Il «demone» illumina la via – la mette a fuoco, e chi dal suo «fuoco» si trova a essere allucinato (toh, guarda chi si rivede: Narciso in persona!) in un solo sguardo, in un solo colpo d’occhio, brucia le tappe di tutto il suo «destino». Ne ha, come dice Jung, un’anticipazione. Percepisce una prefigurazione di quel tale «io» che si accinge ad assumere. Ne ha, per così dire, un presentimento. Un noûs, come dice Parmenide, che «fiuta» anzitempo la sua via.
Il miraggio che Narciso «vede» alla luce del suo proprio «demone», è la pietra d’inciampo, lo scandalo che viene a tracciare la via alla sua sorte, e che gli assegna la «parte» propriamente a lui destinata nel Teatro Umano, il «ruolo» di cui la Chiacchiera Umana investe proprio lui sulla Pubblica Piazza. È in nuce il seme, la mitologia, e il prestigio, del suo «io» prossimo venturo.
Come Narciso, ogni guagliuncielle è «investito» dalla Forma che lo riguarda dallo specchio: da quel primo «grumo» in cui gli par di vedere concentrata tutta la sua libido. Perciò dice bene Heidegger quando dice che, sebbene il «demone» greco non abbia niente a che fare col nostro «demonio» cristiano, nondimeno egli esercita per i greci la stessa funzione che, alla lettera, Lucifero tradisce nel suo nome latino.
Il «demone» infatti questo fa: fa luce – non però su tutto lo specchio, ma solo su quello spicchio di Anima, la cui «vista» produce miraggio agli occhi di Narciso. E solo quel frammento, appena quell’unghia di mondo immaginale, è sufficiente a insinuargli il presentimento di tutto il suo «destino». Il demone, illuminando, distribuisce così le «sorti» tra i bambini sulla pubblica via (δαίω: accendere, incendiare, dare fuoco; δαίς: fiaccola, torcia; δαίομαι: divido, spartisco, assegno come parte, do in sorte).
A Narciso, lo sappiamo, tocca annegare nel suo «destino». Ma, insieme, a qualcuno, forse a un suo erede o parente lontano, tocca venire tardivamente a sapere di lui. Qualcuno c’è che ne serba ancora il ricordo, e se ne dà pena. Non sta bene, Narciso è depresso. Su, presto, portiamolo dal Dottore. Lui sì che di «anime morte» se n’intende!
Portarono, sarà stato più di un secolo fa, il corpo di Narciso da Freud, e quando Freud ne fece l’autopsia, con sua grande sorpresa, trovò dentro Narciso qualcosa che non era di Narciso. Trovò, nelle viscere della sua psiche, un aldilà meta-psicologico – un corpo estraneo, un certo che di «appiccicoso». Trovò, appiccicato alla sua anima, un «grumo di sangue» rappreso attorno a un Simbolo. Capisci? – intorno a una parolina «insignificante» gli si erano radunate, per essere rimosse, certe immagini divenute pesanti!
L’aveva sentita dire da Eco, questa parolina. L’aveva sentita quando Eco gli aveva detto: «ti desidero», ma lui non ci aveva fatto caso. Lui, quel desiderio non lo desiderava. Anzi, lui nemmeno sapeva che cosa vuol dire desiderare.
L’aveva sentita dire confusa tra i nitriti delle cavalle, e se l’era scordata. L’aveva sentita dire di giorno, alla luce del sole, e lui non l’aveva notata. Lui non immaginava che l’eco di quella parola «insignificante» sarebbe tornata dal Passato, che sarebbe tornata di notte, alla luce della luna – a esercitare la potenza del suo Richiamo «senza corpo».
Tre cose furono rese degne di onore: l’immaginazione, il profumo e la parola.
Onore, dunque, a Narciso ed Eco, ma anche all’«odore» che fiutarono l’uno nell’altra. Onore al loro reciproco letale «destino». Onore a quanti come loro furono «catturati» nei mestrui e nelle ambizioni della luna! La luna non è il sole – eppure «desidera» i «desideri» del sole!
La «grande esperienza primordiale» (è così che la chiama Jung) ogni cucciolo della nostra Specie la fa, quando a Narciso impotente a realizzare alla luce del sole il suo miraggio, torna l’eco notturna di una delle mille voci della foresta.
L’«esperienza» che lo inizia all’Umano – a ogni latitudine il Racconto lo ripete – è quella di un «lunatico» che ripete a pappagallo le gesta del Sole, finché non annega nel primo fallimento di queste sue «ripetizioni».
L’«odore» non è né immagine, né parola.
L’«odore», lo dice la parola: è l’odòs (οδός) – la «via» su cui immagini e parole si traducono le une nel linguaggio delle altre. L’«odore» è alla confluenza dei due fiumi linguistici, immaginario e simbolico: è al «fiuto», è al naso, che dobbiamo la loro «contaminazione».
Tutto questo il nostro caro Parmenide, il Pitagorico eretico da Casalvelino, lo dice in tre parole: odòs polýphemos daimonos. Dice che tre «sensi» furono resi degni dell’Uomo: quelli atti a sentire i profumi, le chiacchiere e le visioni.
Era un po’ che su questa via viaggiavo
e che da una voce all’altra le cavalle
tirando il carro mi portavano
quand’ecco delle fanciulle vidi
che m’aprivano la strada.
Il primo «grumo» di memoria è fatto di immagini e/o parole che non si scordano, che si è – lunaticamente – impotenti a scordare. Immagini e parole si «raggrumano» là dove fallisce una ripetizione.
Si ripete per non sapere, per non serbare memoria, per produrre oblio e dimenticanza. La ripetizione ha la sua libido. Il suo piacere tuttavia non riposa in nessuna Forma, sia essa immaginale o simbolica. La ripetizione si compiace a trasformare. Prova piacere nella metamorfosi, nel passaggio dall’una all’altra.
Il miraggio, dunque, blocca Narciso, lo paralizza. Quell’immagine, lui non riesce più a trasformarla. È catturato nei lacci della sua presenza. Dapprima miracolosa, e subito dopo ingombrante.
Torniamo al nostro schema:
(…) e (fu sera) e (fu mattina) e (…).
È la «e», che si ripete, e si compiace di fare da cerniera, da tenone o da cuneo, tra una forma momentanea e l’altra. La ripetizione non si porta appresso idoli, non ha idee, non è in cerca di una qualche reminiscenza, ma procede, come le cavalle di Parmenide: a naso, lasciandosi guidare dal noûs, dal piacere cioè che «annusa» nel tradursi sempre più in là.
Nel miraggio, però, Narciso ha incontrato la Forma fatta a sua immagine e somiglianza, e Narciso ne è talmente sedotto e affascinato che, questa Forma, non riesce a trasformarla. Non riesce a togliersela dalla mente.
Narciso, adesso, ha una memoria – e con la memoria una sofferenza. Di più: dalla memoria sorge la sofferenza letale al suo narcisismo, al suo linguaggio immaginale. Come aveva vaticinato Tiresia, Narciso muore il giorno in cui viene a sapere di se stesso. Il giorno in cui prende coscienza o, per dirla tutta, il giorno in cui Coscienza lo prende, lo sorprende tramite il suo inviato servo luciferino, tramite il demone in cui si coagulò il primo grumo di memoria libidinosa.
Narciso muore … ma qualcuno gli sopravvive: qualcuno che, dal giorno della sua morte, gli parla dentro per offrirgli la chance di nascere una seconda volta. Morto al suo linguaggio immaginale, Narciso può rinascere nel Mondo Simbolico. Ma bisogna che faccia come la Luna: che desideri i desideri del Sole!
In quanto al nostro guagliuncielle, finché le cavalle che lo portano in carrozza si trasformano magicamente in tante belle signorine – vuol dire che l’«odore» che guida la copula «e» nella libido della metamorfosi, fluisce, vuol dire che la via è libera, e il guagliuncielle può affidarsi alle sue ripetizioni. Non importa cosa c’è in ogni parentesi, è roba dimenticata, acqua passata. Conta la congiunzione che fa la magia di tracciare la via trasformandole.
Ma che ne sarà di lui, quando tutte quelle belle signorine, quelle seducenti «figlie del Sole» torneranno a lui la notte, al chiaro di luna? Cosa accadrà, il giorno che saranno proprio loro, le «figlie della Luce» a oscurarsi nella forma concentrata di una sola Madonna?
Tre cose furono rese degne di onore: le donne, l’odore delle loro metamorfosi, e le parole con cui scrivemmo le loro memorie.
La piazza è popolata di donne – il Paese immaginale è popolato di molteplici forme di apparenza e, perché no?, di apparizione: di buone, ma anche di «cattive» forme (Lacan ci ammonisce: non lo si dimentichi questo dettaglio!).
Cattive sono le Forme in cui il «demone» ci cattura. Cattive sono le immagini messe a fuoco dalla potenza luciferina che riposa nei nostri occhi. In cattività ci tengono le immagini che non si lasciano dimenticare, i nodi che come la luna siamo impotenti a sciogliere. Le forme che non ci danno il lasciapassare.
Narciso annega nell’idolatria dell’Immagine.
Farà la stessa fine anche il nostro guagliuncielle?