo tanto, perché fa quasi scena muta. Lei, di fatto, non c’entra. La questione riguarda solo Era e Afrodite. L’«inimicizia» è tra la Parola vecchia e l’Immagine presente.
Atena non è né la Vecchia Donna del Passato, la Donna già maritata, la Donna tutta cultura e niente più natura (sto esagerando?), né ancor meno la Giovane Donna del Presente, la Donna che si presta a tutti i potenziali mariti, la Donna tutta natura, tanta ma davvero tanta natura, che può perfino fingere di giocare a sedurre perfino quel poco di cultura che le basta e avanza.
Atena è la Nubile, la Vergine «nata dalla testa di Zeus», che a differenza delle altre due ancora non ha conosciuto carnalmente il Maschio. Della sessualità, dei desideri, lei è totalmente ignara. E perciò ignora il conflitto tra Legge e Desiderio, tra Cultura e Natura, tra il Giusto e il Bello.
Eppure, se l’antico Narratore la chiama in causa, un motivo ci deve pur essere.
Atena non è né il Passato né il Presente … di Bellezza. Non è un ricordo, non è un’attrazione presente. Non è una parola, e neanche un’immagine. Eppure, a modo suo, Atena è lo stesso seducente.
Atena ha la sapienza, Atena è la sapienza che sa aspettare il suo momento. Atena è la tessitrice di sapienza a venire. E in quanto tessitrice di futuro, non a caso s’è sbarazzata della vecchia Aracne e della vanità che l’affliggeva, spingendola all’idolatria del «già tessuto». Atena è la Donna che verrà, l’Aspettata che non può venire alla luce di nessun sogno, finché «le vecchie e laide» sembreranno ripugnanti, e «le giovani e leggiadre» daranno l’illusione di essere loro il «vello d’oro». Atena è al di là di questo conflitto: vista di qua, non è niente e nessuna.