Un cieco e un paralitico furono presi e fatti entrare in un giardino da un tale che ne era il proprietario; costui ordinò loro di non rovinare nulla e di non fare quanto potesse arrecare danno.
Allorché però i frutti del giardino furono maturi, lo storpio disse al cieco: «Caspita! Vedo certi frutti che davvero mi fanno gola; ma non posso raggiungerli e mangiarli! Alzati tu che sei sano alle gambe e portane qualcuno da mangiare».
Il cieco rispose: «Accidenti ad avermeli ricordati! E pensare che io non ne sapevo nulla; ma prenderli mi è difficile: non li vedo! Come fare dunque per averli?».
Ma ecco in quel mentre sopraggiungere il guardiano del giardino, uno che la sapeva lunga, al quale il paralitico disse: «Ehi! tu, noi abbiamo una gran voglia di quei frutti, ma, come ben vedi, io sono paralitico e il mio compagno cieco, quindi non vede nulla. Come possiamo fare?».
Il guardiano rispose loro: «Disgraziati, avete già dimenticato gl’impegni presi con il proprietario del giardino, e cioè di non commettere nulla che possa lasciare tracce di danno? Smettetela dunque e cercate di astenervene!».
Ma ambedue risposero: «No, è proprio impossibile non mangiare un po’ di questi frutti! Suggeriscici qualche espediente di tua conoscenza».
E siccome essi non desistevano dalla loro ostinazione, l’altro disse loro: «L’espediente è che il cieco si alzi, sollevi te, o storpio, sulle spalle e ti avvicini a quell’albero i cui frutti sono di tuo gradimento, in modo che quando ti saranno a portata di mano ne coglierai quanti potrai raggiungerne».
E infatti il cieco si alzò e si caricò lo storpio che lo guidò fino a che fu vicino all’albero, dopo di che quegli ne colse a piacere. E continuarono in quella loro bisogna fino a che spogliarono tutti gli alberi del giardino.
Ma ecco sopraggiungere il proprietario e dire: «Disgraziati, cosa avete combinato? Non avevamo stabilito che non mi avreste rovinato il giardino?».
Ma entrambi gli risposero: «Sai bene che siamo inabili a cogliere qualcosa, dato che l’uno di noi, storpio qual è, non può reggersi ritto, e l’altro è cieco e pertanto impossibilitato a vedere quanto gli sta davanti. In che cosa sta dunque la nostra colpa?».
Ma il proprietario del giardino ribatté: «Credete forse ch’io ignori come avete fatto a devastarmi il giardino? Invece so, proprio come se mi fossi trovato con te, o cieco, che tu ti sei alzato e, caricato lo storpio sulle spalle in modo che ti insegnasse la strada, l’hai trasportato fin sotto all’albero».
E ciò detto egli li acciuffò, inflisse a entrambi un solenne castigo e li cacciò dal giardino.
Il cieco è l’immagine del corpo, poiché quest’ultimo non vede che coll’anima, mentre lo storpio rappresenta appunto l’anima, la quale non ha impulso che in virtù del corpo. Nel giardino, invece, devono vedersi le azioni per le quali il fedele viene ricompensato, e nel guardiano la ragione che ordina il bene e vieta il male. Il corpo e l’anima sono pertanto partecipi sia del premio che del castigo.
(Le mille e una notte)
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La favola, come vedi, è così antica che se ne trovano «rifacimenti» sparsi ovunque. Per un commento meno approssimativo di quello, piuttosto sbrigativo, del Narratore delle Mille e una notte, ti rinvio a Lacan.