Freud – Le caratteristiche del sogno

Ricapitoliamo i risultati principali dell’indagine da noi svolta sinora.
Il sogno è un atto psichico di grande rilievo; la sua forza motrice è ogni volta un desiderio da appagare; il fatto che esso non sia riconosciuto come desiderio, le sue molte stranezze e assurdità, derivano dall’influenza della censura psichica, subita nel corso della sua formazione; oltre alla sollecitazione a sottrarsi a questa censura, surreal-via-sognicontribuiscono a formarlo: una costrizione a condensare il materiale psichico, la considerazione della raffigurabilità in immagini sensoriali e, anche se non regolarmente, il riguardo per un aspetto razionale e intelligibile della forma onirica. […]

L’interpretazione del sogno del bambino che sta bruciando non ci ha procurato difficoltà, sebbene, dal nostro punto di vista, non fosse comunicata integralmente. Ci siamo chiesti perché mai in questo caso si sia verificato un sogno anziché il risveglio, e abbiamo riconosciuto quale uno dei motivi del sognatore il desiderio di rappresentare il bambino ancora in vita. In primo luogo dunque, è per favorire l’appagamento di desiderio che il processo ideativo del sonno è stato trasformato in sogno.

Annullando quest’appagamento, soltanto un carattere sta ancora a separare tra loro le due specie di accadimenti psichici. Il pensiero del sogno sarebbe stato questo: «Vedo una luce che proviene dalla camera in cui giace la salma. Forse è caduta una candela e il bambino brucia!». Il sogno riproduce immutato il risultato di questa riflessione, ma lo raffigura in una situazione attuale, che va colta dai sensi come un’esperienza della veglia.
Ma proprio questo è il carattere psicologico più generale e vistoso del sognare: un pensiero, di regola quello desiderato, viene oggettivato nel sogno, raffigurato come una scena oppure, così ci sembra, vissuto.

Come si può spiegare ora questa peculiarità tipica del lavoro onirico o, in termini più modesti, come si può inserirla nel contesto dei processi psichici?
A un’osservazione più attenta, si nota che nella forma manifesta di questo sogno sono impressi due caratteri quasi indipendenti tra loro. Uno è la rappresentazione come situazione attuale, con omissione del «forse»; l’altro è la traduzione del pensiero in immagini visive e in discorso.

La trasformazione subita dai pensieri del sogno, per cui l’attesa che in essi si esprime viene trasposta nel presente, forse proprio in questo sogno non risulta molto evidente. Ciò è in relazione con la parte singolare, e propriamente secondaria, che l’appagamento di desiderio ha in questo sogno. […]
Il sogno dunque usa del presente nello stesso modo e con lo stesso diritto del sogno a occhi aperti. Il presente è il tempo in cui il desiderio viene rappresentato come appagato.

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Ma peculiare del sogno, rispetto al sogno a occhi aperti, è soltanto il secondo carattere, per cui il contenuto rappresentativo non viene pensato, bensì trasformato in immagini sensoriali, alle quali prestiamo fede e che riteniamo di vivere.
Aggiungiamo subito che non tutti i sogni presentano la trasformazione della rappresentazione in immagine sensoriale; vi sono sogni che consistono unicamente in pensieri e ai quali non per questo si potrà negare natura di sogni. […] In ogni sogno piuttosto lungo esistono inoltre elementi che non hanno subito la trasformazione sensoriale, ma che vengono semplicemente pensati o saputi, come di solito avviene durante la veglia.

Vogliamo inoltre far notare, a questo punto, che codesta trasformazione della rappresentazione in immagine sensoriale non spetta soltanto al sogno, ma, in pari grado, all’allucinazione, alle visioni che compaiono, pressoché a sé stanti, nello stato di salute o come sintomo delle psiconevrosi.
In breve, il rapporto che qui stiamo esaminando non è in alcun modo esclusivo; rimane però stabilito che questo carattere del sogno, quando si verifichi, appare il più degno di nota, tanto da non poter immaginare la vita onirica senza di esso. La sua comprensione richiede però una trattazione molto estesa.

Fra tutte le osservazioni che si possono ritrovare nelle opere dedicate alla teoria del sognare, vorrei rilevarne una che può servire da punto di partenza. Nella sua Psicofisica, il grande Fechner, nel corso di alcune considerazioni dedicate al sogno, esprime la supposizione che la scena dei sogni sia diversa da quella della vita rappresentativa e surreal-mixvigile. Secondo lui, nessun’altra ipotesi consente di comprendere le speciali caratteristiche della vita onirica.
L’idea che viene così posta a nostra disposizione è quella di una località psichica. Intendiamo tralasciare completamente il fatto che l’apparato psichico in questione ci è noto anche come preparato anatomico e vogliamo evitare con cura la tentazione di determinare in senso anatomico la località psichica. Restiamo sul terreno psicologico e ci limitiamo ad aderire all’invito di rappresentarci lo strumento che serve alle attività psichiche pressappoco come un microscopio composto, un apparecchio fotografico e simili.

La località psichica corrisponde allora a un punto, situato all’interno di quest’apparecchio, nel quale si forma uno degli stadi preliminari dell’immagine. Nel microscopio e nel telescopio si tratta com’è noto di località e regioni almeno in parte ideali, nelle quali non esiste alcuna componente tangibile dell’apparecchio.
Ritengo superfluo scusarmi per le imperfezioni di queste come di tutte le altre immagini analoghe: questi paragoni hanno soltanto il compito di sostenerci nel tentativo di comprendere la complessità dell’attività psichica, scomponendola e assegnando le singole prestazioni alle singole componenti dell’apparato.

Il tentativo di scoprire la composizione dello strumento psichico partendo da siffatto smembramento non è stato ancora fatto, a quel che so. Mi sembra un tentativo innocuo. Ritengo infatti lecito dar libero corso alle nostre congetture, a condizione di serbare la serenità del nostro giudizio e di non scambiare l’impalcatura per la costruzione. Dato che, per un’approssimazione a un fenomeno sconosciuto, non abbiamo bisogno d’altro che di rappresentazioni ausiliarie, daremo la nostra preferenza dapprima alle ipotesi più rozze e più evidenti.

Immaginiamo dunque l’apparato psichico come uno strumento composito, alle cui componenti daremo il nome di istanze o, per amor d’evidenza, di sistemi. Ci aspetteremo che questi sistemi abbiano tra loro un orientamento spaziale costante, all’incirca come i vari sistemi di lenti del telescopio, che si trovano uno di seguito all’altro. A rigore, non abbiamo bisogno di supporre una disposizione spaziale vera e propria dei sistemi psichici. Ci basta, una volta stabilita una successione fissa, che in certi processi psichici i sistemi vengano percorsi dall’eccitamento secondo una determinata successione temporale.

(Freud, L’interpretazione dei sogni, 7B)

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Dunque: come ci comporteremo di fronte al «fenomeno» sogno?
Lo lasceremo sognare anche la sua propria interpretazione? O gli imporremo la censura del buonsenso diurno?
Freud si trova, in un certo senso, a passare per il sogno, ma è diretto altrove, attento a un altro «fenomeno», di cui il sogno non sarebbe che la parola, il geroglifico paradossalmente più chiaro e leggibile. Freud vuole fare luce sul «fenomeno» psiche. E il sogno gli si rivela come la principale porta d’accesso alla sua comprensione.

E se le cose stessero all’incontrario? se per caso fosse la psiche al servizio del sogno? se fosse essa nient’altro che il linguaggio d’un sogno – del «fenomeno» Sogno? O se addirittura Psiche e Sogno fossero tutt’e due voci gemelle del «fenomeno» Tempo? Chissà, forse, le tre caratteristiche che qui Freud attribuisce al Sogno ci mostrerebbero più di quel che Freud crede di dire.
Proviamo dunque a seguirlo.

Il sogno, dice, «presentifica», mette al presente frammenti di un materiale già vissuto, richiama un passato – sempre e comunque. E che ne fa? Immagini e discorso (Bildet Rede), dice Freud. Ne fa un teatro. E a che scopo? Allo scopo di soddisfare un desiderio, dice Freud. E, con ciò, di creare futuro. Il Sogno infatti anticipa, prefigura, la «realtà» che Vimark-crononautas’attende dal suo desiderio.
Il Sogno, dunque, ha tutt’e tre i caratteri del «fenomeno» Tempo, così come si manifesta nel nostro «dire». Serba in una memoria, e attua in un «ora» ciò di cui è «in attesa». Ieri, oggi e domani – Kronos, dicevano gli orfici, nelle cui pieghe, più volte avvolte e riavvolte, fluisce l’Oceano dei sogni – del loro repertorio immaginario (Bildet) e del loro discorso (Rede).

Il Sogno «porta il tempo» delle immagini che lo popolano. Lo porta nel solo modo, nel modo proprio di manifestarsi d’ogni «fenomeno», ossia attraverso il linguaggio. Il Sogno scopre il tempo – dicendolo. Il Sogno scopre la potenza oscura del «dire», oltre che delle immagini. Scopre la potenza combinata dei due linguaggi, la scopre nel Richiamo, nell’Eco, nel Ritorno del «detto», nel Ripasso sulle stesse immagini, e viceversa.
Il Sogno è la Porta d’ingresso nell’illusionismo del «dire». Dicendo in sogno le sue immagini, e immaginando di essere lui a dire il «detto» altrui, lui a nominare – come Adamo ancora in paradiso – le «cose», il bambino inganna se stesso («ingannatore domestico»), affascina se stesso dicendo il discorso dell’Altro, di quello che se ne va in giro a ingannare tutti i forestieri che incontra («ingannatore esogamico»).

Il Sogno estende il Presente, estende cioè l’inestensibile – ecco l’illusione. Il Sogno lo amplifica, giocando al gioco delle tre carte: questa vince e quella perde, vattelapesca quale delle tre: Memoria, Presenza e Attesa. Il Sogno si fa presente a tutti i tempi. O forse, più semplicemente, è il Tempo dell’Altro, il Tempo che l’Altro «dice» nel suo discorso e porta «scritto» nel suo repertorio immaginario, a estendere la potenza della sua fenomenologia attraverso i sogni.

Se cerchi il Tempo, se consigliato da Agostino o da Heidegger, lo cerchi nel «dire», se lo cerchi nella Memoria d’un Soggetto, bene – ricordati però che questo Soggetto è un Illusionista che ripete la solita illusione a proposito di Se Stesso e dell’Altro. Perciò, ti conviene sì cercare, ma non nel «dire» desto e cosciente, non nel «dire» adulto, bensì dalle parti della Parola ignorante, della Parola infantile, della Parola ingenua, della Parola che ancora non crede alle bugie che «dice», della Parola che sogna di «dire», e «dice» sempre la solita strofetta: questa vince, quella perde. Vattelapesca è il nome della «località psichica», del «non dove» del Tempo.