Molto tempo fa in questo paese era buio fitto. La Gente tenne allora consiglio: si radunò in assemblea e decise di inviare qualcuno alla ricerca della luce.
Scelsero a questo scopo un corridore veloce: Ghiandaia Azzurra.
Ghiandaia si avviò verso levante e, dopo un lungo cammino, finalmente giunse in un luogo abitato. Quel giorno, però, l’intera tribù del villaggio si era recata in un luogo vicino in occasione di una grande festa di danze e, nel villaggio, era rimasto solo un bambino che stava giocando all’interno di una capanna di terra.
Ghiandaia Azzurra si avvicinò alla capanna ed entrò. Vedendo che il bambino era tutto solo, gli chiese dove fossero andati gli altri.
«Sono andati via», rispose il ragazzo.
Intanto, l’occhio di Ghiandaia Azzurra era stato attratto da alcune ceste che pendevano dalla parete; si trattava, almeno così credette, di canestri pieni di provviste.
Ghiandaia Azzurra si rivolse allora di nuovo al bambino e, indicando la prima cesta, chiese: «Cosa c’è in quella cesta?».
Il fanciullo rispose: «Prima sera».
Poi Ghiandaia Azzurra indicò la cesta accanto e domandò: «E cosa c’è in quell’altra?».
«Appena buio», rispose ancora il ragazzo.
Ghiandaia Azzurra continuò così a lungo a fare domande finché, indicando l’ultima cesta, chiese: «Cosa c’è in quella cesta?», e il piccolino disse: «Aurora».
Subito Ghiandaia Azzurra afferrò rapido la cesta e via di corsa!
Il bambino cominciò allora a gridare: «Accorrete, ci ha rubato l’Aurora!».
Ma la Gente, impegnata a cantare e danzare, non poteva sentirlo. Solo dopo molte grida qualcuno disse di aver sentito qualcosa, e disse agli altri: «Su, presto, corriamo! Il ragazzo grida che ci hanno rubato l’Aurora».
Allora tutti accorsero alla capanna di terra e si lanciarono all’inseguimento di Ghiandaia Azzurra, che intanto si era avviato di corsa verso ponente.
Correvano tutti a perdifiato verso ponente, Ghiandaia Azzurra e i suoi veloci inseguitori. Lo raggiunsero vicino alla Grande Valle.
Là, a Big Valley, gli furono quasi addosso. Ghiandaia Azzurra li sentiva ormai ansimare dietro di sé. Gli inseguitori stavano per prenderlo, erano proprio sul punto di acchiapparlo, quando Ghiandaia Azzurra aprì la cesta e la luce volò fuori.
Fu così che Ghiandaia Azzurra portò la luce del giorno nel nostro paese.
***
Partire, così di punto in bianco, in cerca della luce – non è roba da poco per chi è sempre vissuto in un Paese Buio e, della Luce, non ha la più pallida idea.
Partire è, allora, andare in cerca solo di un non-buio. In cerca di qualunque cosa possa spezzare la monotonia della Notte. La Notte che è sempre notte – è una Gatta Cieca. Bisogna perciò che qualcuno la guidi fuori dalle sue tenebre. Qualcuno che, magari senza averla mai vista, dica di sapere dove andare a cercare la Luce. Un pazzo visionario, dunque – e la sua pazzia, c’è da scommettere, non è roba da poco.
Di lui il Racconto degli Indiani della California non ci dà che questo solo indizio: è un «corridore veloce», un «volatile» capace di percorrere il mondo da levante a ponente in un batter d’occhio – non l’Aquila che lo abbraccia in un solo sguardo dall’alto del suo nido, ma un altro uccello che, se pure non vola così in alto, ha la virtù di saltare in fretta da un posto all’altro.
Questione di linguaggio: a differenza di Aquila che del mondo possiede un’idea dal momento che lo «vede» totalmente, Ghiandaia Azzurra invece, di quelle due o tre cosucce che, per caso, gli capitano sotto gli occhi, deve – e in fretta – farsi una mezza idea.
Come la metafora, Ghiandaia Azzurra «salta» di palo in frasca. È la sua curiosità («cosa c’è dentro le ceste?») che lo spinge qui nel non-buio, come altrove nel Paese degli Spiriti. E già, perché – il Racconto lo sottintende – al di fuori della Notte, se qualcosa «c’è», è una penombra della Notte stessa. Se ti pare di «vedere» la luce di un Sole, fa’ attenzione: è solo un’altra forma della Notte, una forma ingannevole.
Ghiandaia Azzurra è capitato in un Villaggio momentaneamente spopolato. La Gente non c’è. C’è solo un bambino. C’è un bambino solo. Un piccolo Leopardi escluso dal dì di festa: chissà per quale impedimento è stato lasciato a casa.
Ora c’è che il pur curioso Ghiandaia Azzurra non apre immediatamente le ceste, ma prima domanda al bambino solo soletto: «Cosa c’è in quelle ceste?».
Indovina, indovinello: è per la via delle parole altrui, attraverso la mediazione del linguaggio infantile, che Ghiandaia Azzurra è chiamato a immaginare cosa «c’è» in quelle ceste chiuse.
Ghiandaia Azzurra e il bambino solo soletto si parlano. Forse il bambino è ancora più solo di quello che il Racconto lascia trasparire. Forse sulla scena c’è lui solo. Solo lui che crede di vedere Ghiandaia Azzurra, una specie di uccello che viene a fargli visita la notte, viene a interrogarlo – e, così, a fargli compagnia.
Questione di parole puerili. Il bambino che ancora vive in disparte dalla sua Gente, il bambino non ancora civilizzato in una Tribù, solo e abbandonato, «dice» di sapere cosa «c’è» nelle ceste.
È probabile che ci siano davvero delle provviste, che so? – carne affumicata e torta di mais – ma lui, il bambino ignorante, «dice» di sapere che si tratta di una (senti un po’!) «successione temporale»: prima sera, più buio, ancora più buio, notte fonda, e così di seguito fino all’aurora.
Il bambino sa le Ore della Notte. In realtà, non sa niente. Sa solo di attendere una via d’uscita da questo Niente.
Il bambino è Ghiandaia Azzurra. Il bambino parla a Ghiandaia Azzurra, e solo quando si accorge che Ghiandaia Azzurra ha rubato qualcosa della Casa e se l’è svignata, eccolo che finalmente parla alla sua Gente. Parla prima da solo, e da solo rimugina le parole della Lingua della sua Gente. Poi, quando il suo «interlocutore» immaginario si rivela per quello che è: un ingannatore (di bambini della Casa) – esce dalla Notte Linguistica e chiama a gran voce quelli della Tribù: Su, venite, presto: è venuto un ladro a rubare nella nostra Casa, a portare via qualcosa a noi.
Su, presto, accorrete – codici e norme sociali. Settimo: non rubare! Non è bene che a noi venga scippato il Tesoro delle Dieci Ceste! È male perdere i Dieci Comandamenti del nostro «dire», le Dieci Sefirot della nostra Cabala, i Dieci Numeri della nostra Santa Decade Pitagorica, o perché no? le Dieci Aristoteliche Categorie. Amen.
Bene e male, su presto, correte a dare la caccia al Ladro che mi ha ingannato! – grida il bambino.
Chissà, forse il bambino si sbaglia. Forse, lui non lo sa, ma ha chiamato in aiuto proprio i futuri Ingannatori. Forse da quel momento sarà perduto – irrimediabilmente? – nelle grinfie del «dire»: è Bene, è Male. Non più la sola pura «successione temporale» delle Ore della Notte, ma anche il loro colore nell’arcobaleno linguistico della Tribù. Questo però non lo sapremo mai. Il Racconto tralascia a questo punto il bambino.
Il Racconto lo lascia al suo destino, per seguire invece Ghiandaia Azzurra nella sua «toccata e fuga». Per mettersi cioè sulle tracce del Ladro, sulle tracce del Solo che la Tribù non riesce ad agguantare – sulle tracce dell’Interlocutore Immaginario a cui il bambino dava del «tu»: il Solo su cui la Lingua della Tribù non riuscirà mai a mettere le mani!
Se il bambino si perderà nelle Leggi della Repubblica – più o meno platonica – il suo Compagno di chiacchiere gli sopravviverà.
Si estinguerà il solitario Narciso «a colloquio» con la sua Immagine, e dalle sue ceneri nascerà («seconda nascita») questo strano volatile metaforico che, pur senza vedere il mondo dall’alto, ha l’attitudine a «zompare» di palo in frasca, e grazie a questa virtù (come dire?) superficiale riesce sempre a farla franca.
Ha rubato le ceste, fidandosi delle parole di un bambino che, nientemeno, ancora non parlava alla sua Gente, e ora è «in fuga». Ora, a qualunque ora, è in fuga – e ha i gendarmi alle calcagna. Questo è il presente del sopravvissuto a Narciso. Il presente di un fuggiasco. Di un condannato a ingannare per non essere intrappolato nell’Inganno della Tribù.
Complimenti per la trasmissione. Complimenti a tutti i superstiti della Notte. Per tutti quelli (potevo fare eccezione io?) che s’imboscano in un «io».
So quello che il Racconto racconta di questo Scampato Immaginario che è il mio «io». Ho sentito dire che, per mettersi in salvo, ha dovuto passare per la Terribile Porta a Scatto, ma questa è una storia lunga e ce la racconteremo, se dio vuole, una prossima volta.
Successione temporale. Come vedi, ci siamo tutti obbligati.