C’era a Paoting un letterato che aveva comperato il proprio diploma e intendeva comprarsi anche un incarico da magistrato di contea. Deciso a recarsi nella capitale a tale scopo, aveva appena fatto i suoi bagagli quando cadde malato e non poté alzarsi dal letto per un mese.
Un giorno gli fu annunziato un visitatore inatteso. Il malato, colto da uno strano presentimento che lo fece rabbrividire, smise di gemere, si alzò e andò in fretta a salutare l’ospite.
Il visitatore vestiva in maniera assai ricercata e aveva l’aspetto di un uomo di rango. Egli entrò, eseguì i tre saluti rituali e, interrogato circa la sua provenienza, rispose: «Io sono Kung-sun Hsia, magistrato conservatore dell’undicesimo Principe Imperiale. Ho sentito che vi stavate preparando a raggiungere la capitale, per tentare di procurarvi un posto di magistrato. Se questa è la vostra intenzione, forse trovereste anche più attraente un posto di governatore».
Non osando mostrarsi troppo avido, il letterato rifiutò cortesemente, ma lasciò aperto il discorso, aggiungendo: «La somma di cui dispongo è modesta e non posso concedermi grandi speranze».
Il visitatore allora si offrì di procurargli l’incarico, a patto che egli versasse metà della somma occorrente e s’impegnasse a pagare il resto con i futuri profitti del suo ufficio. Il letterato, ben contento, chiese all’ospite di spiegargli il suo progetto.
«Il governatore generale e il governatore sono i miei più intimi amici – disse il visitatore. – Per il momento, cinquemila stringhe di moneta vi garantirebbero il loro appoggio. C’è un posto vacante a Chenting, attualmente, e varrebbe la pena di fare un’offerta seria».
Il letterato obiettò che, trovandosi Chenting nella sua stessa provincia, accettarvi l’incarico avrebbe significato violare le norme della dinastia, che vietavano a chiunque di assumere un servizio pubblico nel proprio distretto nativo.
Ma il visitatore rise cinicamente e disse: «Non siate così pedante. Finché avrete denaro in mano, attraverserete qualunque barriera». E poiché il letterato esitava ancora, sembrandogli l’intero piano troppo azzardato, aggiunse: «Non è il caso che vi tormentiate nei dubbi. Vi dirò tutta la verità: quel posto vacante è negli uffici del Dio della Città. Il vostro tempo mortale è giunto al termine, e voi siete già iscritto nel registro dei morti. Ma se utilizzerete bene i mezzi disponibili, potrete raggiungere un’alta posizione nel mondo delle ombre».
Detto questo, il visitatore si alzò e salutò: «Riflettete con calma – disse. – Ci rivedremo fra tre giorni». Poi montò a cavallo e si allontanò.
Di colpo il letterato aprì gli occhi, svegliandosi da quello che era apparso, agli occhi dei suoi servi, un profondo sonno. Allora disse addio a sua moglie e ai suoi figli, poi ordinò che si prendesse tutto il suo denaro liquido e si comprassero diecimila pani di carta: un acquisto che esaurì le riserve della contea. I pani furono disposti in tante pile, mescolati con figure di carta che rappresentavano cavalli e servitori, poi, secondo l’usanza, gli si diede fuoco e si lasciarono bruciare, giorno e notte affinché maturassero credito sul conto del padrone, all’altro mondo. Alla fine, il mucchio di cenere formava una montagna.
Come aveva annunciato, nel terzo giorno il visitatore riapparve. Ricevette il dovuto pagamento e condusse il letterato in un ufficio amministrativo, dove, in una grande sala, sedeva un alto funzionario.
Il letterato si prostrò dinanzi a lui, e quello, letto il suo nome su un foglio, e approvatolo, lo ammonì a essere «onesto e prudente». Poi il dignitario prese un certificato, fece segno al letterato di avvicinarsi, glielo consegnò e l’affare fu concluso.
Il letterato, non potendo vantare che un diploma del grado più basso, godeva di ben poco prestigio, e per incutere rispetto nei suoi subordinati doveva esibire un certo sfarzo, sia negli abiti che nell’equipaggiamento. Egli acquistò dunque carrozza e cavalli e mandò un fantasma attendente, su di un cocchio sontuoso, a prelevare la sua concubina favorita.
Quando tutto fu pronto, arrivarono i distintivi ufficiali di Chenting e le insegne regali, con una scorta che si allungava sulla via per mezzo miglio: un corteo più che lusinghiero. Ma, d’improvviso, i gong degli araldi tacquero, gli stendardi vacillarono e, tra la confusione e il panico che seguirono, il letterato vide i cavalieri smontare di sella e prostrarsi sulla strada tutti insieme. Poi gli uomini presero a contrarsi e a rimpicciolire, finché non misurarono più di una trentina di centimetri e i cavalli si ridussero alle dimensioni dei gatti.
Il cocchiere del letterato gridò: «Il Divino Signore Kuan è arrivato».
In preda al terrore, il letterato scese dalla carrozza e a sua volta si prostrò a terra con gli altri. In distanza poteva vedere il gran generale dell’evo antico, celebrato per la sua inflessibile giustizia.
Il Divino Signore era accompagnato da quattro o cinque cavalieri, che reggevano mollemente le briglie dei loro cavali. Il Signore Kuan, il viso inquadrato dalle fedine, appariva molto diverso dalle immagini che di lui circolavano nel mondo; ma la sua presenza spirituale era schiacciante e fierissima, e i suoi occhi erano così distanziati che quasi toccavano gli orecchi.
Dall’alto della sella, disse indicando il letterato: «Che specie di funzionario è costui?».
«È il governatore di Chenting», rispose qualcuno.
«E per questa insignificante carica – disse il Signore Kuan – era proprio necessaria una simile parata?».
Il letterato rabbrividì e si sentì accapponare la pelle. Poi, d’un tratto, vide il suo stesso corpo contrarsi e rimpicciolire, finché diventò piccolo come quello di un bambino di sei o sette anni.
Il Signore Kuan gli comandò di rialzarsi e di camminare davanti al suo cavallo. A lato della strada sorgeva un tempio; il Signore Kuan vi entrò, si volse verso sud – la direzione della sovranità – e ordinò carta e pennello, affinché il letterato potesse scrivere il suo nome e il luogo della sua nascita.
Il governatore scrisse quanto gli era stato chiesto e presentò il foglio.
Il Signore Kuan vi gettò un’occhiata, poi disse, in gran collera: «Queste parole sono scorrette e le lettere sono deformi! Chi le ha scritte non è altro che uno speculatore, uno squalo che si è introdotto nella gerarchia pubblica! Come potrebbe governare il popolo?».
Il Signore Kuan chiese il curriculum vitae del letterato, e qualcuno gli si inginocchiò a lato e gli porse il documento.
Il volto del Divino Signore si fece più cupo e duro che mai; infine egli disse in tono aspro: «Tutto ciò non può essere consentito! D’altro canto, il crimine di chi compra cariche è inferiore al crimine di chi le vende».
Allora un funzionario addetto agli arresti, in armatura d’oro, fu visto allontanarsi con corde e collare. Poi due assistenti afferrarono il letterato, gli strapparono via il cappello e la toga da funzionario, e gli inflissero cinquanta colpi di corda. Quando lo buttarono fuori dai cancelli, le sue carni erano quasi staccate dalla schiena.
Il letterato scrutò in ogni direzione, ma non v’era più traccia della sua carrozza e del suo cavallo. Stroncato dal dolore, si gettò sull’erba per riposare un poco e, quando rialzò la testa e si guardò attorno, si accorse di non essere troppo lontano dalla sua città.
Per fortuna, il suo corpo era leggero come una foglia, e così, camminando un giorno intero e una notte, finalmente arrivò a casa. Che cosa fosse accaduto in realtà, gli fu chiaro quando si svegliò dal sogno, giacente e gemente nel suo letto.
I familiari gli si raccolsero attorno e gli chiesero come stesse; ma tutto quanto riuscì a dire il letterato fu che aveva le natiche doloranti. A quanto pareva, egli aveva perduto conoscenza ed era rimasto come morto per sette giorni.
Guardando la famiglia raccolta attorno a lui, chiese: «Perché la mia amata Ah Lien non è qui?». Ah Lien era la sua concubina favorita.
Gli raccontarono che Ah Lien, la sera prima, mentre sedeva conversando con le altre, d’improvviso aveva detto: «Egli è divenuto governatore di Chenting, e ha mandato un messaggero perché mi conduca da lui». Quindi si era ritirata nella sua camera, si era preparata, si era truccata, ed era morta.
Il letterato si percosse il petto, preso da un amaro rimorso. Poi, nella speranza che la donna potesse rivivere, ordinò che il suo cadavere non venisse bruciato. Trascorsero tuttavia parecchi giorni senza che la donna desse alcun segno di vita, così alla fine la deposero nella tomba.
Pian piano il letterato guarì della sua malattia, ma le piaghe della schiena erano così gravi che impiegarono sei mesi a cicatrizzarsi.
Di tanto in tanto egli diceva a se stesso: «La somma che avevo messo da parte per comprare la carica è svanita e io ho subito la punizione delle potenze ultraterrene. A tutto questo posso resistere. Ma non sapere dove abbiano condotto la mia amata Ah Lien: questo è troppo duro da sopportare, nel gelido silenzio delle notti».
(P’u Sung-Ling, Liao-Chai)