Afanasjev – La principessa ranocchia

Nei tempi antichi arciantichi c’era uno zar che aveva tre figli, tutti giovanotti.
Dice lo zar: «Ragazzi! ognuno di voi si faccia una balestra, e tiri: la donna che gli riporterà la freccia sarà la sua sposa; se nessuno la prende, è segno che quello non deve Ivan-ranocchia-frecciasposarsi!».
Il figlio maggiore tirò, gli riportò la freccia la figlia d’un principe; il figlio mediano tirò, gli riportò la freccia la figlia d’un generale; e al minore, principe Ivan, riportò la freccia una rana uscita dallo stagno, tenendola fra i denti.

I fratelli erano allegri e contenti, ma il principe Ivan si fece triste e pianse: «Come farò a vivere con una ranocchia? Vivessi cent’anni, non riuscirei mai ad abituarmi!».
Pianse e pianse, ma niente da fare: prese in moglie la rana. Si sposarono tutti secondo il loro rito: la ranocchia la tennero su un piatto.
Così vissero.

Una volta lo zar volle vedere, dai regali delle nuore, quale fra loro fosse la più abile. Diede l’ordine. Di nuovo il principe Ivan si fa pensieroso, piange: «Cosa farà la mia rana? Tutti si metteranno a ridere».
La ranocchia striscia sul pavimento, non fa che gracidare. Quando il principe Ivan si fu addormentato, essa uscì sulla via, buttò la pelle, si tramutò in una bella fanciulla e gridò: «Balie e nutrici! Fate questo e questo!».
Balie e nutrici le portarono subito una camicia d’un lavoro finissimo. Lei la prese, l’arrotolò e la pose accanto al principe Ivan, poi tornò di nuovo ranocchia, come se niente fosse!

Il principe Ivan si svegliò, tutto contento prese la camicia e la portò allo zar.
Lo zar la prese, la guardò: «Bene, questa sì che è una camicia da portare la domenica!».
Il fratello mediano portò una camicia; lo zar disse: «È buona giusto per andare al bagno!».
E nel prendere la camicia del fratello maggiore disse: «Da portarsi in una misera isba».
I figli dello zar tornarono alle loro case; pensano tra sé quei due: «No, era inutile ridere della moglie di Ivan, è chiaro che non è una rana, ma una qualche maga!».

Ivan-rana

Lo zar dà un altro ordine, che le nuore cuociano del pane e vengano a fargli vedere chi lo fa meglio.
Dapprima le cognate ridevano della ranocchia, ma adesso, venuto il momento, esse mandarono una cameriera a vedere come lei lo impastava.
La rana se ne accorse, fece un impasto, lo rimestò, praticò un buco nella parte superiore del forno e rovesciò la poltiglia direttamente sul fuoco.
La cameriera vide tutto e corse a raccontarlo alle sue padrone, alle nuore dello zar, e quelle fecero lo stesso. Ma la furba ranocchia, non appena le ebbe ingannate, tolse l’impasto dalla stufa, ripulì tutto, lisciò le pareti come niente fosse stato, e uscita sul ballatoio si spogliò della pelle e gridò: «Balie e nutrici! Cuocetemi subito un pane come il mio babbino lo mangiava solo la domenica e le feste».

Balie e nutrici portarono subito il pane. Lei lo prese, lo posò vicino al principe Ivan, poi si tramutò di nuovo in ranocchia. Il principe si svegliò, prese la pagnotta e la portò al padre.
In quel frattempo il padre stava ricevendo il pane dai fratelli maggiori: le loro mogli l’avevano infornato così come aveva fatto la rana, e n’era venuta fuori una porcheria.
Lo zar prese dapprima il pane del figlio maggiore, lo guardò e lo mandò in cucina; prese Ivan-rana-pensosoquello del mediano, e fu lo stesso. Venne la volta del principe Ivan; lui porge il suo pane. Il padre lo prese, lo guardò, e dice: «Questo sì che è un pane da mangiare la domenica! Non come quello delle nuore più grandi, tutto bruciacchiato!».

Dopo di che, venne in mente allo zar di dare un ballo, per vedere quale delle sue nuore balla meglio. Tutti gli ospiti e le nuore erano già arrivati, mancava solo il principe Ivan; egli aveva pensato: come faccio a andare con una ranocchia? E piangeva e singhiozzava il nostro principe Ivan.
Gli dice la rana: «Non piangere, principe! va’ al ballo, io verrò fra un’ora».
Il principe divenne un po’ più allegro a sentir le parole della ranocchia; uscì, e la rana andò, gettò via la pelle, si vestì che era una meraviglia!

Arriva al ballo; il principe Ivan si fece tutto lieto, e tutti battevano le mani: che bella donna!
Cominciarono a mangiare; la principessa si mette gli ossi in una manica; beve qualcosa, e il resto lo versa nell’altra manica. Le cognate vedono quel che fa lei e anche loro mettono le ossa in una manica, bevono e versano il resto nell’altra.

Venne il momento di ballare; lo zar manda a chiamare le nuore più grandi, ma quelle spediscono la rana. Subito quella prese il principe Ivan e andò: ballava ballava, girava girava, tutti restarono meravigliati! Agitò il braccio destro: comparvero boschi e ruscelli; agitò il sinistro, volarono uccelli vari. Finì di ballare, e tutto scomparve.
Allora si misero a ballare le altre nuore, vollero fare la stessa cosa: una agita il braccio destro e le ossa volano sulla gente; agitano il sinistro e spruzzano l’acqua sulle persone.
Allo zar questo non piacque e gridò: «Basta, basta!».
Le nuore smisero.

principessa-ranocchia-balla

Il ballo volgeva alla fine. Il principe Ivan andò avanti, trovò la pelle di rana, la prese e la bruciò. Lei ritorna, va per prendere la pelle: non c’è più! Si stende a dormire col principe e prima del mattino gli dice: «Ebbene, principe Ivan! sei stato un poco impaziente; sarei stata tua, e ora Dio lo sa! addio! Cercami ai confini della terra, nell’ultimo dei reami».
E la principessa scomparve.

Passa un anno, il principe Ivan langue per l’assenza della moglie; l’anno dopo si preparò, chiese la benedizione del padre e della madre e partì.
Camminò a lungo, ed ecco all’improvviso una casetta rivolta verso il bosco, che gli mostra le spalle. Dice lui: «Casa casetta, sta’ come prima, come mamma ti mise: volgi le spalle alla foresta, a me volgi la testa».
L’isba si voltò. Entrò nella casetta; c’è una vecchia, che dice: «Fu-fu! finora non s’era visto né inteso il tacco di un russo, e ora tacchi russi vengono da soli nel cortile! Dove vai, principe Ivan?».
«Vecchia, dammi prima da bere e da mangiare, poi le notizie puoi domandare».

La vecchia lo sfamò, lo dissetò, e lo mise a dormire.
Le dice il principe Ivan: «Nonna! son venuto a cercare Elena la Bella».
«Ah, figliolo, quanto tempo ci hai messo! I primi anni ella ti nominava sovente, ma ora vecchia-strega-isbagià non ti ricorda più, è da un pezzo che non viene più da me. Va’ avanti, dalla mia sorella mediana, lei ne sa di più».

Al mattino, il principe Ivan si mise in cammino, arriva a un’isba, e dice: «Casa casetta, sta’ come prima, come mamma ti mise: volgi le spalle alla foresta, a me volgi la testa».
L’isba si voltò. Lui entra dentro e vede una vecchia seduta, che dice: «Fu-fu! finora non s’era visto né inteso tacco di russo, e ora i tacchi russi vengono da soli nel cortile! Dove vai, principe Ivan?».
«A raggiungere Elena la Bella, nonnina!».
«Ohi, principe! – disse la vecchia – quanto tempo! Essa ti ha già dimenticato, si sposa un altro; presto ci saranno le nozze! Vive ora dalla mia sorella maggiore; va’ da lei, ma bada: come ti avvicinerai, ti riconosceranno, Elena si tramuterà in un fuso, avrà un vestito d’oro. Mia sorella comincerà a filare l’oro; quando avrà filato tutto il fuso, e lo metterà in una cassetta, e la chiuderà, tu trova la chiave, apri la cassetta, spezza il fuso, la punta buttala dietro di te, e il fondo davanti; ella ti comparirà dinanzi».

Il principe Ivan andò, arrivò da quella vecchia, entrò nell’isba; lei fila l’oro, e quando ebbe riempito il fuso lo prese e lo mise in una cassetta, la chiuse a chiave e la chiave la ripose.
Lui prese quella chiave, aprì la cassetta, tirò fuori il fuso e lo spezzò, come è stato detto, come è stato scritto; la punta se la gettò dietro di sé, e il fondo innanzi.
D’improvviso ecco comparire Elena la Bella, comincia a salutarlo: «Oh, perché sei venuto così tardi, principe Ivan? Per poco non sposavo un altro».

Quel fidanzato doveva arrivare presto. Elena la Bella prese il tappeto volante della vecchia, vi sedette sopra e si sollevarono volando come uccelli.
Il fidanzato arrivò subito dopo, seppe che erano partiti, ma anche lui era furbo! Via dietro a loro all’inseguimento; dagli e dagli, mancò poco non li raggiungesse: sul loro tappeto essi volarono in Russia, e quello proprio in Russia non ci poteva andare, così tornò indietro; gli altri arrivarono a casa, tutti si rallegrarono, si misero a vivere, ad arricchirsi, per la gioia di tutta la gente.

(Afanasjev, I due Ivan)