Lévi-Strauss – La metà appiccicosa

Lasciamo da parte le speculazioni storiche per ritrovare il più solido terreno dell’analisi strutturale.
Disponiamo di due paradigmi, quello della donna-rampone e quello della donna-rana, la cui area di distribuzione comprende il Nord e il Sudamerica. Nei due emisferi questi donna-rospoparadigmi sono associati in maniera indipendente: di fatto, però, abbiamo verificato che in entrambi i casi la donna-rampone è una rana.
Siamo finalmente in grado di capire il perché di questa unione: una dice in senso proprio quello che l’altra esprime in senso figurato. La donna-rampone aderisce fisicamente, e nella maniera più ripugnante, alle spalle del suo portatore, che è poi il marito o colui che essa vuole come marito. La donna-rana, madre adottiva ma abusiva, che spesso è anche una vecchia amante incapace di decidersi a lasciare il suo cicisbeo, richiama un tipo di donna che noi stessi chiamiamo «appiccicosa», ma prendendo questa volta il termine in senso figurato.

L’esattezza di questa interpretazione risulta del resto dalla locuzione che nei miti designa la donna-rampone. Essa viene chiamata burr-woman, e non si tratta qui di un catchword, di un titolo riassuntivo scelto arbitrariamente dai folcloristi. La traduzione nella nostra lingua solleva un problema perché manca una parola d’uso corrente che indichi la parte di certe piante, di solito le brattee, ma talvolta anche le foglie, munite di aculei ricurvi che si attaccano al vestito dei passanti.

Ad ogni modo, sono note alcune versioni del mito della donna-rampone che spiegherebbero l’origine di queste forme vegetali.
Così i Pawnee (Skidi) raccontano di una coppia che, perseguitata da un’orsa vorace, trovò scampo grazie a un fanciullo misterioso, nato da un grumo di sangue di bisonte. Egli uccise l’orso e poi si mise a girare il mondo.
Un’avventura lo condusse in un villaggio, ove si meritò la gratitudine degli abitanti. Gli furono offerte in matrimonio tutte le ragazze, ma egli non ne gradì nessuna. Per punirlo della sua indifferenza, una donna gli si avvinghiò alle spalle e non volle più lasciarlo. Vennero in suo aiuto degli animali magici, che strapparono la donna a pezzi; questi pezzi si trasformarono in involucri uncinati.

Secondo una variante della stessa raccolta, l’eroe ha una sfrenata passione per i giochi d’azzardo (e perciò non si interessa alle ragazze). Egli incontra una bellissima giovane che gli chiede di farle attraversare a guado un fiume. L’eroe se la carica sulle spalle, ma bratteaquella si rifiuta poi di scendere, sostenendo di essere sua moglie: «Il suo corpo s’era saldato a quello del ragazzo».
Ben presto, essa si trasforma in una vecchia. Intervengono allora quattro sorelle: esse possiedono un unguento ricevuto dal sole, grazie al quale riescono a staccare la donna; ne strappano un membro dopo l’altro con alcuni uncini, anch’essi magici. I pezzi del corpo diventano involucri da uncini.

Questi miti sono identici al racconto Wichita, che mette una rana al posto degli involucri. Nel suo amplesso nuziale, dicono gli Assiniboine, la rana esercita una presa tenacissima. Come introduzione al loro mito sulla donna-rampone, gli Arapaho spiegano che le brattee uncinate della lappa americana (Xanthium sp.) «rappresentano il desiderio di sposarsi, la ricerca di una moglie o di un marito». Le lunghe brattee uncinate, dette «cacciatori di donne», ispirano i motivi decorativi che i giovani si dipingono sul volto e sul corpo durante certe cerimonie.

Raccontano gli Arapaho che, salvato da una situazione difficile da una schiera di ragazze (variante: dalle donne-topo), Nihançan, l’ingannatore, le pregò di spidocchiarlo, e si addormentò con la testa sulle loro ginocchia. Le donne gli coprirono la testa di involucri uncinati e fuggirono via.
L’ingannatore si girava nel sonno; i vegetali gli si incrostarono così profondamente nella carne che i suoi lineamenti ne furono stravolti. Quando si svegliò, gli doleva la testa. Con la mano, constatò che i capelli erano pieni di uncini; se li rapò a zero.
Quelle che egli aveva scambiato per donne che nuotavano nel fiume erano in realtà lappe. E la morale della storia significa che avevano una gran voglia di prenderselo per marito.

Seguendo lo stesso motivo, i Mandan raccontano la storia di una vergine scontrosa che un giorno si trovò i vestiti coperti di involucri uncinati. Quando rientrò nella capanna per spogliarsi, un’ombra passò sul suo corpo nudo e la rese incinta del «folle del sole», Oxinhede …

xanthium-italicum

Non andavamo dunque errati quando speravamo che certi miti nordamericani avrebbero potuto chiarire il significato di un mito sudamericano che, come tutti quelli del ciclo della donna-rampone, poneva il problema dell’unione matrimoniale, cosa che avevamo percepito sin dall’inizio.
Monmaneki, il cacciatore del mito Tukuna, appare dapprima sotto l’aspetto di un dilettante del matrimonio, quasi fosse un don Giovanni iperbolico che, non contento, come diciamo noi (ma utilizzando già delle differenze sub-specifiche), di passare dalla bruna alla bionda, estende la sua curiosità amorosa fino alle più svariate specie animali: i batraci, gli uccelli, gli invertebrati.

Sotto questo aspetto, il suo personaggio evoca l’eroe di una versione Arikara, tribù nordamericana vicina ai Mandan, ma facente parte del gruppo linguistico caddo, come i Pawnee e i Wichita.
Entrambi sono cacciatori fortunati, e l’eroe Arikara eccelle inoltre in un gioco di abilità, dal giorno in cui ha copulato con una donna-bisonte. Questo gioco consiste nel lanciare un cerchietto e nel cercare di infilarlo su un bastone mentre gira. Il mito gli attribuisce un triplice simbolismo: il coito, la guerra e, situata a metà strada tra queste due attività, la caccia al bisonte.

Le versioni Tukuna e Arikara differiscono però su due punti importanti.
Una si riferisce all’origine della pesca, l’altra a quella della caccia al bisonte. E, soprattutto, l’eroe Arikara è casto, a parte il suo capriccio bestiale: non ha mai conosciuto donna-bisonteuna donna, e la vecchia avvinghiata alle sue spalle non gli perdona questa astinenza: «Ragazzo mio, puoi tornare direttamente a casa perché io non ti lascerò più. Che i giovani ti vedano pure portare una vecchia! Così imparerai a essere orgoglioso e a disprezzare le donne!».
Al contrario, la donna-rampone dell’eroe Tukuna si impone a quest’ultimo per castigarlo per essersi mostrato troppo arrendevole con le donne: marito troppo poco scontroso, al posto dello scapolo troppo scontroso delle versioni nordamericane che abbiamo passato in rassegna.

Ma, al tempo stesso si chiarisce una particolarità di queste versioni. Infatti, alla differenza che abbiamo segnalato nell’inizio dei miti ne corrisponde un’altra alla fine: la maggior parte delle versioni nordamericane terminano con la separazione degli esseri umani dagli animali e con la divisione di questi ultimi in specie zoologiche distinte; nel mito sudamericano, questa separazione, che risale a una data più recente, viene richiamata solo all’inizio. L’eroe Tukuna, Monmaneki, tratta dunque le femmine animali come se appartenessero ancora alla società umana, gli eroi Cree e Wichita trattano le femmine umane, respingendole, come se appartenessero in potenza a specie animali, eventualità questa che si realizzerà solo alla fine.

Infatti, l’ordine attuale del mondo esige che gli esseri umani si sposino tra loro, senza mostrarsi troppo esigenti entro questi limiti (altrimenti l’unione per via matrimoniale diventerebbe impossibile), dal momento che anche gli animali sono ormai costituiti in specie i cui appartenenti si sposano tra loro, e non cercando il coniuge in un’altra specie o fra gli esseri umani.
La versione Arikara fa da cerniera fra questi due regimi; ma essa prende in considerazione il caso di una specie animale particolare: il bisonte, la cui caccia fruttuosa si fonda sulla nozione di una connivenza, intermedia tra quelle che illustrano l’unione (che è anche un duello) dell’uomo e della donna nel matrimonio, e il duello (che è anche una unione) di popoli tradizionalmente nemici.

Si può avere la riprova di quanto precede. Infatti, se il mito Tukuna della donna-rampone inverte i miti nordamericani su questo stesso tema, le forme invertite di questi ultimi miti, nella stessa America settentrionale, devono riportarci al mito Tukuna.
Abbiamo segnalato tali inversioni, soprattutto nei miti del gruppo Wabanaki in cui la donna-rana, invaghita di bambini umani, si trasforma essa stessa in un essere umano, donna-uncinataamante di un animale seduttore. I Penobscot, che distinguono i due personaggi pur rafforzando l’uno e indebolendo l’altro, raccontano le esperienze amorose della donna-orcio o crosta (di piaga) Puk-dji’nskwessu, che prese per marito un orso e, un’altra volta, un ramo d’albero che si legò ben stretto intorno alla vita. Ma quando volle rientrare nella sua capanna, non poté più separarsene: «Sono tuo marito – disse il ramo – mi hai attaccato a te, e io devo restare dove sono. Non ti potrai mai più liberare di me». Da allora, ovunque vada, essa porta con sé il ramo.

Vediamo dunque che, fatta eccezione per l’inversione dei sessi, questo mito restituisce l’ossatura del mito Tukuna.
Ma accade anche che i miti nordamericani si invertano nell’altro senso o su altri assi. Come esempio del primo caso, citeremo una versione Salish della costa, in cui il demiurgo Luna, con in testa un copricapo che non si può più togliere, si impegna a sposare la prima ragazza che sarà capace di liberarlo.
Solo la donna-rospo, che è ripugnante, ci riesce. D’ora in poi potrà accadere che donne brutte abbiano uomini belli come mariti.

Questa trasformazione riveste un interesse particolare. Essa si scompone infatti in due operazioni:

a) donna-rampone (-1) >> donna-rospo;

(in altre parole, l’inversione del paradigma che ricorre alla nozione di contiguità: donna-rampone >> donna liberatrice da un cappello-rampone, ricostituisce il paradigma fondato sulla somiglianza: donna «appiccicosa»). Ma questo ricorso dal senso proprio al senso figurato determina una conseguenza:

b) spose sociologicamente equivalenti >> spose fisicamente non equivalenti;

abbiamo cioè la ricostituzione di un paradigma anatomico che differenzia individualmente le spose nel seno stesso di quella società umana che, nelle versioni «dritte» del mito, il paradigma anatomico aveva la funzione di differenziare tutte insieme dal regno animale (nello stesso momento in cui differenziava quest’ultimo in donne-appiccicosegeneri e specie).
Il paradigma anatomico, da esteriorizzato com’era in natura, si interiorizza dunque nella società, di cui esso svela il fondamento biologico. Il passaggio dal senso proprio al senso figurato, assicurato dalla prima operazione, genera per contro l’operazione inversa: quella che, sotto l’illusione dell’ordine morale, fa apparire la verità sottostante di un disordine fisico.

Che cosa dichiarano infatti i miti? Che è colpevole e pericoloso confondere le differenze fisiche fra le donne con le differenze specifiche che separano gli animali dagli esseri umani o gli animali fra loro.
Questa forma anticipata di razzismo minaccerebbe la vita sociale, la quale richiede al contrario che, in quanto esseri umani, le donne, belle o brutte che siano, abbiano tutte diritto a un marito.
Opposte globalmente alle spose animali, le femmine umane si equivalgono; ma se l’ossatura mitica si inverte, non può far altro che rivelare questo mistero: e cioè che, benché la società lo voglia ignorare, non tutte le femmine umane si equivalgono, perché nulla può impedire che esse differiscano nella loro stessa essenza animale, ciò che le rende inegualmente desiderabili per i mariti.

Sarebbe poi utile studiare più dettagliatamene di quanto possiamo fare qui altre permutazioni che conducono a risultati dello stesso tipo.
Un mito Arapaho racconta che l’ingannatore Nihançan insisté per accompagnare una schiera di giovani guerrieri e per portare la parte inferiore di un corpo femminile che serviva loro per ingannare la solitudine (donna-rampone invertita). Ma egli fece cadere il prezioso oggetto: rotto in due parti uguali, esso era ormai inutilizzabile. Per fortuna Nihançan scopre un villaggio abitato interamente da donne, complemento virtuale del gruppo dei guerrieri scapoli; questi, saputa la notizia, decidono di organizzare una corsa: i più veloci avranno le donne più belle. Col pretesto di dare a tutti le stesse possibilità, Nihançan viene persuaso a portare delle pietre per appesantirsi. Egli arriva buon ultimo e dovrà accontentarsi di una vecchia.

Fra gli Shoshoni la donna-rampone appare dapprima come controparte femminile degli scapoli ingegnosi del racconto Arapaho: infatti, essa si masturba con un fallo artificiale. La sorprende il nipote Coyote, che le offre i suoi servigi: ma quella lo stringe così forte donna-sulle-spalleche egli non si può più liberare, a meno che non le lasci i muscoli dorsali.
Dopo altre avventure che minacciano anch’esse, per sottrazione o per aggiunta, l’integrità anatomica di Coyote, alla fine quest’ultimo perde il pene nella vagina della cognata: ecco l’origine del fetore del sesso femminile.

Accenneremo soltanto, dato che le sue versioni sono piuttosto numerose, al mito dei giovani guerrieri che tornano da una spedizione e si arrampicano, per risparmiare le forze, sul dorso di una testuggine gigantesca che va nella loro stessa direzione. Ma essi aderiscono così strettamente a questa cavalcatura che, quando la testuggine si tuffa in un lago, muoiono tutti annegati. (Il mito è documentato dai Sioux fino agli Indiani del sud-est, passando attraverso i Crow, i Cheyenne, i Paiute e i Pawnee).
Il racconto inverte quello della donna-rampone su due assi: donna-rampone/uomini abbarbicati e: rana/testuggine. Una versione della Guayana raddrizza però il mito, per lo meno rispetto al secondo asse, perché l’animale che porta i giovani è una rana.

Nel bestiario guayanese la testuggine serve da cavalcatura alla luna, creatura ermafrodita, come la rapitrice di bambini Passamaquoddy dai cui parassiti nascono i rospi e che, come abbiamo visto, corrisponde nell’America del Nord alla rana guayanese.
Simmetricamente, gli Indiani del nord-ovest dell’America settentrionale fanno della luna la cavalcatura della rana, associando questo paradigma astronomico al paradigma sociologico di cui abbiamo qui sottolineato l’importanza.
Secondo i Lilloet, le sorelle rane si attaccarono al volto della luna dopo che Castoro ebbe provocato un diluvio per vendicarsi delle rane stesse che si rifiutavano di sposarlo.

(Lévi-Strauss, L’origine delle buone maniere a tavola)