… il ripetente, ciò che si ripete, attua la sua ripetizione solo in quanto non «comprende», non ricorda, non sa o non ha coscienza … tanto più si ripete il proprio passato quanto meno se ne ha memoria, quanto meno si ha coscienza di ricordarsene – ricordate, elaborate il ricordo, per non ripetere … non è forse vero che i soli morti a tornare sono quelli che si sono seppelliti troppo in fretta e nel profondo, senza render loro le onoranze dovute, e che il rimorso attesta più un’impotenza o un fallimento nell’elaborazione di un ricordo che un eccesso di memoria?
… si ripete perché si rimuove, Freud però non si è mai appagato di un tale schema negativo che spiega la ripetizione con l’amnesia. È vero che, sin dall’inizio, la rimozione designa una potenza positiva. Ma tale positività viene ad essa dal principio di piacere o dal principio di realtà: positività soltanto derivata, dunque, e di opposizione. La grande svolta del freudismo appare nell’Al di là del principio di piacere: l’istinto di morte vi si rivela, non in rapporto con le tendenze distruttive, non in rapporto con l’aggressività, ma in funzione di una considerazione diretta dei fenomeni di ripetizione.
Stranamente, l’istinto di morte vale come principio positivo originario per la ripetizione, essendo qui il suo campo e il suo senso. Esso ha il ruolo di un principio trascendentale, mentre il principio di piacere è soltanto psicologico, e per questo l’istinto di morte è essenzialmente silenzioso (non dato nell’esperienza), mentre il principio di piacere ha una sua voce.
La prima domanda da porre sarebbe dunque: com’è che il tema della morte, che sembra raccogliere la parte più negativa nella vita psicologica, può essere in sé la più positiva, trascendentalmente positiva, al punto da affermare la ripetizione? in che modo la ripetizione può essere rapportata a un istinto primordiale?
Ma una seconda domanda si aggiunge immediatamente alla prima. Sotto quale forma la ripetizione è affermata e prescritta dall’istinto di morte? In senso più profondo, si tratta del rapporto tra la ripetizione e i travestimenti. I travestimenti nel lavoro del sogno o del sintomo – la condensazione, lo spostamento, la drammatizzazione – vengono a ricoprire attenuandola una ripetizione bruta e nuda (come ripetizione dello Stesso)?
Sin dalla prima teoria della rimozione, Freud indicava un’altra via: Dora non elabora il proprio ruolo, non ripete il suo amore per il padre se non attraverso ruoli sostenuti da altri, e che sostiene essa pure in rapporto a costoro (K., la Signora K, la governante…). I travestimenti e le varianti, le maschere o i travestiti, non vengono «dall’alto», ma sono al contrario gli elementi genetici interni della stessa ripetizione, le sue parti integranti e costitutive.
Questa strada avrebbe potuto indirizzare l’analisi dell’inconscio verso un teatro autentico, e se ciò non accade dipende dal fatto che Freud non può fare a meno di conservare il modello di una ripetizione bruta, almeno come tendenza, come appare chiaro quando egli attribuisce la fissazione all’Es; il travestimento è allora compreso nella prospettiva di una semplice opposizione di forze, la ripetizione travestita non è altro che il frutto di un compromesso secondario tra le forze opposte dell’io e dell’Es. Persino nell’Al di là del principio di piacere, sussiste la forma di una ripetizione nuda, poiché Freud interpreta l’istinto di morte come una tendenza a tornare allo stato di una materia inanimata, che conserva il modello di una ripetizione del tutto fisica o materiale.
La morte però non ha nulla a che vedere con un modello materiale. Basta comprendere al contrario l’istinto di morte nel suo rapporto spirituale con le maschere e i travestimenti. La ripetizione è veramente ciò che si traveste costituendosi, ciò che si costituisce solo travestendosi.
Essa non è sotto le maschere, ma si forma da una maschera all’altra, come da un punto rilevato a un altro, da un istinto privilegiato a un altro, con e nelle varianti. Non c’è primo termine che non sia ripetuto; e persino il nostro amore infantile per la madre ripete altri amori da adulti verso altre donne, un po’ come l’eroe della Recherche ripete con la madre la passione di Swann per Odette.
Non c’è dunque nulla di ripetuto che possa essere isolato o astratto dalla ripetizione in cui si forma, ma in cui anche si nasconde. Non c’è ripetizione nuda che possa essere astratta o indotta dallo stesso travestimento. La stessa cosa traveste ed è travestita.
Fu un momento decisivo della psicoanalisi quando Freud rinunciò su taluni punti all’ipotesi di avvenimenti reali dell’infanzia, che sarebbero come dei termini ultimi travestiti, per sostituirvi la potenza del fantasma che affonda nell’istinto di morte, ove tutto è già maschera e subito travestimento.
In breve, la ripetizione è simbolica nella sua essenza, il simbolo, il simulacro, è la lettera della ripetizione stessa. Mediante il travestimento e l’ordine del simbolo, la differenza è compresa nella ripetizione. Questo spiega perché le varianti non vengono dal di fuori, non esprimono un compromesso secondario tra un’istanza che rimuove e un’istanza rimossa, e non devono comprendersi a partire dalle forme ancora negative dell’opposizione, del rovesciamento o dell’inversione. Le varianti esprimono piuttosto dei meccanismi differenziali appartenenti all’essenza e alla genesi di ciò che si ripete.
Occorrerebbe addirittura rovesciare i rapporti del «nudo» e del «vestito» nella ripetizione. Se si ha una rappresentazione nuda (come ripetizione dello Stesso) – per esempio un cerimoniale ossessivo, o una stereotipia schizofrenica – ciò che di meccanico c’è nella ripetizione, l’elemento d’azione apparentemente ripetuto, serve da copertura per una ripetizione più profonda, che si svolge in un’altra dimensione, verticalità segreta dove i ruoli e le maschere trovano alimento nell’istinto di morte.
Binswanger parla di un teatro del terrore a proposito della schizofrenia, ove il «mai visto» non è il contrario del «già visto», ma entrambi stanno a significare la stessa cosa e sono vissuti l’uno nell’altro. Sylvie di Nerval ci introduce già in questo teatro, e Gradiva, così affine a certa ispirazione nervaliana, ci mostra l’eroe che vive a un tempo la ripetizione come tale, e ciò che si ripete come sempre mascherato nella ripetizione.
Nell’analisi dell’ossessione, la comparsa del tema della morte coincide con il momento in cui l’ossesso dispone di tutti i personaggi del proprio dramma, e li riunisce in una ripetizione il cui «cerimoniale» è soltanto l’involucro esterno.
Ovunque la maschera, il travestito e il vestito sono la verità del nudo, è la maschera infatti il vero soggetto della ripetizione, e poiché la ripetizione differisce essenzialmente dalla rappresentazione, il ripetuto non può essere rappresentato, ma deve sempre essere significato, mascherato da ciò che lo significa, mascherando a sua volta ciò che lo significa.
Io non ripeto perché rimuovo. Rimuovo perché ripeto, dimentico perché ripeto. Rimuovo perché, innanzitutto, non posso vivere certe cose o certe esperienze se non nel modo della ripetizione. Io sono portato a rimuovere ciò che mi impedirebbe di viverle così: vale a dire la rappresentazione che media il vissuto rapportandolo alla forma di un oggetto identico o simile.
Eros e Thanatos si distinguono in questo, che Eros deve essere ripetuto, può essere vissuto solo nella ripetizione, mentre Thanatos (come principio trascendentale) è ciò che dà la ripetizione a Eros, e sottomette Eros alla ripetizione.
Solo un tal punto di vista è in grado di farci progredire negli oscuri problemi dell’origine della rimozione, della sua natura, delle sue cause e dei termini esatti su cui si fonda. Infatti quando Freud, al di là della rimozione «propriamente detta» che si fonda su talune rappresentazioni, mostra la necessità di postulare una rimozione originaria, riguardante innanzitutto talune presentazioni pure, o la maniera in cui le pulsioni sono necessariamente vissute, noi crediamo che egli si avvicini al massimo di una ragione positiva interna della ripetizione, che gli apparirà più tardi determinabile nell’istinto di morte, e che deve spiegare il blocco della rappresentazione nella rimozione propriamente detta, anziché essere da esso spiegata. Si capisce dunque come la legge di un rapporto inverso ripetizione-rammemorazione sia poco soddisfacente sotto tutti i riguardi, in quanto essa fa dipendere la ripetizione dalla rimozione.
Freud mostrava sin dall’inizio che per cessare di ripetere, non bastava ricordare astrattamente (senza elementi affettivi), né formare un concetto in generale, né tanto meno rappresentarsi in tutta la sua particolarità l’avvenimento rimosso, ma bisognava andare a cercare il ricordo là dove era, installarsi di colpo nel passato onde operare la congiunzione viva tra il sapere e la resistenza, la rappresentazione e il blocco.
Non si guarisce dunque per semplice amnesia, così come non si è malati di amnesia. Qui come altrove, la presa di coscienza è poca cosa. L’operazione ben altrimenti teatrale e drammatica attraverso cui si guarisce, e anche attraverso cui non si guarisce, porta un nome, quello di transfert.
E il transfert fa ancora parte della ripetizione, più che mai della ripetizione. Se la ripetizione ci rende malati, è anche in grado di guarire; se ci incatena e ci distrugge, può anche liberarci, attestando nei due casi il suo potere «demoniaco». Tutta la cura è un viaggio al fondo della ripetizione.
Invero nel transfert c’è qualcosa di analogo alla sperimentazione scientifica, in quanto si presuppone che il malato ripeta l’insieme del suo stato di turbamento in condizioni artificiali privilegiate, prendendo per «oggetto» la persona dell’analista. Ma la ripetizione nel transfert più che identificare degli avvenimenti, delle persone e delle passioni, ha come funzione primaria quella di autenticare dei ruoli, di selezionare delle maschere.
Il transfert non è un’esperienza, ma un principio che fonda intera l’esperienza analitica. I ruoli a loro volta sono per natura erotici, ma la prova dei ruoli si richiama a un più alto principio, a un giudice più profondo che è l’istinto di morte.
In effetti, la riflessione sul transfert fu un motivo determinante della scoperta di un «aldilà». In tal senso la ripetizione costituisce per se stessa il gioco selettivo della nostra malattia e della nostra salute, della nostra perdita e della nostra salvezza.
(Deleuze, Differenza e ripetizione)